Apple Music, intervista a Eddy Cue | Rolling Stone Italia
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Tutta la storia di Apple Music

Eddy Cue, il papà del servizio streaming, racconta come è cominciato tutto: con Frank Sinatra

Tutta la storia di Apple Music

Eddy Cue, foto di Alessandro Treves

È il primo weekend di settembre ed Eddy Cue è di passaggio a Milano: visto il suo amore per le automobili, ci viene il sospetto che sia venuto per godersi il Gran Premio di Monza di Formula 1. Certamente è in Italia per incontrare nuove promesse della musica. Eddy Cue, 52 anni, senior vice president di Apple (uno degli uomini più vicini a Tim Cook, come prima a Steve Jobs) è il “papà”, tra l’altro, di App Store, di iTunes, di Siri, di Apple Music. O, come preferisce spiegare lui “un membro delle band che hanno dato vita ad App Store, iTunes, Siri e Apple Music”.

E quando dice «membro della band», capisci che per provare a entrare in contatto con lui devi cominciare dalla musica. Non a caso all’intervista è presente anche Francesca Michielin, giovane cantante e compositrice italiana che (guarda caso) va forte su Apple Music. È evidente che per Eddy la musica è una grande passione: è stata decisiva per la sua vita e la sua carriera. «Sono nato in Florida: i miei genitori erano scappati da Cuba. Organizzavano spettacoli nei grandi alberghi», racconta. «Così a 6-7 anni io stavo lì a sentirmi i concerti di Frank Sinatra, Sammy Davis Jr., Dean Martin: tutti i grandi di quegli anni. E poi c’era la musica cubana, spagnola, latina in generale: normale che diventasse una parte importante della mia vita».

L’altra grande passione che lo segna è quella per i computer. «È successo l’ultimo anno di liceo», ricorda. «Chiesi ai miei di comprarmi un Apple 2. La prima risposta fu: no. Papà non capiva perché dovesse spendere 2 mila dollari per un aggeggio con cui giocare ai videogame. Fu dura convincerlo che non era così». Le due passioni crescono e maturano durante gli anni dell’università (Duke, una delle migliori d’America): quando finisce, arriva l’incontro che gli cambia la vita, quello con Steve Jobs.

Lo racconta come una canzone di Bruce Springsteen: «We liked the same music, we liked the same bands: la musica era una parte importante anche della vita di Steve. E penso che tutto quello che la musica riesce a dirti, a farti sentire, sia stato
uno degli elementi che ci hanno unito. Normale, a quel punto, che provassimo a fare qualcosa che aiutasse chi voleva fare mu- sica e chi voleva anche solo conoscerla meglio. Volevamo democratizzarla, e penso che un po’ ci siamo riusciti».

In che modo? «Vedi, oggi puoi creare la tua musica senza dover investire cifre che normalmente un ragazzo non ha: basta una app. E poi vuoi mettere quanta musica puoi sentire da tutto il mondo: oggi due terzi della musica che passa per Apple Music arriva da fuori gli Stati Uniti. All’inizio era l’opposto. Vuoi sentire brani indiani, giapponesi, australiani? Oggi puoi farlo con un investimento minimo, e in più noi ti suggeriamo (sulla base di quello che ascolti) autori e pezzi che potrebbero piacerti. È cambiato tutto, e in maniera rapidissima, rispetto a quando ero ragazzo. Oggi ci sono un sacco di opportunità in più per chi fa e per chi ascolta musica. Per questo sostengo che l’abbiamo democraticizzata».

Eddy Cue lavora in Apple dal 1988: fare e ascoltare musica sono cambiati davvero in maniera allora inimmaginabile. Ricordate quando (e non erano tanti anni fa) volavano gufi che profetizzavano la morte della musica, uccisa dall’esplosione del web e dai download selvaggi? «iTunes prima e tutta una serie di app (come Apple Music, per esempio) venute dopo hanno di fatto sconfitto la pirateria: a prezzi accettabili oggi posso ascoltare musiche da tutto il mondo e se sono un artista posso farmi conoscere in tutto il mondo. Io voglio davvero aiutare chi ha talento, dargli una possibilità: anche in questo penso che in Apple abbiamo fatto tanto per la musica».

Ma non crede che playlist dettate dagli algoritmi, in realtà, creino sequenze spesso prevedibili e non aiutino nella scoperta di nuovi artisti o stili musicali? «Certamente gli algoritmi non hanno l’inventiva e il talento di un buon Dj», risponde. «E infatti, oltre al nostro software, ci sono centinaia di persone sparse in mezzo mondo che completano il lavoro: in tutte le nostre playlist c’è il fattore umano. Come c’è nella programmazione della nostra radio live Beats 1. Ogni settimana Zane Lowe crea una nuova playlist, avendo come obiettivo proprio quello di far scoprire nuovi talenti», Si gira a guardare Francesca Michielin.

«Quando viaggio, quando sono in giro e mi viene in mente qualcosa, uso i memo vocali piuttosto che GarageBand e fermo quel momento», dice lei. Non credo che Eddy Cue conosca i testi di Vasco. Ma mentre parla, ho più che l’impressione che Francesca stia pensando a Una canzone per te: “Ma le canzoni son come i fiori, nascon da sole, son come i sogni. E a noi non resta che scriverle in fretta, ché poi svaniscono e non si ricordano più”.

«Ennio Morricone spiegava che dormiva con un quaderno sul comodino», continua Michielin, «la notte si svegliava e annotava cose che al mattino non si sarebbe più ricordato. Adesso è tutto molto più semplice, basta questo». Mi fa vedere il suo smartphone: lo schermo è una tastiera. «È come avere sempre un pianoforte in tasca», dice. E sorride.