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La playlist jazz-funk di Mistura Pura

La produttrice Federica Grappasonni racconta la musica che ha influenzato ‘The Blue Bus’, il disco nato su un vecchio bus abbandonato nella campagna pugliese: jazz e funk “into the wild”

La playlist jazz-funk di Mistura Pura

Mistura Pura (Federica Grappasonni)

Foto press

È una storia alla Into the Wild, ma senza drammi, ambientata in Puglia e non in Alaska, con una colonna sonora jazz-funk al posto di chitarre acustiche e ukulele. Per un anno, la produttrice Federica Grappasonni, in arte Mistura Pura, ha vissuto in un bus abbandonato da una coppia di induisti tedeschi nelle campagne di Serranova, in provincia di Brindisi. Da quell’esperienza è nato l’album The Blue Bus che strizza l’occhio al jazz-funk anni ’70, mescolando un ampio spettro di influenze.

«Nella mia collezione di vinili» spiega Grappasonni a Rolling Stone «ho tutta una serie di album che hanno influito sul mio modo di intendere, percepire e riprodurre i suoni». Per noi, ha scelto alcuni estratti da 5 di quei 15.000 vinili.

“Haitian Fight Song” Charles Mingus


Quando penso al concetto di groove nel jazz il primo musicista a venirmi in mente è Charles Mingus. Di questo imprevedibile contrabbassista dal sangue misto amo i riff ritmici e travolgenti del suo strumento teso alla ricerca di una linea serpeggiante. In Haitian Fight Song il suono profondo e il tono legnoso del contrabbasso è inebriato dall’istintiva attitudine ritmica e melodica di Mingus, qui agli eccelsi, per poi cedere ad impulsi più nevrotici. È sì la sua protesta nei confronti delle disuguaglianze razziali ed etniche ad inferocirlo, ma c’è anche tanta libertà di espressione.

“Fim de semana em Eldorado” Tenório Jr.


Accendo un faro sulla figura del pianista brasiliano Tenório Jr, scomparso in circostanze misteriose mentre era in tour in Argentina con Vinicius De Moraes e Toquinho. La sua unica pubblicazione nel ’64 Embalo ci racconta di un virtuoso del samba jazz. La formazione è compatta e ben amalgamata, ma in questo brano in particolare resta sensazionale il dialogo con il batterista Milton Banana (inventore dello stile di batteria tipico della bossa nova) che si mantiene in perfetto equilibrio con il feeling del tema fino a fondere le bacchette in modo sublime con il piano.

“Harlem River Drive” Bobbi Humphrey

Ogni elemento è perfettamente al suo posto. In tutto l’album c’è un’atmosfera rilassata ed è facile capire perché attrae un pubblico che arriva dall’r&b e dal pop di quel periodo. È la Blue Note degli anni ’70 che trova nel genere fusion/jazz-funk la nuova strada. Flautista amata da Stevie Wonder, Bobbi Humphrey è alla guida di quella che considero la perla di tutto l’album, prodotto dagli innovativi gemelli Mizell. Ci sono anche Harvey Mason alla batteria e un uso del sintetizzatore Arp in grado di plasmare un suono progressivo e attraente su tutta la linea.

“Pricilla’s Theme” Roy Ayres


Via ogni tabù e fine della censura cinematografica. Siamo a cavallo tra i ’70 e gli ’80, è il momento dei film di blaxploitation negli Stati Uniti (si differenziano dagli exploitation per la presenza di attori afroamericani). Se non è il contenuto della pellicola a gratificare il pubblico, nelle sale cinematografiche ad imporsi sono le colonne sonore che divulgano il meglio del jazz-funk e del latin funk. Qui si colloca Coffy, la cui musica è composta, arrangiata e prodotta dal vibrafonista Roy Ayers che vola al numero 31 nella classifica degli album jazz.

“Languta” Hugh Masekela


Qui non c’è niente di afrobeat ma c’è comunque l’influena di grazie a Fela Kuti, «senza il quale questo album non sarebbe stato possibile», come si legge nei crediti del disco. Hugh Masekela, il grande trombettista di Johannesburg, fa squadra con la band ghanese Hedzoleh Soundz che gli ha presentato l’amico Fela. Ci regala un’Africa Occidentale del ’73 dai canti più tradizionali, con tanto funky groove accompagnato dagli assoli di corno jazz improvvisati di Masekela, percussioni delicate e graditissimi assoli di chitarra qua e là.

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