Quando Elvis faceva karate in studio | Rolling Stone Italia
Musica

Quando Elvis faceva karate in studio

La storia delle session di ‘From Elvis in Nashville’, il box set che potrebbe convertire i detrattori più accaniti, compresa la volta in cui Presley ha disarmato un suo scagnozzo, distruggendo una chitarra

Quando Elvis faceva karate in studio

Elvis Presley nel 1970

Foto: RB/Redferns

Nel giugno del 1970, Elvis Presley ha riunito alcuni dei migliori session men di Nashville per una jam all’RCA Studio B di Music Row, Nashville. Le canzoni le sceglieva lui, un repertorio che andava da Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel e Faded Love di Bob Wills, fino a Funny How Time Slips Away di Willie Nelson e Patch It Up di Eddie Rabbitt. Le session somigliavano a maratone e ai musicisti e allo stesso Elvis veniva un gran fame.

Charlie McCoy, il polistrumentista che aveva iniziato a registrare con Elvis per la colonna sonora del pessimo Avventura in oriente, nel 1965, ricorda alla perfezione i cheesburger e le patate fritte che trasformavano la sala regia in un self service. Lui e i suoi colleghi – come il batterista Jerry Carrigan e il bassista Norbert Putnam – si mettevano in fila e riempivano i piatti. Hanno presto capito che alcuni piatti erano off limits.

«C’era una grossa coppa piena di sottaceti kosher», dice McCoy a Rolling Stone, «Jerry Carrigan si è avvicinato per prenderne uno, e una mano venuta fuori dal nulla l’ha fermato all’ultimo. Era uno della Memphis Mafia, che ha detto: quelli sono di Elvis». McCoy ride al ricordo dei ragazzi dell’entourage di Elvis onnipresenti e sempre sulla difensiva, tizi pittoreschi come Joe Esposito e Red West. «Elvis gli avrebbe dato l’intera coppa, ma quei tizi erano molto protettivi».

C’era un posto, però, dove persino la Memphis Mafia non osava mettere piede: l’interno dello studio. «Mentre registravamo, non li vedevo mai in giro», racconta McCoy. Era uno spazio sacro, dove Elvis era libero di creare e di sentire le vibrazioni dei musicisti. Il nuovo box set From Elvis in Nashville porta i fan esattamente in quello spazio dove nessun altro poteva andare. Attraverso 74 tracce, il cofanetto di quattro dischi vi trasporta al centro della sala d’incisione con Elvis e col chitarrista James Burton e i session man della Music City chiamati un po’ da tutti Nashville Cats, tra cui Carrigan, Putnam, il pianista David Briggs e l’asso dell’armonica McCoy.

Come i precedenti cofanetti pubblicati da RCA/Legacy Recording – Prince From Another Planet, Elvis at Stax e Way Down in the Jungle Room, tra gli altri – From Elvis in Nashville è il sogno di tutti i fan di Presley, una collezione di performance furiose che convertirebbero anche i critici più ostinati di Elvis. Dura quattro ore e 25 minuti, e ascoltarlo è un’esperienza elettrizzante.

Le session allo Studio B diedero vita a tre album: That’s the Way It Is, Elvis Country (I’m 10,000 Years Old) e Love Letters from Elvis. Ognuno di questi dischi aveva i suoi momenti forti, ma erano sovraprodotti. In teoria That’s the Way It Is è la colonna sonora del film-concerto Elvis Presley Show, in realtà è composto principalmente da registrazioni in studio, appesantite da una sezione d’archi e di fiati. In From Elvis in Nashville quelle distrazioni sono eliminate e possiamo finalmente concentrarci sulla voce di Elvis e sull’intesa tra i membri della band.

Elvis il 4 giugno 1970 allo Studio B di Nashville. Foto: JAT Publishing

Il nuovo mix è opera di Matt Ross-Spang, il fonico di Memphis che ha lavorato ai dischi di Jason Isbell e Margo Price, che qui ha dissezionato ogni traccia insieme al produttore Ernst Mikael Jorgensen. Ross-Spang dice che il processo è stato molto più complesso della rimozione degli strumenti.

«Le sovraincisioni suonavano splendidamente bene, ma è stato forte toglierle per ascoltare cosa fanno tutti gli altri», dice citando la versione di Elvis della ballata di Hank Cochran Make the World Go Away come uno dei suoi esempi preferiti. «Ernst era seduto accanto a me e diceva: devi capire che questo è il ’70 o ’71, il matrimonio di Elvis con Priscilla stava… arrancando. Poi lo senti cantare quel pezzo e pensi: ok, sto per piangere. Non stiamo parlando solo di ascoltare la musica, ma anche di capire lo stato d’animo di Elvis all’epoca».

Ballate come Make the World Go Away, How the Web Was Woven e Twenty Days and Twenty Nights raccontano bene questo il lato più contemplativo di Presley. Canta con vulnerabilità ed espone il suo tormento.

Al di là della grande forza delle ballate, sono le chiassose jam country-soul che rendono il cofanetto irresistibile. Elvis canta senza freni, la band è scatenata e travolgente in Got My Mojo Working / Keep Your Hands Off of It, I Washed My Hands in Muddy Water e Whole Lotta Shakin’ Goin’ On. Presley si lascia scappare più di una parolaccia, sopraffatto dall’energia sprigionata nella stanza. Alla fine del medley con Got My Mojo Working, qualcuno in sala grida «cazzo sì!» e il capo se la ride. «Non è musica buona e nemmeno pessima, è roba mediocre», dice Elvis alla fine della performance. Si sbagliava di grosso.

Patch It Up, che nell’album That’s the Way It Is non aveva mordente, qui è feroce, con Elvis che fa scat sul potente arrangiamento della band. È «uno dei brani rock più impetuosi del catalogo di Presley», scrive David Cantwell nelle note di copertina. «Il merito è di Putnam e Carrigan, per le ritmiche fragorose e roboanti, e di Burton che suona la chitarra elettrica in maniera folle».

«Non vogliamo cambiare la storia», dice Ross-Spang dei nuovi mix, sottolineando il valore degli originali anni ’70 curati dal produttore Felton Jarvis e del fonico Al Pachucki. «Ma è straordinario, con le possibilità che abbiamo ora, tornare indietro e mostrare quanto Elvis fosse coinvolto nella musica e nelle canzoni».

In agosto all’International Hotel di Las Vegas. Foto: Ernst Mikael Jørgensen e Pål Granlund

Un anno prima Elvis era tornato a calcare un palco di Las Vegas e voleva anche mettere in piedi un vero show. Con i ragazzi della Memphis Mafia in giro per lo studio, non era mai senza pubblico e a volte quell’energia era difficile da contenere. McCoy ricorda che una volta Elvis l’ha trasformata in una lezione di karate. «Qualcuno gli ha chiesto cosa avrebbe fatto se un uomo l’avesse minacciato con una pistola. Lui ha riposto che l’avrebbe disarmato». Presley ha chiamato Red West e gli ha detto di portarsi la pistola. Il chitarrista Chip Young era lì a pochi passi.

«Ha detto: forza, prova ad aggredirmi, Red. Lui ci tenta ed Elvis lo colpisce con una mossa di karate facendo volare per aria la pistola, che si conficca nel retro della chitarra acustica di Chip», ricorda McCoy. Elvis si è subito offerto di comprarne un’altra, ma Young ha rifiutato: «Vorrà dire che sarò l’unico uomo al mondo con una chitarra bucata da Elvis».

«Suonavamo tutta la notte», dice McCoy delle session selvagge che duravano dall’alba al tramonto. «Elvis dormiva di giorno e arrivava bello pronto per partire. Io invece uscivo dallo studio giusto per fare colazione e ci tornavo subito dopo per la session successiva».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

Altre notizie su:  Elvis Presley