Smashing Pumpkins, la recensione di Atum | Rolling Stone Italia
Atto finale

Dai, il terzo atto di ‘Atum’ degli Smashing Pumpkins non è poi tanto male

Se reggete la logorrea creativa di Billy Corgan, vi piace quando usa i synth e adorate gli enigmi musicali, nel disco (e nei due volumi dell’opera rock che l’hanno preceduto) troverete del buono

Dai, il terzo atto di ‘Atum’ degli Smashing Pumpkins non è poi tanto male

Smashing Pumpkins

Foto: Paul Elledge

Di Billy Corgan si può dire di tutto (e in effetti di cose da dire ce ne sarebbero), ma gli vanno riconosciute l’incredibile etica del lavoro e la creatività inesauribile. Mentre dava gli ultimi ritocchi alle 20 canzoni di Cyr, il disco degli Smashing Pumpkins uscito nel 2020, si stava già occupando di Atum: A Rock Opera in Three Acts, trittico composto da 33 brani che il musicista ha descritto come il seguito di Mellon Collie and the Infinite Sadness e di Machina/The Machines of God. Sembrerà pure un tipo tormentato, ma evidentemente i suoi demoni interiori non si manifestano nella forma di blocco dello scrittore.

Un album composto da 33 canzoni e che dura quasi 140 minuti sarebbe stato difficile da mandar giù persino per i fan più accaniti dei Pumpkins e quindi Corgan ha deciso saggiamente di presentare le canzoni di Atum una alla volta, nel suo podcast settimanale, e di dividere l’uscita ufficiale dell’album in tre parti. Il primo atto è stato pubblicato nel novembre 2022, il secondo nel gennaio 2023 e il terzo è uscito la scorsa settimana. Anche se è decisamente più lungo dei due capitoli precedenti, l’ultimo è il più facile da assimilare a un primo ascolto. Più vario nei toni, nei tempi e nelle atmosfere, il terzo atto ha un respiro che manca ai densissimi predecessori. Ma è anche quello dei tre in cui sono più presenti i synth e ciò significa che i fan dei Pumpkins legati agli assalti chitarristici di Gish o di Siamese Dream potrebbero trovarlo deludente o addirittura irritante.

E però se si sopportano i capricci elettronici di Corgan, Atum: Act Three ha vari momenti ottimi. Con i suoi archi riprodotti al sintetizzatore e quegli accordi yacht rock, Sojourner pare discendere direttamente da The Dream Weaver, l’opera tastieristica di Gary Wright di metà anni ’70. Pacer è più anni ’80, con texture di synth glaciali che, verso la fine, cedono il passo a un groove dance alla Giorgio Moroder. Nei nove minuti dell’epica Intergalactic si passa per due volte passa da un’inquietante pulsazione electro a un assalto rock violento guidato dalla batteria di Jimmy Chamberlin, che suona potente come sempre sia qui, sia nei pezzo rock più diretti come In Lieu of Failure, Harmageddon e Spellbinding. Le tracce migliori sono The Canary Trainer e Cenotaph. La prima è un mid tempo a tinte goth che sembra un incrocio tra Cure e Church, la seconda una ballata acustica intimista decorata da ghirigori lunatici di synth.

Ci si mette un po’ a sviscerare il significato delle canzoni e a inserirle nel contesto della trama di Atum, che è in buona sostanza una metafora fantascientifica delle esperienze di Corgan dopo aver riattivato gli Smashing Pumpkins nel 2007. Un testo come “Nelle odi schivate ai tuoi monti / Il nostro spirito era una risata pungente” (Intergalactic) sarebbe di difficile comprensione anche se non fosse reso ancora più oscuro dalla strana pronuncia di Corgan e dal fatto che la sua voce spesso è mixata in modo da amalgamarsi con la musica, come se fosse uno strumento come gli altri. Ma è tutto frutto dell’idea di fondo: è ovvio che Atum è concepito per essere un disco che richiede la nostra massima attenzione e il terzo atto rappresenta un finale allucinato e affascinante del progetto.

Da Rolling Stone US.

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