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Trent Reznor: lo streaming danneggia molti musicisti, fare arte così «non è sostenibile»

In un'intervista a 'GQ' insieme all'amico e collega Atticus Ross, il frontman dei Nine Inch Nails si è unito alle critiche contro il sistema di riconoscimento delle royalties delle piattaforme streaming: «Se ti chiami Drake, funziona alla meraviglia. Se ti chiami Grizzly Bear, no»

Foto: Rich Fury/Getty Images

Kanye West, James Blake, Salmo, e ancora prima Morgan e la decisione di Neil Young e Joni Mitchell di boicottare Spotify per l’eccessivo valore attribuito a contenuti di discutibile lega, e la lista potrebbe continuare. Il dibattito pro-streaming, contro-streaming nell’industria musicale va avanti almeno da quando lo streaming esiste, e ultimamente molti artisti si sono dichiarati stanchi di dover sottostare a dinamiche calate dall’alto che decidono a priori, tra le altre cose, anche il valore della loro produzione.

Gli ultimi sviluppi in materia di royalties – e dunque della possibilità dei musicisti di guadagnare con il loro lavoro attraverso lo streaming – danno ragione a queste preoccupazioni: notizia di qualche giorno fa è infatti che Spotify ha ufficialmente eliminato la possibilità di generare guadagni a tutti i brani con meno di 1.000 ascolti in streaming. Tale condizione si applicherebbe a quasi il 60% delle tracce ospitate sulla piattaforma.

In questo clima, un’altra voce si è unita alle rimostranze degli artisti: quella di Trent Reznor (Nine Inch Nails), che, in una recente intervista a GQ insieme al collega e amico Atticus Ross, si è espresso sullo strapotere dello streaming.

«Penso che le piattaforme streaming gestiscano la divisione dei propri introiti in un modo pessimo. Questo ha colpito a morte tutta una categoria di artisti, fare arte così non è sostenibile. Parliamoci chiaro: se ti chiami Drake, il sistema funziona alla meraviglia. Se ti chiami Grizzly Bear, no. Le cose stanno così, guardatevi intorno. Ci hanno propinato la storia del “ne guadagnano tutti” abbastanza da sapere che no, non tutti ne guadagnano. Alcuni sì, altri no. Per alcuni, ricavarci qualcosa è praticamente impossibile».

Tra anticipazioni di un nuovo album e lo sviluppo di nuovi progetti, tra cui anche una linea di abbigliamento, Reznor ha poi continuato: «Penso che la situazione vada a detrimento dell’arte. Penso che alcuni servizi streaming, Apple per esempio, potrebbero essere spinti a pagare gli artisti in modo più equo, perché la musica non è il centro del loro business. Riconosco che per Spotify sia diverso, loro hanno solo quello. Solo che poi questo si lega a tutta un’altra serie di affari discografici e di politica, e finisce che tutti giocano solo per tenersi stretti il loro fazzoletto di terra, fine».

Reznor parla per esperienza diretta: per un certo periodo, fu infatti coinvolto nella progettazione di un nuovo servizio di streaming musicale insieme a Beats, poi acquistato da Apple. Conclude poi nell’intervista: «Mi rendo anche conto che le persone vogliano solo, diciamo, aprire il rubinetto e far scorrere la loro musica preferita. Sono consapevole che, per loro, tutte le idee romantiche che ho in testa non contino molto».

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