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Quanto inquinano streaming e vinili?

Digitale e vinili hanno un impatto ambientale considerevole. Il primo è un inquinante a tutti gli effetti, dato che i servizi di streaming si appoggiano ai server che necessitano di una grossa quantità di energia elettrica; i secondi sono realizzati in PVC e, spesso, richiedono un processo dispendioso in termini di tempo che consuma molta energia e non è sostenibile

Quanto inquinano streaming e vinili?

Foto by Hayley Madden/Redferns

Il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per i servizi di streaming non è mai stato così accessibile, mentre l’impatto ambientale dell’ascolto della musica non è mai stato così alto. Lo avevano già dichiarato due ricercatori, Kyle Devine professore dell’Università di Oslo e Matt Brennan dell’Università di Glasgow che nel 2019 condussero insieme uno studio in cui emerse che la quantità di plastica utilizzata per registrare documenti fisici sia precipitata da 61 milioni di chilogrammi negli anni Duemila a circa 8 milioni di chilogrammi nel 2016.

Ma l’energia necessaria per lo streaming e il download di musica digitale ha causato delle conseguenze. Lo studio riporta che il consumo di musica negli anni Duemila ha comportato l’emissione di circa 157 milioni di chilogrammi di equivalenti di gas serra; ora la quantità di gas serra generata dall’energia necessaria per trasmettere la musica per lo streaming è più che raddoppiata. Il settore ha già iniziato a mitigare l’impatto del live, ma se teniamo presente che le persone abbonate a piattaforme di streaming musicale in tutto il mondo sono circa 487 milioni, molto resta ancora da fare.

Il digitale è infatti un inquinante a tutti gli effetti: tutte le volte che premiamo Play inquiniamo, perché i servizi di streaming si appoggiano ai server che necessitano di una grossa quantità di energia elettrica. Inoltre se si ascolta un brano solo una volta, probabilmente è meglio scaricarlo ed evitare tutta la plastica. Ma se invece l’intenzione è di ascoltare quel pezzo più volte allora è meglio acquistare l’LP e poi tenerlo. Negli ultimi anni i vinili hanno ripreso a scalare le classifiche di vendita, spodestando lentamente i CD-ROM. Non riescono però a scalzare lo streaming musicale, che costituisce oltre il 50% delle entrate del settore.

I vinili sono uno strumento eccezionale per la riproduzione del suono ma sono realizzati in PVC che può essere inquinante per l’ambiente, soprattutto quando è realizzato con materiali pesanti come il piombo e con un processo dispendioso in termini di tempo che consuma molta energia e non è sostenibile. Un solo disco produrrebbe circa 0,5 kg di CO2, senza considerare l’inquinamento dovuto al trasporto e agli imballaggi. C’è poi da considerare che la plastica usata per la loro produzione è difficile da riciclare a causa della massiccia presenza di un componente tossico, il cloruro.

Per rendere il vinile più sostenibile si potrebbe incominciare con il fare stampe più leggere, stampe da 140 grammi rispetto ai 180, così da utilizzare il PVC prodotto nel modo più ecologico risparmiando risorse, plastica e acqua. C’è anche chi si sta specializzando nel riciclaggio di vecchi dischi e nell’utilizzo di ritagli di vinile. E c’è chi ha sviluppato un processo di produzione sostenibile e alternativo per gli LP. Come la Green Vynil records, un collettivo di otto aziende olandesi, che utilizza una tecnica dello stampaggio a iniezione anziché sulla pressatura. E sostituisce la plastica con un materiale ecologico. 

Nei Paesi Bassi Chris Roorda appassionato collezionista di vinili e dj, è considerato un leader nel campo della stampa sostenibile di vinili ecologici. Ha fondato in un ex prigione la Deepgrooves Vynil Pressing Plant, un’azienda quasi totalmente ecologica perché realizza dischi “green” senza che venga compromessa la qualità del suono e utilizza “plastica” biodegradabile e spedizioni a emissioni zero. «Ci sono ancora alcune sfide da affrontare, ma ci sforziamo di produrre in modo completamente circolare nel prossimo futuro, si spera già il prossimo anno. La nostra produzione si basa innanzitutto sulla qualità, perché quando si producono dischi dal suono non buono, non saranno sostenibili perché le persone cercheranno dischi dal suono migliore, il che è uno spreco totale di tutta l’energia. Per iniziare con una produzione verde non si deve solo pensare alla produzione stessa, ma anche occuparsi della pre-produzione, delle fonti energetiche e della post-produzione», spiega Chris Roorda a Rolling Stone. «Le macchine che utilizziamo per battere i nostri dischi funzionano con energia verde e rinnovabile, gas verde ed energia solare, il tutto alimentato da fornitori locali. I dischi che stampiamo sono realizzati con linee di produzione totalmente nuove che hanno un sistema di riciclo interno completo che è anche circolare. La nuova infrastruttura, in combinazione con l’ingegneria ad alta tecnologia, consente di risparmiare molta energia e produce il minor numero possibile di rifiuti con granulato a base di stabilizzanti carbonio-zinco ecologici. Lavoriamo anche con una catena energetica altamente efficiente e come standard utilizziamo etichette Tullis Russell ecocompatibili e copertine realizzate con inchiostro vegano. L’imballaggio è biodegradabile e anche la spedizione è carbon neutral».

Roorda lancia un messaggio: «Il mercato fisico è ancora essenziale e importante per garantire che la musica sopravviva e venga trovata in futuro. Con la nostra alternativa verde diamo agli artisti e alle aziende una prova futura, nuovi modi per dare un segnale forte ai loro acquirenti e fan. La musica e uno standard di produzione ecologico e sostenibile dovrebbero, a nostro avviso, essere significativi sia per gli artisti che per il loro pubblico e fan per consentire alla musica di vivere una vita eterna su un disco, con tutti i vantaggi come opere d’arte e identità, senza essere dannosi per il nostro pianeta».

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