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Tutte le fatiche di Bruce Springsteen

Nessun artista esploso dopo il 1960 è stato sulla cover di Rolling Stone più di lui, e nessuno ha raccontato le sue passioni e le sue contraddizioni meglio della rivista. Ecco la storia dei 40 anni passati in prima linea con il Boss

Tutte le fatiche di Bruce Springsteen

Nel 1973 è apparso un articolo nelle Random Notes di Rolling Stone a proposito di John Hammond della Columbia Records. Il discografico aveva avuto un attacco cardiaco durante il concerto di un nuovo artista della sua scuderia. ”Sosteneva che fosse colpa del carico di lavoro e di un virus contratto a Parigi”, si leggeva nel pezzo, “ma il suo medico non era d’accordo. Il medico pensava fosse colpa del concerto di Bruce Springsteen”.

Era la prima volta che quel nome appariva sulle pagine di Rolling Stone. Nei quattro decenni successivi Springsteen ha conquistato 16 cover story, un record per un artista che ha iniziato a suonare dopo il 1960: è cresciuto insieme alla rivista, e le sue interviste parlavano di qualsiasi cosa, dal potere del rock and roll ai reduci del Vietnam, passando per l’impatto della recessione.

«Abbiamo la stessa missione, celebrare la musica e provare a usarla per cambiare il mondo: politicamente, socialmente, emotivamente e spiritualmente», dice il fondatore Jann Wenner. «Condividiamo i valori dei Beatles, degli Stones e di Dylan, ma con Bruce è tutto più intenso».

Il suo primo album, Greetings from Asbury Park, N.J., è uscito nel 1973. Rolling Stone ha pubblicato una recensione tiepida ma brillante, scritta dal leggendario Lester Bangs. “Il caro vecchio Bruce vuole farci sapere che proviene dalla parte più inutile e noiosa del Jersey”, scriveva. “L’influenza della Band è fortissima, i suoi arrangiamenti si tingono spesso di Van Morrison e il suo modo di cantare sbiascicato ricorda un Robbie Robertson pieno di Quaaludes e con Dylan che gli soffia sul collo”.

L’editor di quella recensione era Jon Landau, un 26enne di Boston che lavorava a Rolling sin dal primo numero. Si è subito innamorato di Springsteen, ma nessuno della rivista condivideva la sua passione. I colleghi erano diventati cinici, soprattutto dopo che Bruce è finito sulle copertine del Time e di Newsweek, nel 1975. «Ci siamo dovuti prendere una pausa, ci eravamo incattiviti», dice Ben Fong-Torres, il music editor dell’epoca. «La stampa mainstream non ci interessava, noi ci occupavamo di rock and roll. L’abbiamo lasciato perdere per un po’».

Landau, invece, ha fatto il contrario. Ha scritto un pezzo per il Real Paper di Boston dove ha sfogato tutto il suo entusiasmo, scrivendo una delle frasi più famose a proposito del Boss: “Ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen”.

Bruce l’ha assunto subito, voleva che co-producesse Born to Run. Poco dopo è diventato il suo manager. Nel 1978 hanno lavorato insieme a Darkness on the Edge of Town, il disco che l’ha finalmente portato sulla cover della rivista. L’articolo era scritto da Marsh, che ha viaggiato con la E Street Band e passato intere nottate a chiacchierare con il cantautore. «Anche se le loro personalità erano diverse, sembrava di intervistare Pete Townshend», ricorda. «Parlava molto di cosa fosse il rock, di cosa poteva e non poteva fare».

La storia di Marsh era puntellata da momenti leggeri, come il racconto del primo ascolto dell’incisione del loro nuovo brano, Paradise By the C. “Clemons entra nella stanza con la faccia ricoperta di gioia. Quando il brano finisce prende Bruce per il braccio e urla: Tutti in piscina! Sono riapparsi qualche secondo dopo, fradici, solo per riascoltarla. Poi si sono buttati di nuovo. La stanza dell’hotel era piena di tizi esaltati e completamente zuppi”.

Il pezzo del 1980 scritto da Fred Schruers, invece, era molto meno allegro. Parlava del tour di River, e la sera prima della data di Philadelphia John Lennon è stato assassinato. «Questa è una notte difficile per suonare, abbiamo perso così tanto», ha detto il Boss al suo pubblico. «Non è facile stare qui e suonare, ma non so fare nient’altro».

Il concerto è stato uno dei più belli della sua carriera. «Mi viene la pelle d’oca solo a pensarci», dice Schruers dopo tanti anni. «Non avevo mai visto qualcuno sottoporsi a uno sforzo fisico del genere, in nessun contesto. Forse un paio di pugili».

Quattro anni dopo ha pubblicato Born in the U.S.A. e si è trasformato in una popstar popolare quanto Michael Jackson, Prince e Madonna. «Quel tour è stata un’esperienza molto faticosa», dice Landau. «Bruce ha accettato di farsi intervistare dopo un concerto a San Francisco. Quella notte ho ricevuto una telefonata da Kurt Loder (il giornalista), che mi ha detto: “Jon, c’è un problema”. Che è successo? “Si è addormentato”».

Poi, nel 1992, la Brucemania è finita. I suoi due nuovi album sono stati dei flop di critica e pubblico, e la sua vita era piena di cambiamenti. Si è sposato con Patti Scialfa – una delle sue coriste – e i suoi fan erano infuriati dopo il licenziamento della E Street Band. È in quel periodo che è stato intervistato da James Henke: il suo è uno degli articoli più rivelatori della storia di Springsteen, dove si racconta dei problemi del suo precedente matrimonio e della sua decisione di vedere un terapista.

bruce springsteen

«Mi sono reso conto che da giovane vivevo la musica con un’intensità quasi religosa. E fino a un certo punto è stato OK», ha detto. «Poi tutto si è rivoltato contro di me. Cominci a percorrere una brutta strada, e distorci anche le cose migliori che hai. Amo la mia musica, ma vorrei prenderla per quello che è. Non voglio distorcerla e farla diventare tutta la mia vita. Sarebbe una menzogna, è una menzogna. Non può essere tutta la tua vita. Non lo sarà mai».

È in quell’intervista che ha mostrato per la prima volta le sue posizioni politiche, attaccando il presidente Bush e incoraggiando il candidato democratico Herry Brown. Ma è nel 2004 che si è schierato pubblicamente per la prima volta, quando in un’intervista con Wenner ha raccontato perché avrebbe votato John Kerry. «Non era facile parlarne per Bruce», ricorda Wenner. «Non voleva che le sue idee politiche si intromettessero nel rapporto tra il pubblico e la sua musica».

Bob Dylan e Bruce Springsteen foto di Harry Benson

Bob Dylan e Bruce Springsteen foto di Harry Benson

Quando Bush ha deciso di mandare soldati americani a combattere una guerra inutile in Medio Oriente, però, il Boss non aveva scelta. «Se mi stessi zitto tradirei tutti gli ideali di cui ho scritto per anni», diceva. «Non posso più starmene per i fatti miei. Credo che questo sia un momento storico importantissimo».

Le elezioni del 2004 non sono andate come voleva, ma la sua musica ha influenzato la politica per anni, anni in cui si è avvicinato sempre di più alle posizioni di Rolling Stone. La sua cover story del 2012, scritta da Jon Stewart, è solo l’ultimo dei tasselli di un mosaico gigantesco. «Bruce e Rolling Stone hanno due sensibilità affini», dice Landau. «Ed è per questo che ha uno status iconico per la rivista. Siamo molto soddisfatti».

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