«Non possiamo perdere un'altra generazione»: la lotta per la salute mentale dei musicisti | Rolling Stone Italia
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«Non possiamo perdere un’altra generazione»: la lotta per la salute mentale dei musicisti

Chris Cornell, Keith Flint, Avicii: sono molti i musicisti scomparsi dopo aver combattuto dipendenze e disturbi psicologici, spesso alimentati da tour massacranti. Ora, con una serie di iniziative, l’industria prova a reagire

«Non possiamo perdere un’altra generazione»: la lotta per la salute mentale dei musicisti

Foto nell'illustrazione: GL Askew II; Amy Sussman/Invision/AP; Getty Images

Nel 2009, Anders Osborne aveva toccato il fondo. Era senza un soldo, gli avevano pignorato la casa, la moglie lo aveva cacciato e non poteva vedere i suoi due figli. Cercava di tirare avanti facendo qualche serata, ma dopo un po’ non poté fare più nemmeno quello: troppe volte si era presentato talmente ubriaco o fatto da non riuscire ad esibirsi. “Per quasi un anno mi sono dovuto arrangiare dormendo nel parco, oppure sul divano di qualche amico”, dice Osborne, cantautore di New Orleans, che ha all’attivo collaborazioni con molti artisti, da Phil Lesh a Tim McGraw. “Avevo rovinato tutto”.

Osborne, che al tempo aveva 42 anni, lottava da 8 contro l’abuso di sostanze e disturbi mentali, che si manifestavano in episodi psicotici e allucinazioni. “La dipendenza aveva scatenato tendenze bipolari, come stare sveglio per giorni e giorni”, racconta. “Cambiavo idea da un momento all’altro, e senza rendermene conto, mi trovavo a fare l’autostop in mezzo ai campi, sperduto nel nulla”.

La storia di Osborne non è una novità. Ogni generazione porta con sé la sua parte di musicisti con problemi di dipendenza e disturbi mentali – da Charlie Parker e Janis Joplin, a Kurt Cobain e Amy Winehouse (i due fattori sono strettamente legati: secondo i dati nazionali, circa metà delle persone che soffrono di disturbi mentali ha abusato di sostanze durante la sua vita).

È ormai palese che gli artisti in questa situazione sono davvero molti. Un’indagine della Music Industry Research Association del 2018 ha rivelato che il 50% dei musicisti sta lottando contro la depressione, a fronte del 25% della popolazione adulta generale. Circa il 12% ha dichiarato di avere tendenze suicide – circa 4 volte di più della popolazione generale. Secondo uno studio pubblicato nel 2019 dalla piattaforma di distribuzione digitale svedese Record Union, i numeri sono ancora più allarmanti: il 73% dei musicisti indipendenti combatte contro stress, ansia e depressione.

Le vendite degli album continuano a calare, le etichette e i distributori digitali divorano la maggior parte delle rendite da streaming, così gli artisti si vedono obbligati a fare sempre più tour. “Abbiamo raggiunto un punto critico, i lavoratori del nostro settore – sia gli artisti che le crew – sono diventati merce facilmente sostituibile”, afferma Kevin Lyman, fondatore della Warped Tour, professore alla scuola di musica della University of Southern California che da anni si batte per la salute mentale. “La gente deve lavorare il doppio per tenersi il posto che si è guadagnata. Le pressioni sono lievitate in modo incredibile”.

Oltre all’instabilità economica, la gig economy porta con sé una vasta gamma di fattori di stress: solitudine, facilità di accesso a droghe e alcol, relazioni messe a dura prova, abitudini alimentari sbagliate e ritmi sballati, difficoltà ad accedere ad un’assistenza sanitaria di qualità, e molti altri. “Gli artisti dell’industria musicale oggi soffrono di più perché le loro routine sono destabilizzanti”, spiega il dottor Chayim Newman, psicologo clinico di Toronto che gestisce una serie ambulatori privati per musicisti e artisti in tour. “Le lunghe ore passate in strada o in studio rendono difficile mantenere una routine salutare e relazioni sane”. O, per usare le parole di Osborne, creano “la collisione perfetta” per un esaurimento.

Anche i musicisti di alto livello non sono immuni da questi problemi, ma di solito ne sono affetti in maniera più marginale, almeno per quanto riguarda i problemi economici e di assistenza sanitaria. “Per ogni artista che vediamo su un palco, ci sono da 10 a 100 membri della crew, invisibili al pubblico, che hanno reso possibile quella performance, quel tour o quell’album”, spiega Newman. “I membri della crew sono sottoposti allo stesso ritmo estenuante dell’artista”.

Potrebbero esserci anche ragioni neurologiche dietro al grande numero di artisti che lotta contro disturbi mentali. “I centri del sistema limbico che controllano le emozioni negative tendono ad essere più fortemente situati nell’emisfero destro del cervello,” spiega Newman. “Che tradotto significa: le persone in cui predomina la parte destra del cervello – come gli artisti, per cui è più semplice entrare in contatto con i propri sentimenti – tendono ad avere predominante quella parte del cervello che crea più emozioni negative,” continua. “Potremmo addirittura dire che esiste una predisposizione”.

Inoltre, i musicisti sono soggetti anche a sconvolgimenti fisici dovuti alle esibizioni. “L’adrenalina e l’ansia da palco causano negli artisti un’intensa stimolazione del sistema simpatico”, dice Newman. “È quasi l’equivalente di uno stato di panico, con la differenza che è indotto da circostanze volontarie”.

Negli ultimi anni, questi problemi hanno portato a risvolti tragici e allarmanti. Solo nel 2019, David Berman dei Silver Jews, il chitarrista Neil Casal, Jeff Austin, fondatore della Yonder Mountain String Band e il cantante dei Prodigy Keith Flint sono tutti morti per suicidio. Due anni prima, il rapper Mac Miller era morto di overdose accidentale; il DJ superstar Avicii, Chris Cornell dei Soundgarden e Chester Bennington dei Linkin Park si erano invece tolti la vita.

Chris Cornell, David Berman e Neil Casal. Foto: Casey Curry/Invision/AP/Shutterstock; Brent Stewart; Jack Vartoogian/Getty Images

L’industria musicale ha deciso, come mai prima d’ora, di affrontare questa crescente crisi della salute mentale. Sono infatti molte le nuove iniziative promosse sia dai giganti del settore che da organizzazioni locali. Per accrescere la consapevolezza riguardo alla salute mentale, si stanno organizzando festival ed eventi di beneficienza; artisti ed etichette discografiche stanno inoltre cercando di abbattere il tabù legato ai disturbi mentali. Da Bruce Springsteen e Justin Bieber, a Lizzo e Demi Lovato, sono molti i musicisti che hanno deciso di raccontare apertamente le loro personali battaglie con i disturbi mentali. L’idea di dare sostegno agli artisti esiste ormai da decenni – già nel 1989 la Recording Academy aveva creato la fondazione MusiCares per dare supporto medico ed economico – ma ultimamente il numero di risorse a disposizione dei musicisti in difficoltà è letteralmente esploso. “Abbiamo perso così tanti talenti che [i leader dell’industria] hanno finalmente deciso di prestare attenzione,” dice Lyman. “Sembra che abbiano capito che non possiamo lasciar morire tutti i nostri artisti”.

Hilary Gleason era amica di Austin, che è morto a giugno, e Casal, scomparso due mesi dopo. “Sembrava che andasse tutto bene, entrambi avevano successo e le esibizioni andavano alla grande”, commenta. “È un killer silenzioso”. Gleason è la CEO di Level, una società di consulenza che mette in contatto le band con organizzazioni no-profit. Il giorno dopo la morte di Casal, è stata tempestata di telefonate da amici e clienti in preda allo sconforto. Racconta Gleason: “Mi dicevano, ‘È una tragedia. E ora che facciamo?’”.

Per risposta, Gleason ha organizzato una conference call con quella che lei definisce la “task force della salute mentale dell’industria musicale”, oltre 40 veterani del settore, incluso il promoter Pete Shapiro, e musicisti, tour managers e membri delle crew. “Abbiamo cercato le iniziative già presenti, analizzato le mancanze e pensato a possibili interventi”, spiega Gleason. “Chi è del settore sa bene che lavorare nel mondo della musica è la cosa migliore che ci sia capitata, e al contempo la scelta di vita più difficile che potessimo fare”.

Il risultato della call è stato la nascita di Backline, un’organizzazione che ha lo scopo di mettere in contatto i musicisti e chi lavora con loro – dai roadie ai tecnici del suono, passando per agenti e familiari – con specialisti del campo della salute mentale (Newman fa parte del comitato clinico consultivo). Gleason ha presentato l’iniziativa agli inizi di ottobre. In quel mese, ci sono state 70 richieste. “Ci hanno contattato agenti e manager dicendoci di sentirsi talmente angosciati e schiacciati dalla lista infinita di email da leggere e ingaggi da organizzare per le band, da non riuscire nemmeno a esserne contenti”, racconta Gleason. Backline funge da facilitatore tra storiche organizzazioni per la salute mentale quali MusiCares, Sweet Relief Musician Fund (istituito nel 1993 per sostenere economicamente gli artisti in difficoltà finanziarie), e HAAM (che da 15 anni aiuta i musicisti di Austin ad accedere a servizi medici abbordabili). “Non esisteva un hub centrale che coordinasse la coesistenza di tutte queste associazioni”, spiega il direttore clinico di Backline, Zack Borer, che oltre ad essere psicologo è anche un musicista. “Stiamo cercando di far uscire dal loro guscio tutte queste organizzazioni, di modo che la loro azione sia visibile”.

I case manager di Backline hanno un incontro individuale con chiunque faccia richiesta attraverso il sito, poi li indirizzano verso la risorsa più adatta – analisti, counselor, gruppi di sostegno o incontri degli alcolisti anonimi. I servizi di Backline sono gratuiti. “La discussione riguardo il tema della salute mentale sta cambiando,” afferma Borer. “Non si tratta più di sex, drugs e rock&roll, ma di quali conseguenze questa triade possa avere sul lungo termine”.

Oltre a Blackline, lo scorso autunno sono state presentate molte iniziative incentrate sulla musica. Il 10 ottobre, in occasione della giornata mondiale della salute mentale, Live Nation ha annunciato di sostenere Tour Support, una nuova no-profit che assicura ad artisti, membri delle crew e vendor in tournée un supporto psicologico online o telefonico 24/7 a tutti gli artisti. (Vicky Cornell, vedova di Chris, è partner dell’organizzazione, e molti artisti, da John Legend ai My Morning Jacket appoggiano l’organizzazione). Live Nation ha anche recentemente sovvenzionato una guida pubblicata dal Music Industry Therapy Collective. “Sempre più artisti oggi si vedono impegnati in tournée. Per questo, sta diventando molto importante pensare a loro e alle crew, sempre più messi a dura prova da estenuanti e lunghi periodi in viaggio”, afferma il CEO di Live Nation Michal Rapino. “È molto bello vedere come i principali operatori del settore si stiano impegnando per contrastare questi problemi”.

Anche le associazioni di categoria e le società di gestione collettiva hanno sposato la causa. In ottobre, la Association for Electronic Music ha pubblicato una guida alla salute mentale per i lavoratori del settore della musica elettronica. Il documento, indirizzato a manager e musicisti sottoposti a lunghe tournée, spiega come riconoscere la depressione, il burnout e la sindrome dell’impostore e fornisce strumenti per affrontarli.

Nel mese di dicembre, la American Society of Composers, Authors and Publishers (ASCAP) ha lanciato TuneUp, un programma di benessere in risposta a un sondaggio che ha rilevato che i musicisti hanno una probabilità 31 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di affermare che la salute ha un impatto enorme sulla loro carriera. ASCAP presenterà gruppi di sostegno e recupero in molte città e anche online, oltre a offrire ai suoi 725.000 membri sconti su servizi di fitness, nutrizione e mindfulness (il primo progetto del 2020 sarà un gruppo di meditazione a New York).

Chester Bennington sul palco degli I-Days di Monza, l’ultimo concerto dei Linkin Park in Italia. Foto di Kimberley Ross

In questo lungo elenco di associazioni impegnate per la causa c’è anche un’etichetta discografica. Lo scorso febbraio, la Royal Mountain Records, etichetta indie di Toronto, ha annunciato che ogni artista sotto contratto riceverà una somma di 1.500$ da utilizzare in servizi legati alla salute mentale. Borer ha visto aumentare il numero di richieste di sostegno per i propri artisti da parte di manager e di dirigenti di etichette, ma vorrebbe vedere sforzi anche da parte delle major. “Ogni morte o overdose è il segno che l’industria si trova di fronte a un problema in continua crescita, legato all’ansia e alla depressione connaturati a questo lavoro”, dice Borer. “Alla fine, sta a loro scegliere di investire in iniziative di supporto clinico.”

Gli stessi artisti stanno facendo la loro parte, cercando di combattere lo stigma della malattia mentale. Gli esempi sono molti, ma solo nel 2019 Sully Erna dei Godsmack ha fondato la Scars Foundation, una no-profit dedicata all’educazione alla salute mentale. La storica jam band Widespread Panic ha organizzato una lotteria che ha donato 100.000$ alla Nuci’s Space, un’associazione per la prevenzione del suicidio, e Billie Eilish è stata la protagonista di un importante annuncio televisivo dove ha parlato della sua battaglia contro la depressione e incoraggiato chiunque ne soffra a chiedere aiuto.

Ci sono in cantiere anche una serie di festival con lo scopo di sensibilizzare il pubblico sull’argomento. Il 9 maggio, a Los Angeles, Lyman produrrà il 320 Fest, un evento pensato insieme a Talinda Bennington, la vedova di Chester. (Sono partner dell’evento anche i giganti AEG e Warner Records). Ci saranno esibizioni gratuite di musicisti e comici (la lineup è ancora da decidere) e dibattiti sulla salute mentale e le dipendenze. Uno di essi sarà moderato proprio da Talinda. Il festival si chiuderà con un concerto di beneficienza al Microsoft Theater. Per il momento non ci sono ancora conferme, ma gli artisti chiamati ad intervenire saranno tutti “di serie A”, afferma Lyman. “Sono convinto che se il pubblico si diverte, sarà più disponibile ad imparare”.

A New York si sta organizzando Sound Mind, un concerto di beneficienza a favore della salute mentale la cui prima edizione si è tenuta lo scorso anno a Brooklyn. Si parla di una partecipazione dei Passion Pit e di Aimee Mann. Nell’autunno del 2020 è previsto anche il Recovery Fest di Nashville, un evento volto ad accrescere l’attenzione sui temi di salute mentale e dipendenze. “Più se ne parla, più diventa normale”, afferma Gleason. “Siamo convinti che chiedere aiuto diventerà sempre più semplice. C’era proprio bisogno di una scossa”.

Nonostante tutti gli sforzi dell’industria musicale per affrontare il problema, Newman, psicologo clinico, è convinto che siamo solo all’inizio. “Ovviamente anche la cosa più piccola è importante: se un programma serve ad evitare anche un solo suicido, è un grande successo”, spiega. “Ma spesso in situazioni come questa, quando un problema diventa noto e se ne parla molto, si corre il rischio di metterci una pezza e affannarsi per trovare soluzioni. Ma il vero obiettivo è trovare soluzioni efficaci”.

Kevin Lyman, fondatore di Vans Warped Tour. Foto: Tim Mosenfelder/Getty Images

Tra poche settimane, Newman lancerà la sua iniziativa, TourHealth.org, il primo grande studio di ricerca sulla salute mentale nell’ambito delle tournée. Lo scopo è quello di raccogliere dati sui problemi correlati alla salute mentale che sia gli artisti sia le crew si trovano ad affrontare, ed utilizzarli per una ricerca scientifica sulle modalità di intervento più efficaci. Il sondaggio sarà inviato a circa 10.000 lavoratori del settore in tutto il mondo. “Avere dati empirici è l’unico modo per trovare le soluzioni giuste”, continua Newman. “Stiamo cercando di scavare a fondo per capire le origini del problema; una volta fatto questo, potremo iniziare a testare e sviluppare soluzioni. Se ci assicuriamo di dare l’assistenza più appropriata possiamo davvero fare la differenza.”

Newman crede molto nelle iniziative di aziende come Live Nation e sostiene che possano innescare un cambiamento in tutto il settore. (Si augura che gli itinerari dei tour prevedano più pause, e che le location e i festival si attrezzino in modo da essere più ricettivi ai bisogni degli artisti e delle crew). “Stiamo iniziando solo ora a capire il problema e ci stiamo muovendo per provare ad arginarlo”.

Osborne, ad esempio, sta facendo la sua parte per fermare la marea. Dieci anni fa, quando la sua vita stava andando a rotoli, un gruppo di amici musicisti – tra cui Dr. John e Ivan Neville – con l’aiuto di MusiCares riuscì a trovargli un posto in un programma di riabilitazione in un centro della California. “Fu l’inizio di un nuovo capitolo”, racconta Osborne, e aggiunge che la casa gli è stata restituita, è tornato insieme alla moglie e la sua carriera è di nuovo sulla strada giusta. (Nel 2019 è uscito il suo ultimo album, Buddha & the Blues). Questo mese festeggia 11 anni di sobrietà.

Osborne ha deciso di sdebitarsi e nel 2017 ha fondato una no-profit chiamata Send me a Friend. L’organizzazione ha lo scopo di assegnare un ‘tutor di sobrietà’ che accompagni gli artisti appena usciti dal trattamento durante i tour. Conta 3.500 volontari in 50 stati, e finora ha aiutato più di 100 musicisti (i “friends” sono persone che hanno seguito un percorso di disintossicazione e sono sobri da almeno un anno).

Quando Osborne ha pensato di fondare SMAF aveva da poco concluso la disintossicazione ed era tornato a lavorare. “Rientri in scena dopo aver davvero toccato il fondo e ti trovi a doverti esibire in un locale dove tutti bevono e si drogano”, racconta. Con il suo programma, gli artisti (o i membri della crew, i manager, chiunque lavori nel mondo della musica) hanno un sostegno durante il tour. “Sai che, per due o tre ore al giorno, hai uno spazio sicuro dove trovare la motivazione per non perdere di vista il tuo obiettivo”. Osborne racconta che se avesse avuto la possibilità di usufruire di un’organizzazione di questo tipo nel suo momento buio, avrebbe sicuramente cercato aiuto prima. Se ci fosse stata più comprensione e meno giri di parole sui disturbi mentali e l’abuso di sostanze, forse le cose per lui sarebbero andate diversamente.

Ma grazie all’impegno di Osborne e di molti altri come lui, oggi gli artisti hanno maggiori possibilità di evitare il cliché live-fast-die-young che ha segnato le vite di molti prima di loro. “Layne Staley, Scott Weiland, Chris Cornell… Abbiamo perso tantissime persone”, dice Lyman, che ha lavorato come stage manager alle edizioni del Lollapalooza dei primi anni ’90 insieme ai frontman degli Alice in Chains, degli Stone Temple Pilots e dei Soundgarden (Staley e Weiland sono morti di overdose accidentale). “La loro morte ha segnato la fine di un’era leggendaria. Non possiamo permetterci di perdere un’altra generazione”.