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U2, cosa aspettarsi dal nuovo tour

Niente Joshua Tree e pochissime hit, meglio le perle nascoste per accontentare i fan storici: Bono e soci raccontano come cambiano i loro show.

Prima ancora di iniziare le prove del loro tour Experience + Innocence, gli U2 hanno preso una decisione audace: non suoneranno nemmeno una canzone da The Joshua Tree, il capolavoro del 1987 che per tre decenni è stato la colonna portante dei loro live. Del resto la band ha passato lo scorso anno a suonare l’intero album – che include successi come Where the Streets Have No Name e I Still Haven’t Found What I’m Looking For – in sequenza negli stadi di tutto il mondo. «Abbiamo tracciato una linea», dice il bassista Adam Clayton. «Il pubblico voleva quelle canzoni, e noi le abbiamo suonate. Abbiamo dato. Ora andiamo avanti».

La ripartenza ha permesso agli U2 di mettere in piedi uno dei tour più radicali di sempre, uno sguardo – ricco di tecno- logia – sugli angoli più nascosti del loro catalogo, insieme alla maggior parte delle canzoni di Songs of Experience, l’album dello scorso anno. «Questo tour è per i fan dei nostri lavori più recenti», dice il chitarrista Edge, «il pubblico più motivato, che ha continuato a seguirci e ascolta tutto quello che facciamo».

Il tour è il seguito di Innocence + Experience del 2015, e utilizza lo stesso enorme muro di video che divide in due il palco. Ma mentre il tema di quegli show erano gli esordi della band nella Dublino di metà anni ’70, il nuovo tour è un viaggio più dark nella seconda metà della vita di Bono. Questo è evidente dalla canzone d’apertura, Love Is All We Have Left, che la star canta da solo, mentre una voce sospesa istruisce comandi come “in- spira” ed “espira”, come durante una visita medica.

Apparentemente, è un accenno all’esperienza di essere stato “sfiorato dalla morte” dello scorso anno, che Bono ha detto avere ispirato molte canzoni del nuovo album. Un’apertura molto diversa dal tour del 2015, dove la band suonava un miniset di vecchie canzoni sul palco principale. «La scorsa volta siamo usciti sul palco come una band punk, suonando 25 minuti di puro rock & roll», dice Edge. «Adesso facciamo l’opposto. È un inizio concerto molto calmo e riflessivo».

Nel tentativo di creare uno show davvero moderno, la band ha trovato come sfruttare in modo originale il problema dei cellulari. Invece di pretendere che il pubblico li chiuda dentro una busta, come ha fatto Jack White, gli U2 chiedono ai fan di scaricare un’app che, una volta attivata, trasforma Bono in una gigantesca, spettrale presenza. È la prima volta che una band da stadio ha creato un’esperienza di realtà aumentata durante un live. «Mettiamola così: se proprio dovete guardare il cellulare, allora vi forniamo qualcosa che faccia parte del racconto», dice lo storico direttore creativo della band, Willie Williams, «piuttosto di lasciarvi registrare un video che nessuno guarderà mai». (La stessa app consuma notevolmente la batteria del cellulare, un modo neanche troppo sottile per invogliare a metterlo via e godersi il resto della serata).

Tra le altre chicche del tour c’è il crescendo di City of Blinding Lights, e il ritorno dell’alter ego di Bono del periodo Zoo Tv, il diabolico Mr MacPhisto. «È proprio quando credete che io non esista», ha detto Bono nella prima serata del tour a Tulsa, in Oklahoma, lo scorso 2 maggio, «che posso lavorare meglio». Per i fan duri e puri, la maggior sorpresa è la presenza in scaletta di Acrobat, da Achtung Baby, l’unico pezzo da quel disco del 1991 che non è mai stato suonato live. «Semplicemente, non ha mai trovato spazio, prima», dice Clayton. «Ma i fan più appassionati lo desideravano da tempo». Versi come “Don’t believe what you hear/Don’t believe what you see” sembrano di nuovo attuali, in epoca Trump.

Anche se il presidente non viene mai nominato, i riferimenti a lui non mancano, come le immagini dei neo-Nazi in marcia a Charlottesville, lo scorso anno, proiettate mentre la band suona Staring at the Sun, pezzo poco conosciuto del 1997. «Certo, parliamo anche dei politici del presente», dice Edge, «ma senza fare prediche. Sarebbe noioso».

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