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«I cantanti dei miei sogni»: la playlist di Humanist

Per registrare il suo disco, Rob Marshall si è fatto aiutare da un cast incredibile di cantanti, tra cui Mark Lanegan e Dave Gahan. Gli abbiamo chiesto di scegliere i pezzi grazie ai quali si è innamorato di quelle voci

Humanist è il progetto solista di Rob Marshall, produttore e musicista nato a Teesside – una cittadina nel nordest inglese – e cresciuto con il mito di Jimi Hendrix, Beach Boys e T-Rex. Il debutto, uscito a febbraio per Ignition Records, è stato presentato come «una corsa nel futuro del rock’n’roll, un Niagara di rumore e melodie industriali». Marshall ha suonato praticamente tutti gli strumenti, ma ha lasciato il microfono a un cast di cantanti straordinari, tra cui Dave Gahan, Mark Gardner e soprattutto Mark Lanegan, con cui aveva già collaborato a Gargoyle e Somebody’s Knocking.

«Un po’ so cantare, e ho scritto alcune delle parti vocali, ma ho sempre preferito l’arte della collaborazione», ha detto, «credo dipenda dal fatto che ho suonato in band per tutta la vita. Avevo una lista di “cantanti dei sogni”, l’ho passata al mio manager con un po’ di demo e mi aspettavo una lunga trafila di no. In realtà, hanno quasi tutti detto sì». Non solo, tutti i musicisti coinvolti hanno scritto anche i testi: Marshall si è limitato a scegliere i titoli e suggerire i temi del disco, un concept su «vita, nascita, morte, religione, mortalità. Parla di creazione contro evoluzione, inferno contro paradiso, la tomba contro la vita eterna, e di come gli uomini reagiscono a questi concetti».

Abbiamo chiesto a Marshall di scegliere le canzoni preferite dei cantanti con cui ha collaborato. Ecco la sua playlist.

“Here On In” South (Joel Cadbury)

«La mia canzone preferita dei South. Probabilmente è il brano centrale di tutto l’album, e sono sempre felice di riascoltarla. Tutte le parti e gli elementi del pezzo si allineano alla perfezione e danno vita a una canzone toccante, euforica ed emozionante. Amo il modo in cui le chitarre si scontrano. E la voce di Joel è giovane, sporca, con una fragilità che arriva dritto al cuore».

“Living Room” David Holmes, Carl Hancock Lux

«Questa è la prima canzone in cui ho ascoltato la voce di Carl. Sono un grande fan di David Holmes, le sue produzioni non sono seconde a nessuno e per questo non mi ha sorpreso ascoltare questo pezzo ipnotico e prodotto perfettamente. Quello che mi ha sorpreso, invece, è l’incredibile voce del cantante. Una voce che chiedeva di essere ascoltata. In più, scrive testi incredibili e difficilmente replicabili. Dovevo lavorare con lui».

“Strange Religion” Mark Lanegan

«C’è tantissima scelta nel suo incredibile catalogo di canzoni, ma questa in particolare è un classico. Almeno lo è per me. Di recente ho visto un episodio di Parts Unknown di Anthony Bourdain, c’era anche Mark e il pezzo ha preso una piega ancora più straziante. È difficile guardare quell’episodio senza sentirsi svuotati. Con quella canzone sembrava quasi un film, ti fa riflettere e ti spezza il cuore. La morte di Bourdain ha rappresentato una grande perdita per il mondo e quella canzone è straordinaria per riflettere su come è successo. Tutti i pezzi di Mark finiscono per emozionarti, ma ho sempre adorato questo in particolare».

“Should Be Higher” Depeche Mode (Dave Gahan)

«Anche i Depeche Mode hanno registrato tante canzoni incredibili. Credo che questa sia relativamente sconosciuta rispetto alle altre hit, ma la adoro. La voce di Dave è sconvolgente e la melodia spacca. I ritornelli, in particolare, sono epici: “Le tue bugie sono più attraenti della verità, voglio solo amore”. Quel synth, e quel groove… Credo l’abbia scritta proprio Dave. Gran pezzo».

“Shakedown” Thee Hypnotics (Jim Jones)

«Che pezzo! Un sacco di energia, e allo stesso tempo molto controllo. Non ho mai visto gli Hypnotics dal vivo, ma sono sicuro che fossero grandiosi. Jim ha una grande voce e molto stile. È roba seria, e ammiro come cerchi sempre di superare i suoi limiti. Si disarma e si reinventa di continuo. È uno dei grandi frontman della musica».

“Black Is the Colour” The Membranes (John Robb)

«Questo è un pezzo relativamente nuovo nel catalogo di John. Lo conosco da anni e lo vedo spesso, ma ci siamo incontrati solo quando i Membranes hanno suonato in un vecchio programma, Vintage TV. Hanno suonato tre canzoni e una era Black Is the Colour. È heavy, piena di suoni mistici, cori e grandi chitarre. John ballava sul palco in maniera enigmatica, sembrava posseduto. Sapevo che le nostre strade si sarebbero incontrate. Ed è successo. Qualche mese dopo, a St. Leonard, abbiamo resuscitato un fantasma tutto nostro».

“What We Came For” Ilse Maria

«Ilse è una nuova artista. Negli ultimi anni abbiamo collaborato a diverse tracce: il suo debutto uscirà presto, ed è pieno di belle canzoni. Ascoltate What We Came For, uno dei punti più alti del disco. Ilse non ha solo una voce straordinaria, ma anche un modo unico di scrivere e arrangiare. Le sue canzoni sono ricche di voci splendide che si mischiano insieme con uno stile immediatamente riconoscibile. Avevo bisogno di un pezzo così nel mio disco, e sono orgoglioso di avercela fatta. Ascoltate il suo debutto».

“Dreams Burn Down” Ride (Mark Gardener)

«Probabilmente è ovvio per i fan dei Ride, ma per me questo pezzo rappresenta perfettamente il gruppo: riff enormi, chitarre melodiche che si scontrano con la voce sognante di Mark. È noise e ha un’energia colossale. Mi ricorda la mia prima band, quando eravamo uno sopra l’altro nel retro di un van, tutti con le cuffie a sognare di salire sul palco e ritrovare quel suono che sentivamo nelle orecchie».

“Nowadays” Ron Sexsmith

«L’ultimo poeta trovatore e un cantautore sublime. Ron dovrebbe essere molto più conosciuto da molta più gente. Ha un modo insolito e meraviglioso di usare le parole. Davvero bello. Si merita tutti i complimenti che la critica gli ha fatto. La sua voce passa su questo pezzo come l’acqua sulle rocce, senza sforzo. È stato davvero soddisfacente lavorare con lui. Non potrei rispettarlo più di così, che uomo meraviglioso».

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