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Tutto grazie a Gué

"Sinatra" è il nuovo disco, il più solido, della carriera solista del rapper. Nato in un periodo felice, con una volontà sola: spaccare
Il nuovo album di Gué uscirà venerdì 14 settembre. Arriverà dal vivo al Mediolanum Forum a marzo

Il nuovo album di Gué uscirà venerdì 14 settembre. Arriverà dal vivo al Mediolanum Forum a marzo

«Non voglio lo zucchero, lo bevo amaro, devo soffrire», blocca la zolletta in arrivo dal cameriere Gué Pequeno. È contento e fiducioso, al di là della battuta. Sinatra è un disco solido («all killer, no filler», dirà lui, evidenziando come siano tutti ottimi pezzi) ed è il passo che serviva per riaffermare la sua posizione nel rap italiano. Ovvero quella di re.

Nell’album c’è tutto Gué: «Ho messo tutta la mia influenza culturale, c’è Babysitter di Mace che sembra West Coast anni ’90, il pezzo con Noyz che è più New York, c’è reggae, c’è il latino, c’è la parte trap», più contemporanea. Anche se ammetterà lui stesso che trap è un termine un po’ abusato. «Non è che adesso tutto è trap», spiega. «C’è un abuso di questa parola. Ci sono periodi nell’hip hop in cui funziona un certo stile, ora va questo, molto 808, molto autotune… Il mio primo disco solista aveva questi suoni, Il ragazzo d’oro, era il momento dell’esplosione di Young Jeezy in America. La trap è un concetto, non c’entra niente con quello italiano contemporaneo».

Ma Sinatra (che, chiariamo subito, non è un tributo a The Voice, c’entra solo la passione di Gué per l’esagerazione, «l’arroganza di usare un nome così») si muove bene su tantissimi campi: per una volta il merito non è solo di Gué. Perché il disco è cofirmato da Charlie Charles – già produttore di Sfera Ebbasta e Ghali -, che ha fatto da supervisore, «un’idea molto estera, poco italiana», che è servito anche per unire tutto il suono di un album con diverse possibili hit. «È stata una manna dal cielo. Ha svuotato molto, ha fatto un po’ il Rick Rubin con Jovanotti (ride). Ha dimostrato di essere tra i più forti in assoluto, è stato interessante. Non mi considero un genio dell’hip hop ma credo di averne capito abbastanza. Nonostante questo, vivevo nell’anarchia». E nel settore anarchia c’è anche la scelta di non avere un manager per tantissimo tempo. «Sono uno stakanovista, mi piace avere tutto sotto controllo. Questo mi ha portato a fare un po’ di puttanate. A un certo punto stavo esplodendo quindi ho chiesto a Shablo di seguirmi. Far parte di BHMG, con Sfera, è stato naturale».
Un paio di cose attirano l’attenzione, scorrendo la scaletta. La prima è 2%, con il featuring di Frah Quintale, con cui c’era un altro lavoro in cantiere. «Dovevamo fare qualcosa per il suo pezzo con Giorgio Poi, Missili, ma poi è finita in niente. Ma lui si è comportato da signore, ha voluto offrirmi una collaborazione e ha fatto un super lavoro su 2%. Secondo me è la hit del disco», dice Gué, aggiungendo di averla scritta in un momento in cui era triste per una ragazza. Gué Pequeno. Triste per una ragazza.

Sono uno stakanovista, mi piace avere tutto sotto controllo. Questo mi ha portato a fare un po’ di puttanate

Il secondo picco è Bling Bling (Oro), che contiene un campione di Oro di Mango. La storia è curiosa perché la traccia è tra le preferite del rapper, soprattutto alle 4 di mattina. Dopo aver mandato il testo e la canzone per approvazione alla famiglia del cantante, è arrivata una nota speciale, assieme all’approvazione. “La vedova di Pino Mango ci tiene a farti sapere che il pezzo l’ha fatta impazzire”. «Forse perché Oro è già un pezzo hip hop».

È rilassato e tranquillo. Si sente che questo disco è arrivato in un buon momento. «Non ci sono contenuti particolari, volevo solo colpire forte. Non sono un tipo da discorsi motivazionali, che vuole “spaccare il culo”, che dice di aver fatto il disco più bello… Non è insicurezza…». È solo un campionato che non vuole giocare. «Non vado alla caccia del record. Il modello Fedez, quello dell’ansia da prestazione, quello da Sole 24 Ore, non fa per me: non mi frega dei record, di dire quante views ho fatto in due ore. Non mi interessa». Ma un discreto traguardo sta arrivando all’orizzonte (anche se ammetterà di dover ancora iniziare a prepararsi): a marzo affronterà per la prima volta il Mediolanum Forum di Milano. Poca roba, magari, dopo essere andato sul palco di San Siro con Fedez e J-Ax e con Eros Ramazzotti. «Sinceramente? San Siro mi ha sempre fatto cagare. Il live lo vivo in un altro modo. Sono nato nei club piccoli, mi piace quella cosa, mi diverte di più. Già club da 3000 persone mi fanno sentire la distanza… Ma il Forum è un bel punto da mettere sul curriculum, ovviamente».



Questo disco è importante per alcuni motivi, soprattutto, però, quello di affermare Gué come il migliore della scena. O meglio. Di confermare il suo ruolo di precursore totale, di pioniere di quello che è il rap contemporaneo italiano. «Se adesso puoi fare un disco in cui parli di certe cose è perché prima l’ho fatto io», spiega. «Mi davano del coglione quando parlavo di money, cash… Ora lo fanno tutti. Sono stato un precursore, per le liriche e per il sound». E non solo, anche per l’attitudine. «L’aereo privato, le vacanze a Dubai… Sono stato il primo a fare ste papponate», ride. «Ma dovevo allargare andando oltre la musica. Sai perché? Il rap non pagava. Le discografiche non ti riempivano di soldi. Perché le hit vere erano un’altra cosa. Dovevi fare il feat. con la Pausini per forza. Adesso puoi dire “Sono pieno di soldi” e fare disco di platino! Prova a offrire adesso a un ragazzino quello che davi a noi, ti manda a cagare». I tempi sono cambiati, per uno che è ha iniziato più di 20 anni fa. E la battaglia è non perdere un colpo, mai in nessuna occasione. «Quando è uscito Gentleman stava cambiando il mercato», ricorda. «Per anni non era cambiato niente. Ci sono stati i Dogo per una vita, Fibra per una vita. Quelli giovani facevano teen rap, loro malgrado: Emis Killa che anche lui veniva dalla strada… Erano proprio per bambine». Hai detto Dogo? Sì, ma calma, non sembra ci sia nullo di nuovo da quel fronte. «Abbiamo fatto un lavoro incredibile. Eravamo davvero avanti rispetto agli altri. Mettevamo i groove reggaeton prima ancora che li usassero i puzzoni delle hit estive», dice, citando Soldi, dall’ultimo album del trio, come precursore totale di ogni cosa arrivata dopo. «Onestamente non so se ci ritroveremo. Chissà, magari per celebrare qualcosa. Non dobbiamo sentirci in colpa se non facciamo nulla insieme, basta aprire internet per capire che tutti stiamo attivi, in modi diversi».

Anche perché, serve riunirsi? I tempi sono cambiati, il rap è diventato popolare, quasi mainstream. Anche se Gué non è troppo interessato da certi aspetti. «Non ho mai avuto il feticcio di essere conosciuto dal politico, di andare in prima serata», dice. «Avrei fatto un percorso più paraculo se mi fosse interessato quello. Preferisco essere riconosciuto nella mia cosa. Non mi frega di arrivare a Salvini, di farmi conoscere anche da gente così, non è la mia tazza di tè. Poi, se mi chiama Costanzo ci vado, ma cose come l’Isola dei Famosi o Pechino Express ho sempre detto di no. Se devo pisciare tra le piante, mi devi dare mezzo milione, non ne ho bisogno».

Eccoci, Gué.

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