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X Factor: All’ultimo bootcamp la Maionchi rivela (forse) l’identità di LIBERATO

Aspettando il live, ecco le nostre pagelle alla seconda puntata dei Bootcamp del talent di Sky

Pensa se Liberato, anziché il batterista di qualche furba indie band, fosse un pizzaiolo napoletano ultra nerd, r’n’b ‘ncòppa a Pino Daniele, un D’Angelo (non Nino) senza gli addominali scolpiti, anzi. Pensa se questa “operazione Liberato” fosse una gigantesca mossa di marketing per posizionare al centro del pop italiano la musica made in Napoli, un percorso che arriva dal web fino al talent di Sky. Pensa che fico l’autore di Nove Maggio prodotto artisticamente da quella Maionchi che scoprì Gianna Nannini. Forse così potremmo finalmente tornare a divertirci, anche senza guardare la televisione. Già, perché questa puntata di X Factor era vero intrattenimento pop, con tanto di quell’ironia impossibile da trovare nel mercato discografico di oggi.

SQUADRA: “OVER” (Voto 7)

E’ l’unica delle quattro squadre che potrebbe giocare due campionati: Sanremo e X Factor. Al Festival della Canzone non farebbero brutta figura né il “Grignani preso bene” Enrico né il tenorino hipster-renziano Lorenzo, che pare uscito da qualche sito cool milanese. Valerio, se non fosse per il paragone azzoppante con Giosada fatto da Fedez, sta nel mezzo, mentre 100% X Factor è Andrea, caruccio. Oltre, nell’iperspazio dei talent, c’è Andrea Radice: qualcuno dei giudici ha detto che “apre la bocca e ti spazza via”, verissimo. Poi (forse) è lui Liberato.

ALLENATORE: Mara Maionchi (Voto 10)

Dicono spesso che Mara Maionchi – oltre a non avere peli sulla lingua – sia oltre le convenzioni, politicamente scorretta, quasi punk. Ma lo pensano per il motivo sbagliato, perché Mara dice “cazzo” e “vaffanculo”. Mara il suo anticonformismo, la sua battaglia alla retorica mainstream, l’ha messo in scena questa puntata tirando su una squadra tutta al maschile, a dimostrazione che per il talento (vero o presunto) non ci siano quote di nessun colore da rispettare.

Partita sottotono alle audizioni, la Maionchi stavolta ha dimostrato di essere “la meglio” tra i giudici: l’unica che, da professionista quale è, ha sempre chiesto consiglio per le scelte agli altri giudici, seguendo poi il suo istinto da discografica navigata: ha lasciato a casa “la ragazza col pianino” (copyright Cattelan), troppo Bjork per essere vera, e dato una chance – poi tolta nel gioco delle sedie – al sexy funky tarro della Papu dance. Si è pure incazzata bocciando Giulia e il suo arrangiamento strano de Il cielo in una stanza di Gino Paoli («Una cosa fatta bene, lasciala fatta bene»), smontando il falso mito che tutto possa essere “fatto proprio” e coverizzato a piacere. Spesso impopolare ma giusta in ogni scelta, Mara chiude a modo suo con la battuta sul dito in culo: «Voglio metterglielo».

SQUADRA: “UNDER DONNE” (Voto 7)

Sarebbe anche un 8, tutto merito di Rita – che assomiglia a una giovanissima Vanoni – e della sua versione strappalacrime di Sally di Vasco Rossi: una timida che riesce a rendere ancora la timidezza cool nel 2017, senza sembrare finta né retorica. Rimane un 7, perché si fa fatica a immaginare un percorso di crescita per le altre voci, tutte di talento, ma senza il guizzo che possa stupire. L’unica che ce l’aveva seppur ben nascosto – la party-girl Eleonora – è stata eliminata a favore della prevedibile intonazione di Camille.

ALLENATORE: Levante (Voto 6 1/2)

La più attesa, questo era il suo vero debutto da giudice di X Factor dopo il riscaldamento delle audizioni. Ci eravamo già abituati alla sua retorica della ricerca della “voce unica” e della “forte personalità”. Ma ancora non avevamo ben capito cosa cercasse davvero, almeno fino a questa puntata. Levante inizia facendo la dura, boccia le prime tre (Manila la front desk manager addobbata da cosplayer di Grimes a ragione, la piccola Joni Mitchell a torto) autodefinendosi “tiranno” ma sembra più una strategia per dimostrare di non essere venuta a far da tappezzeria. La sua prova di forza, seppur seduta in posizione da meditazione yoga, pecca di supponenza: non consulta mai gli altri giudici – più esperti, anche solo per ragioni anagrafiche – e insiste sulla dicotomia “mi emoziona/non mi emoziona”. Detto questo, mette su un team oltre la sufficienza, e tanto basta a promuovere pure lei.

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