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Onore al Wagner del pop

Jim Steinman ha ridefinito il concetto di melodramma rock. Odiato dai critici, amato dal pubblico, scriveva canzoni populiste ed enfatiche, perfette per essere stonate a tutto volume al karaoke

Onore al Wagner del pop

Jim Steinman nel 1989

Foto: Niels van Iperen/Getty Images

In un periodo meno sfortunato di questo, saremmo tutti al karaoke a rendere onore a Jim Steinman. Non era solo il compositore delle hit mega-bombastiche di Meat Loaf, Bonnie Tyler, Celine Dion, Air Supply. Era il santo patrono dei cantanti di karaoke. La sua idea di canzone perfetta prevedeva scintille ed esplosioni, era quella che chiunque può cantare a squarciagola. Prendete un inno da karaoke tipo Total Eclipse of the Heart, Two Out of Three Ain’t Bad, Paradise by the Dashboard Light o It’s All Coming Back to Me Now: probabile che l’abbia scritto lui. Ne ha fatto una forma d’arte. Ecco perché i fan del karaoke d’ogni parte del mondo piangono la sua morte, solo che, come in Two Out of Three Ain’t Bad di Meat Loaf, non escono lacrime, ma ghiaccioli.

Di sé diceva: «sono il piccolo Richard Wagner». È sempre stato all’altezza di questa definizione forgiando uno stile rock «finto operistico». La sua idea di musica era meravigliosamente democratica: con le sue canzoni chiunque poteva sentirsi una rock star. Viveva per farci cantare a squarciagola, per trasformarci tutti in piccoli Meat Loaf. Ecco perché gli amanti del karaoke gli devono qualcosa.

Anni fa ho scritto un libro sul karaoke. L’ho titolato come uno dei suoi passaggi più famosi: Turn Around Bright Eyes. Durante una presentazione nell’Upper West Side di New York, un tizio del pubblico mi ha chiesto del titolo. Sono partito in quarta con una dissertazione sul genio di Jim Steinman, sul fatto che non abbia mai ricevuto il rispetto che meritava, su come le sue creazioni fossero la perfetta rappresentazione dello spirito populista del karaoke. Alla fine della presentazione il tizio si è presentato: era il fratello di Steinman. Mi disse che Jim aveva comprato il libro online, apprezzando la citazione. Gli ho lasciato una copia autografata per il fratello: per un fan come me una Total Eclipse of the Heart. E del resto la prima riga del libro dice: “Once upon a time, I was falling apart. Now I’m always falling in love”, dal tributo del 1999 della Beta Beta The Hard One.

Steinman veniva dal teatro, ma è diventato incredibilmente popolare solo quando ha incontrato un cantante da bar di nome Meat Loaf. Sulla copertina del loro best seller Bat Out of Hell c’era la scritta “Canzoni di Jim Steinman”, un’ostentazione inedita per l’epoca. Adorava il suo ruolo. Si definiva «il Dr. Frankenstein che ha creato il personaggio di Meat Loaf». La cosa non aiutava a mantenere serena la relazione fra i due e una volta il cantante gli ha tirato addosso un pianoforte a mezza coda. «Siamo influenzati da Bruce Springsteen», ha detto nel 1978, «ma le nostre canzoni non hanno a che fare con la strada come le sue. Sono più una combinazione di West Side Story e Arancia meccanica».

Uno dei pezzi più celebri di Meat Loaf scritti da Steinman diceva: “farei di tutto per l’amore, tranne quello”. Eppure la sua grandezza risiedeva proprio nella spudoratezza con cui cercava sempre quello: non c’era ritornello troppo enfatico o ridicolo per lui. Volevate un duetto fra Bonnie Tyler e Todd Rundgren chiamato Loving You’s a Dirty Job (But Somebody’s Gotta Do It)? Uno Cher-Meat Loaf titolato Dead Ringer For Love? Oppure un pezzo disco-rock come Rock Me Tonight che ha distrutto la carriera di Billy Squier? Steinman rispondeva all’appello.

Anche cambiando l’interprete, lo capivi quando una canzone era di Steinman. Scriveva ballate pianistiche lunghe e melodrammatiche, spesso con titoli chilometrici, rovesciamenti di cliché, batteria alla Phil Spector, cori. E ovviamente cambi di tonalità. Come disse nel 1989 a Melody Maker, «mi spiace che alla gente non piaccia il mio stile, per me è roba buona, ma non è che mi metto lì a tavolino a pensare: bene, ora scrivo un altro pezzo epico e megalomane».

In sala d’incisione era il prototipo dello Svengali che non concede quasi mai il controllo all’interprete. Lo ammetteva pure lui: «In pochi casi m’interessa quel che pensa l’artista. Non m’interessa quel che Bonnie Tyler vuole fare. Non penso che abbia una coscienza precisa di quel che fa». Per un breve periodo ha lavorato coi Def Leppard che definì «interessanti, nel modo in cui uno scienziato trova interessante una strana specie di insetto».

Ha avuto una sola hit a proprio nome, Rock and Roll Dreams Come Through cantata da Rory Dodd, un nome che magari non avete sentito, ma la voce la conoscete bene: è quella che canta “turn around, bright eyes” in Total Eclipse. Nel 1979 Steinman ha pubblicato l’album solista Bad for Good che conteneva un pezzo dal titolo significativo Love and Death and an American Guitar. Era stato pensato come il secondo album di Meat Loaf, ma il cantante si era fottuto la voce o forse si era impaurito dopo aver sentito Dance in My Pants. Dopo anni di cause legali, Steinman e Meat si sono riuniti per Bat Out of Hell 2: Back Into Hell e Bat Out of Hell III: The Monster Is Loose.

Era in grado di scrivere canzoni per chiunque e difatti la sua discografia da autore è una delle più strane del music business e va dallo yacht rock degli australiani Air Supply (Making Love Out of Nothing at All) al rock gotico dei Sisters of Mercy (This Corrosion). Era ossessionato dai dettagli. Per Bat Out of Hell volle Roy Bittan al piano e Max Weinberg alla batteria per avere un tocco di E Street Band. Il modo in cui il piano accompagna l’assolo di batteria in Two Out of Three Ain’t Bad è Steinman in purezza.

Era gettonatissimo. Nel 1984 venne chiamato per il film Streets of Fire con Diane Lane nella parte di una rocker fuorilegge. Scrisse i pezzi della band fittizia che appariva nel film, Ellen Aim and the Attackers, ma suonavano incredibilmente bene anche fuori dal quel contesto, soprattutto l’anno Tonight Is What It Means to be Young. Springsteen non volle che nel film fosse usata la sua Streets of Fire e Steiman la prese come un sfida, un incentivo ad arrivare a sintetizzare lo spirito del Boss. Gli Attackers restano uno dei grandi gruppi rock fittizi anni ’80, anche se Diane Lane nella parte della cantante non era particolarmente credibile.

«Rolling Stone ci ha sempre odiati», ha detto una volta, uno dei pochi casi in cui non ha esagerato: tutti i critici odiavano le sue hit e speravano che sparissero in fretta. Steinman ha ispirato alcune fra le recensioni più cattive di sempre, che poi amava citare. Paradossalmente, uno dei tributi migliori che ha ricevuto è stata una stroncatura, la recensione di Mitchell Cohen del secondo album di Meat Loaf Dead Ringer pubblicata nel 1981 su Creem. Pur non piacendogli l’album, Cohen riuscì a definire lo stile inconfondibile del compositore: «Non c’è dubbio che Steinman veda la sua musica come parte della tradizione che va da Summertime Blues a Gee, Officer Krupke fino a Jungleland», una definizione perfetta (è favolosa anche questa descrizione del foglio dei testi: «l’Unione dei Tipografi ha premiato Steinmen con la Targa 1981 per la verbosità»).

Strano che uno così si sia trovato sulla stessa lunghezza d’onda del gruppo goth dei Sisters of Mercy ai tempi dei classici anni ’80 This Corrosion, Dominion e More. Come ha detto il cantante Andrew Eldritch, «This Corrision è effettivamente ridicola. È pensata per esserlo. È una canzone sulla ridicolaggine. Ecco perché ho chiamato Steinman e gli ho spiegato che volevamo un disco party organizzato dai Borgia. E lui l’ha evocato».

Se Total Eclipse of the Heart è la sua canzone più celebre c’è una ragione. Era eccessiva per le radio nel 1983, eppure da allora è stata suonata da tutti. È piena di passaggi da cantare con spudoratezza: “Turn around bright eyes”, “I really need you tonight”, “Every now and then I fall apart”. La scrisse per la cantante gallese Bonnie Tyler che fino a quel momento aveva centrato un solo successo negli Stati Uniti, il pezzo del 1978 alla Rod Stewart It’s a Heartache. È stato Steinman a trasformarla in una diva rock. Nella sua voce sentiva John Fogerty e perciò le fece cantare Have You Ever Seen The Rain nell’album dal titolo steinmaniano Faster Than the Speed of Night.

È una canzone che tutti possono cantare, ecco perché è tanto popolare al karaoke. Tutti i locali ce l’hanno, al Sing Sing sulla Avenue A è al numero 117498 (anche se è un anno che non ci vado, ancora lo so a memoria). Un po’ come tutte le sue creazioni, dà l’impressione di essere stata scritta per essere interpretata a tutta voce da un gruppo di sconosciuti ubriachi in un locale alle 2 del mattino.

Steinman è poi tornato al musical e ha scritto il libretto per Whistle Down the Wind di Andrew Lloyd Webber. Ha anche messo in piedi Bat Out of Hell: The Musical e nel 1997 Dance of the Vampires, che ha rilanciato Total Eclipse of the Heart. «L’avevo effettivamente concepita come canzone d’amore vampiresco», ha detto all’epoca. «Difatti il titolo originale era Vampires of Love, doveva finire in un musical su Nosferatu, lo si capisce dal testo. Parla del potere dell’oscurità e del posto che lì trova l’amore».

Nelle sue canzoni, Jim Steinman prendeva questa oscurità e le dava vita. Che dispiacere non potergli rendere onore in un karaoke. Come dice Bonnie Tyler in quella canzone, dobbiamo accontentarci di un po’ d’amore in questa oscurità. Riposa in pace, maestro dell’eccesso.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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