André 3000, la recensione di 'New Blue Sun' | Rolling Stone Italia
Il peso delle aspettative

E quindi com’è ‘New Blue Sun’, il folle, flautato, de-rappizzato disco di André 3000?

Una vita senza fare un album e ora 90 minuti di strumentali basati sul suono del flauto, roba da ricchi californiani che giocano alla new age. Bello, ma non paragoniamolo a Floating Points & Pharoah Sanders

E quindi com’è ‘New Blue Sun’, il folle, flautato, de-rappizzato disco di André 3000?

André 3000

Foto: Kai Regan/Epic Records

Certe volte i messaggi in direct che ti arrivano sono uno spasso; e hanno, soprattutto, un tempismo perfetto. Praticamente mezz’ora dopo che la redazione di Rolling Stone ti assegna una recensione sul nuovo, bislacco, sorprendente New Blue Sun di André 3000 (dopo 17 anni che non fa uscire nulla, l’ex Outkast se ne viene fuori con un disco ambient a zero rap: mah?), in rapida successione arrivano infatti due messaggi: «Credo possa essere un disco di cui si parlerà come portatore di un suono nuovo campionato e rimodellato da future generazioni» il primo; mentre il secondo è «Il disco di André 3000 fa cagare in almeno quattro generi musicali diversi». Capito? Mica male la differenza. La cosa divertente è che entrambi gli autori sono a) persone molto competenti, b) grandi appassionate di musica black. Hanno cioè un background piuttosto simile, e di spessore. Quindi manco da dire che sia un problema di sensibilità, di propensione ad ascolti atipici, di gusti.

E se ora vi aspettate di leggere che la verità su ‘sto disco sta nel mezzo, sì: la verità sta nel mezzo. O meglio detto, ci distanziamo parecchio da entrambi i commenti (ma ehi, la stima per chi li ha scritti resta intatta, sappiatelo, se ora voialtri due amici miei autori di quei messaggi state leggendo questo articolo).

È completamente fuori fuoco parlare di «suono nuovo» per New Blue Sun: chiunque abbia un minimo frequentato la ambient, da Namlook a Kitaro a Biosphere passando poi per le cose più utilitaristiche e dozzinali, certi suoni, certe scelte e certi schemi mentali li conosce a menadito. New Blue Sun non è più nuovo di una Punto usata del 1993. Il che però non significa sia un disco brutto & vecchio: semplicemente, è del tutto coerente con un andazzo sonoro che nella new age californiana – e guarda caso André vive da tempo a Venice, California, dopo aver lasciato prima Atlanta e poi New York – è stato codificato in lungo e in largo, mettendo insieme musica e voglia di viver sani, o viver comodi, o viver rilassati, o tutt’e tre le cose assieme (una way of living che si possono permettere due categorie agli antipodi, ma molto californiane entrambe: gli strafatti/rimastini che ormai non hanno granché da perdere da un lato, e i molto ricchi che pensano che anche il benessere emotivo si possa comprare se fai bene la lista della spesa dall’altro).

New Blue Sun quello è: una cricca di residenti californiani versati nelle cose di musica e simpatizzanti del misticismo più simpatico e immediato che si mettono a fare cose in studio di registrazione in modo sciallo, giusto per il piacere di farlo. E magari anche perché in qualche caso, vedi Carlos Niño, agitatore culturale di un sacco di operazioni simili e ovviamente presente nei credits dell’album, sono proprio abituati a farlo come metodologia consolidata e la considerano una scelta etica + artistica corretta ed interessante.

Insomma: di nuovo c’è veramente poco. C’è il profumo d’incenso che negli anni ’90 sentivi nei mercatini pseudo-hippy che fiorivano ovunque durante Umbria Jazz, o nei primi negozi China-Asia Import/Export dove trovare un sacco di borselli e portafogli con gli elefantini ricamati ed arazzi vari: difficile etichettare tutto questo come nuovo, o sorprendente.

I swear, I Really Wanted To Make A "Rap" Album But This Is Literally The Way The Wind Blew Me...

Al tempo stesso però è scorretto, e disattento, derubricare New Blue Sun come disco che «fa cagare». Non lo è. Per quanto datato, manierista e prevedibile nella forma, è un disco fatto con grande competenza musicale. Si fa poi ascoltare veramente volentieri e, essendo un disco ambient, fa ovviamente il suo porco lavoro nel farti stare bene e nel farti rilassare, se ti abbandoni all’ascolto per rifuggire cynariamente per un attimo almeno, per il tempo di un’ora e venti, il logorio della vita moderna. Radunati attorno all’operazione ci sono dei musicisti di vaglia (il già citato Niño, Surya Botofasina, Deantoni Parks), e lo stesso André Lauren Benjamin in arte André 3000 è stato a cavallo tra gli anni ’90 e il 2000 uno dei più geniali artisti hip hop di tutti i tempi. C’è stato un momento in cui si pensava che gli Outkast, la ditta artistica creata col collega Big Boi, potessero essere il Prince del nuovo millennio, e la cosa non suonava minimamente come una bestemmia. Aveva senso, eccome.

Il problema è che poi André 3000 ha fatto esattamente ciò che rende Daniel Ek poco amused: ovvero, invece di sfornare nuovo materiale a ripetizione per rendere contenta l’industria discografica e i capoccia dello streaming, sempre ansiosi di fagocitare e monetizzare l’arte altrui, non ha fondamentalmente fatto un cazzo (tranne qualche featuring di pregio, vedi l’ultimo album dei leggendari, meravigliosi A Tribe Called Quest, e qualcuno furbo ma divertente con un po’ di tremendisti in ascesa, vedi Travis Scott e Kid Cudi). È ammattito? È irrimediabilmente rintronato dalle canne (mo’ pure Snoop smette di fumare: che fine faremo, signora mia…)? L’ayahuasca ha girato male e non è andata a buon fine come terapia? Non è più in grado di fare nulla, o quasi?

Avendo pedinato un sacco André nelle varie interviste che ha rilasciato negli anni e poi con moltiplicata attenzione in quelle che ha sfoderato recentemente per parlare di ‘sto New Blue Sun, abbiamo maturato un preciso sospetto: il nostro eroe è semplicemente pigro. Molto semplicemente, pigro. Ed è umile, intelligente e simpatico abbastanza da non vergognarsi della sua pigrizia. Ci scherza anche anzi sopra.

New Blue Sun non è il disco di un rapper idolatrato che non fa più il rap ma bensì, dopo 17 anni di silenzio discografico, tira fuori un disco ambienti di tastiere, pifferi e campanellini per fare un luciferino sberleffo al sistema, un dito medio alle corporation ed alla macchina del successo. No. Ma non è nemmeno la gloria anni ’90 del rap che finisce male (i Pharcyde erano pure meglio degli Outkast, ma il successo e il crack hanno riscritto la loro storia nel modo più cupo e mesto possibile). Non è un rintronato. Non è un rimastino, André 3000. Né è un sabotatore del sistema. È, semplicemente, uno che non si vuole sbattere troppo. Ed avendo abbastanza talento, competenza e lucidità per capire che finché non si sbatte il suo core business – ovvero il rap – non sarà all’altezza delle sue potenzialità e di quello che tutti si aspettano da lui, ha deciso che è meglio non rovinarsi il fegato e/o fare la primadonna lamentandosi di quanto sia stressante e di quanta pressione ti metta addosso il successo (come oggi invece fa chiunque, da Drake a Sfera passando per qualche effimero ragazzetto venuto fuori da Amici).

Ha scelto invece, al momento, di essere sereno. E andare in giro con lo strumento più facile del mondo – il flauto – a suonicchiare per strada, a mo’ di anti-stress e divertente vezzo. È già da un po’ che gli avvistamenti di André che suona il flauto aggirandosi per le strade Los Angeles sono una hit sotterranea del web. A furia di portare avanti questo vezzo, chiaro che ti innamori dello strumento e ti sembra divertente l’idea di farci qualcosa.

Questo è New Blue Sun. Il disco di un artista di enorme talento che ha scelto la via più facile, comoda e disimpegnata per esprimersi senza pretese e in divertita serenità, trasformando il cazzeggio in disco (la Epic, per disperazione, se l’è fatto andare bene e ha messo il proprio marchio sull’operazione: almeno c’è qualcosa di André 3000 da far uscire, santiddio). Poi chiaro, il cazzeggio di un artista di enorme talento non può che essere un cazzeggio fatto con gusto e con momenti brillanti (ovviamente a parte i momenti in cui André non si contiene e deborda con le sue svisate flautistiche: ma per fortuna, succede poco). È un disco che non ha nulla ma nulla di nuovo, nulla ma nulla di originale, soprattutto nulla ma nulla di cura maniacale nei suoni e nelle strutture (è tutto discretamente dozzinale e facile: fa rabbrividire che qualcuno abbia provato a paragonare questo disco al joint album di Pharoah Sanders e Floating Points, che invece è una cattedrale di ponderata e sofisticata misura e delicatezza). Però si fa ascoltare più che bene New Blue Sun. Se lo prendi per quello che è, un disco ambient senza pretese ma fatto da gente ganza, si fa ascoltare più che bene.

André 3000 - Ninety Three 'Til Infinity And Beyoncé

Ma per onor di cronaca non possiamo che far notare che tutto il suo potere formale benefico dal punto di vista sonoro, tutti i suoi pad di tastiera e i momenti atmosferici, sono riproposti in maniera già sentita e, quindi, nel 2023, da considerare un po’ didascalica. In certi momenti ti viene da pensare che se mettessi sotto un Amen break velocizzato e dei bassi cattivi, potresti avere una di quelle tracce di drum’n’bass esotico-atmosferica alla LTJ Bukem che andavano parecchio a metà anni ’90: e già così faresti fare un salto quantico di modernità ed attualità a New Blue Sun, figuriamoci, svecchiandolo e rendendolo più spiazzante/significativo di brutto, portandolo fuori dal luogocomunismo psichedelico californiano ‘60/’70. Se questo album insomma è «suono nuovo», Matteo Salvini è un sofisticato filosofo deleuziano di sinistra; ma se questo albuim «fa cagare», allora ci meritiamo cento anni di Amedeo Minghi (o di Matteo Salvini: ma magari qualcuno di voi che legge questo lo auspicherebbe pure, quindi per carità).

Il primo a dirci a chiare lettere di non prendere troppo sul serio questa release è lo stesso André 3000, basta vedere i nomi che ha dato alle singole tracce: più che dei titoli delle gag, roba tipo I Swear, I Really Wanted to Make a ‘Rap’ Album but This Is Literally the Way the Wind Blew Me This Time, una continua toccata di gomito che manco la Littizzetto da Fazio. Al tempo stesso, siamo convinti che a lui queste sette meditative tracce quasi tutte oltre i dieci minuti piacciano, ci sia affezionato; ne siamo convinti, perché piacciono anche a noi e in due, tre giorni ‘sto disco lo abbiamo messo su più di una volta, contenti di farlo. Poi, un giorno, André tornerà a fare ciò in cui è bravo veramente e in cui fa la differenza veramente. Non oggi. Non sotto la psichedelia del sole blu.

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