Recensione 'L'angelo del male' di Baby Gang | Rolling Stone
Arci-italiano

Al posto di fare un disco “dal basso”, Baby Gang ha preferito far sfilare la solita parata di star

È il rapper italiano più ascoltato all’estero e il nuovo album ‘L’angelo del male’ funzionerà. Ma il racconto neorealista è diluito da troppi feat (18 in 16 brani) e compromesso da canzonette inutili

Al posto di fare un disco “dal basso”, Baby Gang ha preferito far sfilare la solita parata di star

Baby Gang

Foto: press

È passato meno di un anno da quando ho incontrato Baby Gang in una comunità sul lago di Como. All’epoca (!) era la next big thing della scena e stava per uscire l’album della sua consacrazione, Innocente. Oggi è il rapper italiano più ascoltato all’estero, ha scalato le classifiche di 30 paesi con più di 1,5 miliardi di stream complessivi, e – complice un mercato discografico sempre più vampiro e sempre più accelerato – è già pronto con un nuovo album L’angelo del male, il cui peso specifico secondo i canoni del trap business si misura già prima dell’uscita calcolando il valore dei featuring: qui ci sono praticamente tutti i big, da Marracash a Geolier, passando per Lazza, Tedua (questi due addirittura nello stesso pezzo), Sfera Ebbasta, Guè, Rkomi, Fabri Fibra. Tanti, troppi, a rischio indigestione.

E l’effetto è quello, al netto del flow talentuoso di Zaccaria: un po’ come il PSG degli sceicchi, o Cristiano Ronaldo nel campionato saudita, il rap di oggi è, per eccesso di domanda e di offerta, sempre più pimpato, conformista e prevedibile, roba da Playstation o ChatGPT. Baby Gang rappa su un copione già scritto, i temi sono sempre i soliti del gangsta della provincia italiana in chiave neorealista: armi, droga, sbirri, rivalsa, rispetto, rabbia, soldi. Non si può certo fargliene una colpa, è il suo mondo, e non ha neanche avuto il tempo di declinarlo al futuro con nuove esperienze, essendo stato chiuso tra domiciliari e studio fino a ora, e avendo sfornato in batteria quasi un singolo o un featuring ogni due settimane da un anno a questa parte. Ma qualcosa da salvare, al di là delle sicure vette che raggiungerà nello streaming, c’è.

Baby Gang - LIBERI (Official Lyric Video)

Prima di tutto la naturalezza nel rappare su ogni tipo di beat, dall’hip hop classico di Millionaire alla bachata di Madame, dalla latin trap di Sola all’EDM zarra di Assistente sociale, alternando flow scurissimi a quelli più mellow e arabeggianti. Sono però solo due i pezzi del disco su cui vale la pena spendere parole, per il fatto di essere stortamente real, quasi dei riusciti difetti di fabbrica del rap game attuale: il primo è Liberi, una sorta di inno/coro da stadio per galeotti (“chi non salta con noi è un infame”) che richiama subito alla mente l’attualità delle violenze degli agenti del Beccaria, il carcere minorile di cui Baby Gang è stato ospite. C’è tutta la poetica di strada del rapper, vittima piena di rabbia della società (“odio gli auguri di Natale, odio gli auguri di compleanno, Natale non c’era Babbo Natale, regalo non c’era al compleanno”), spalmata su un beat commerciale di facile presa come fosse il tormentone estivo di quelli che l’estate non la vivono mai (“Ci trattano male, sto in isolamento e voglio solo cantare”).

Il secondo è puro turbo folk trap da festa di paese, si intitola semplicemente Italiano e ha la complicità di Niko Pandetta: è grandiosamente tamarro, con accenni di neomelodico, e un testo di una basicità disarmante (“italiano urla e strilla allo stadio di Marsiglia… urla come un ultras, e a chi non capisce gli rispondiamo Suca!”).

Forse è questo il futuro, una gigantesca sagra della salsiccia brandizzata Supreme con tifosi pronti ad andare incontro alle cariche della polizia. Speriamo di no, ma abbracciamo per disperazione questa distopia urban e fuori dal coro del nuovo Baby Gang, ormai un arci-italiano: è il suo mondo quello con cui dobbiamo fare i conti oggi e non possiamo delegarne il racconto alle webzine per adolescenti o al mantra moralizzatore di destra dei talk di Rete 4 che vorrebbero liberarsi per decreto di Baby e di tutti i trapper di seconda generazione.

Baby Gang - Italiano feat. Niko Pandetta (Official Lyric Video)

L’unico della scena finora a portare Zaccaria nella dimensione che merita è stato Fabri Fibra chiamandolo a rappare nella riedizione del suo singolo In Italia, proprio per rappresentare una nuova parte di società che il resto della scena culturale ancora ignora o declassa a intrattenimento trash per maranza. Lo stesso non è riuscito a fare l’artista con il suo nuovo disco: forse si sarebbe potuto permettere di radunare intorno a sé il meglio di una nuova scena dal basso, meno nota di Blanco o Sfera, ma che avrebbe sottolineato meglio quello che il suo successo rappresenta oggi, lontano da Sanremo, talent e hit estive, “dalla gente per la gente” come accadde ai Club Dogo più di un decennio fa.

L’augurio che gli possiamo fare è di andare dritto per la sua strada senza accettare i consigli dei discografici che vogliono solo battere cassa, rinunciando la prossima volta a produrre un album monstre di 16 tracce e concentrandosi sull’evoluzione del racconto, in solitaria, come fa nei primi pezzi del disco – Guerra e Bloods & Crips – prima di abbandonarsi al compromesso dei featuring e a inutili tentativi di canzonette (tra tutte la più inutile è Serenata gangster con Rocco Hunt). Se succederà, non sarà Baby ad andare a Sanremo, ma Sanremo ad andare da lui.

Quello che ci dimostra, più del disco, la storia di questo ragazzo – oggi ai domiciliari senza poter fare interviste per promozione e suonare al Forum la sua musica – è che il rap come ascensore sociale è una gran fregatura, un flop dovuto a una sottovalutazione del potenziale: l’ascensore ormai è rotto da tempo, tocca trovare nuove strade, meglio se in gruppo, e Baby Gang ha tutto il potenziale per tracciare la sua.

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