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Vince Staples non vuole piacerti

Il rapper si è preso più rischi di chiunque altro nel mondo mainstream, e ha fatto bene. «Non sono un tipo avvicinabile».

Vince Staples non vuole piacerti

Foto via Facebook

Vince Staples è un narratore potente, un feroce critico della società e uno stronzo di prima classe, pronto a mettere a posto chiunque provi a sottovalutarlo. Se volete veramente farlo incazzare, però, provate a chiamarlo artista.

«Non è arte se non la controlli», dice l’MC 24enne. Tiene banco seduto su un divano che sembra molto costoso: siamo a Soho, New York. «I rapper, soprattutto neri… non li consideriamo artisti. Non avrò mai lo stesso rispetto che avevano per Andy Warhol o Basquiat. Guarda come viene trattato Kanye West! È per questo che odio la parola “artista”. Siamo entertainers. Ballerini di tip tap. Un bel paio di scarpe lucide del cazzo. È così che ci vedono tutti».

Ma a prescindere da come definiamo il suo lavoro, il punto è che a farlo è davvero bravo. Nel suo primo album, Summertime ’06, racconta la classica storia “dalle stalle alle stelle”, quella della sua giovinezza a Long Beach, in California, senza nessun sentimentalismo. Il secondo, Big Fish Theory, è un trionfo di azzardi musicali. Nessun rapper mainstream ha fatto come lui, a parte ovviamente Mr. Kanye e Mr. Kendrick: ha lavorato con produttori di elettronica sperimentale, Sophie e Flume tra gli altri, spaziando tra la techno di Detroit e la Chicago House.

Staples – un ragazzo che adora puntare il dito verso le illusioni dello showbiz – ci tiene a precisare che nessuno dei due è stato un successo commerciale. «Norf Norf è diventato disco d’oro in tre anni!», dice del suo singolo più famoso. E mentre tutti applaudivano Big Fish Theory come risposta ai trend della Top 40, Staples sostiene che il mancato successo sia dovuto alle mancate collaborazioni con i grossi producer del genere. «Non sono un tipo avvicinabile», argomenta. «Fidati».

Si gira verso il suo manager Corey Smyth, il consigliere di Dave Chappelle. «Corey, ti viene in mente un produttore famoso che ci abbia chiesto di collaborare? Qualcuno che abbia detto: “Hey, voglio proprio fare un pezzo con Vince?”». Non proprio, conferma Smyth. «La gente è convinta che ci piaccia fare le cose da soli», spiega il manager. «Ma abbiamo grossi bersagli da centrare. Ci piacerebbe coinvolgere altri nomi, certamente».

«Io a questa roba non penso più», aggiunge Staples. «Rispetto i miei standard, non quelli degli altri».

Osservando la sua carriera, sembra che quest’intensità, questa convinzione, sia stampata nel suo codice genetico. Era così anche a 15 anni, quando ha cominciato a rappare. Dice che la povertà che lo circondava significava soprattutto non riuscire nemmeno a sognare un futuro di successo. «Non ho mai avuto sogni. E non dico che sia una cosa positiva, semplicemente non ne ho mai avuti. Non c’è tanta gente con un’infanzia come la mia. La mia gente non è così fortunata da poter dire “voglio fare il pompiere” e merda del genere».

È a New York per due concerti, entrambi al Madison Square Garden, dove suonerà con Tyler, the Creator. Per Vince i fan del collega sono solo “hippie”. Seduto sul divano, una shopper di Comme Des Garçons ai piedi, non sembra particolarmente eccitato all’idea. «Nessuno vuole stare su un palco a urlare per un’ora», dice. «Ma questo è l’unico modo per fare soldi con la musica, quindi ho imparato ad apprezzarlo».

Pochi giorni dopo dirà la stessa cosa su Twitter, ma con tono più enfatico. «Non fate gli sciocchini, il concerto di Vince Staples è sullo stesso livello delle opere del Centre Pompidou», ha scritto. «Aprite la mente».

Avido consumatore di arte contemporanea, lo scorso anno ha dedicato Rain Come Down a Louise Bourgeois, scultrice femminista. Anche la satira postmoderna di Richard Prince lo appassiona molto. È arrivato a citare le sue foto-parodia del Marlboro Man nella bio dei suoi social. «Il suo profilo Twitter è la cosa più bella che abbia fatto», aggiunge sorridendo. «È una testa di cazzo. Proprio il mio tipo».

Concluso il tour primaverile, Staples rallenterà un po’. Quest’estate suonerà in Europa (il 16 luglio arriva per la prima volta in Italia, al Circolo Magnolia, ndt), poi si prenderà la prima pausa dopo tre anni di ciclo album-tour-album-tour. «Non è un passo indietro malinconico», spiega. «Voglio solo dormire un po’. E comprare una macchina elettrica. Vorrei diminuire il mio impatto ambientale, anche se non so cosa cazzo significa».

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