Quel giorno che Morricone a Santiago del Cile si infuriò con me e col vento | Rolling Stone Italia
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Quel giorno che Morricone a Santiago del Cile si infuriò con me e col vento

Uno stadio, la partitura che rischia di volare via, un autografo chiesto timidamente, forse nel momento sbagliato: Enrico Gabrielli (Winstons, Calibro 35) ricorda il suo incontro col grande compositore

Quel giorno che Morricone a Santiago del Cile si infuriò con me e col vento

Enrico Gabrielli

Foto: Giambattista Sturla

Lo conobbi una sola volta, e di sfuggita. Aprivamo il suo concerto con orchestra con Mondo Cane all’Estadio Bicentenario de La Florida di Santiago del Cile. Ricordo che era furioso durante le prove per via del vento che faceva sventagliare la partitura (non ricordo che brano fosse, ma credo uno dei suoi classici western). Qualcuno si mise a tenergli ferme le parti con le mani, in una posizione che pareva più di preghiera che d’aiuto. Nonostante ciò era adirato con la condizione di disagio. Ce l’aveva letteralmente con il vento. Se avesse potuto lo avrebbe preso a pugni.

Non appena finì la prova discese dal podio e si avviò verso l’uscita con il codazzo assistenziale che lo scortava. Io (ero con Asso Stefana, ricordo) provai timidamente a chiedergli un autografo poco prima di sparire dalla vista. Avevo con me solo un biglietto del treno. Lui scocciato (forse per la pessima qualità del foglietto o per la nostra semplice presenza fisica) mi fa: «me ne devo andà in albergo…». Balbettai qualcosa. E per minimo senso di pietà dovette cedere e fece la signature sul mio pezzo di carta. Scarabocchiò qualcosa come neanche un medico della mutua, e ci tenne specificare: «questo è un autografo, non è una firma». Come a dire: le firme si fanno per cose importanti.

Il suo nervoso però era anche causato dalla notizia dell’apertura di Mondo Cane che non gradiva e di cui non era stato informato dall’organizzazione. Aveva deciso di far spostare l’intera schedule del concerto dimodoché ad aprire fu lui con l’orchestra di 80 elementi. Noi suonammo dopo. E mentre suonammo lui se ne andò.

Da oggi, 6 luglio 2020, mille città italiane daranno il nome Ennio Morricone ad una via. L’ultimo grande compositore del Novecento, versatile, sfaccettato, multiforme. Degno prosecutore dell’opera di Puccini, dell’operato dei serialisti italiani, irraggiungibile maestro di musica di consumo nella declinazione più profonda, immenso conoscitore dell’animo cinematografico umano.

Di quello sgorbietto incomprensibile scritto sul foglietto (un Ennio stilizzato? Un Morricone compresso? Un prego, grazie, boh? Chissà…) che riportai in Italia nel fondo di una valigia nel tempo persi le tracce. Era il 2013. Con il senno di poi, lo avrei tenuto in serbo volentieri. L’autografo di una leggenda, o anche il solo gesto grafico, o pur anche uno scarabocchio del cavolo è leggenda essa stessa. Addio Morricone.

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