TOdays Festival, siamo sopravvissuti alla potenza del secondo giorno. Forse | Rolling Stone Italia
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TOdays Festival, siamo sopravvissuti alla potenza del secondo giorno. Forse

La giornata di mezzo del festival torinese, con i nostrani Motta, i Cani e Giuda ma soprattutto con Jesus and Mary Chain e i duelli di batteria dei Soulwax

Il live dei Soulwax all'ex fabbrica INCET - Foto via Facebook

Il live dei Soulwax all'ex fabbrica INCET - Foto via Facebook

Si scriveva ieri del compito “sociale” del TOdays per posizionare Torino nella mappa delle città europee in cui qualcosa di musicale continua a capitare. Anche la scelta degli artisti locali che aprono le serate va in questa direzione. Il Giorno 1 ha visto le note dei Pugile e dei Niagara. Il Giorno 2 è aperto dal portentoso live degli Stearica: powertrio senza voce che, per darvi un’idea, mi lascia le stesse sensazioni dei concerti dei Battles ma senza la chincaglieria elettronica. Poca gente sono le 19 circa ma coinvolta e attenta. Il giudizio è unanime e anche oggi l’orgoglio locale se la gioca alla pari (e, forse, con qualcosina in più da dire) con altre scene più blasonate.

I Giuda confermano tutti i motivi che li hanno portati ad accumulare un discreto seguito. Workingclass hero per definizione, i romani usano al meglio a loro mezz’ora con un live energico e appassionato anche se forse ogni tanto didascalico e ripetitivo. Il pubblico li ama, conosce i pezzi e si vede che si considerano più una “comunità” che non semplici spettatori.

Arriva il turno di Motta, uno dei tre cantautori italiani di cui più si è parlato quest’anno (assieme a Calcutta e, ci torneremo, Niccolò Contessa de I Cani). Dal vivo, anche grazie a una band con l’attitudine giusta, le canzoni “radiofoniche” de La fine dei vent’anni guadagnano una veste nuova, più cattiva se vogliamo. Motta ha carisma, presenza scenica e qualcosa da dire. Ha intercettato un’inquietudine personale, l’ha fatta diventare universale (possiamo dire generazionale?) e la dice sul palco con la giusta convinzione per trascinare un pubblico sempre più numeroso. Alla fine si prende numerosi applausi.

Chi vi scrive ha un conto in sospeso coi Jesus and Mary Chain. Da grande fan, avevo accolto con dolore la loro performance a dir poco spenta del Primavera Sound 2013. Li guardo con aspettative pari a zero e forse per questo alla fine ne esco soddisfatto. Questa volta hanno i suoni giusti (Jim Reid non ha sentito niente per tutto il concerto ma se ne faccia una ragione: i J&MC che si lamentano per i feedback e il mancato ritorno audio è un controsenso) e la potenza necessaria per reggere un concerto di un’ora abbondante. Hanno fatto tutte le canzoni che dovevano fare (sì, anche Just Like Honey, che domande). Un compitino che, forse proprio per il ricordo tremendo che ne avevo, si rivela più bello del previsto e si fa perdonare lungaggini, bizze e una certa monotonia di fondo.

Chiuso il palco di sPAZIO 211 ci si sposta all’Incet, dove si assiste al trionfo de I Cani di Niccolò Contessa. Ci sarebbero tante cose da scrivere a riguardo e molte sono state scritte: è una delle band più “discusse” dell’epoca recente ma vedere giovani e meno giovani trasportarsi, coinvolgersi a vicenda e lasciarsi andare al sing along sulle canzoni di Aurora (e anche dei dischi precedenti) dà il senso del loro successo. Sono stati i primi a trovare un linguaggio e un vocabolario. Ci hanno lavorato, si sono evoluti, hanno portato più in là il suono e la canzone e sono riusciti a far sì che questo linguaggio diventasse “segno dei tempi” (l’ho scritto, sì). Non tutto è perfetto, non tutto è all’altezza, non tutto è oro quel che luccica, ma in un momento di crisi “estetica” della musica italiana, Contessa dice qualcosa, lo dice in un modo specifico e riesce a dirlo per molte persone. Non è poco, e non è scontato.

I concerti del giorno si chiudono con i Soulwax. Tre batterie (una di queste suonata da Igor Cavalera dei Sepultura), due postazioni con mixer e tastiere. Praticamente uno studio di registrazione riprodotto sul palco. Ne esce un concerto potentissimo. Un flusso ininterrotto di beat aggressivi, elettronica molto “muscolare” e duelli di batteria che fanno ballare un Incet pieno. L’effetto è molto bello e la gente sembra essere decisamente coinvolta. Sarà che ormai è l’una di notte e si beve senza sosta dalle 19 circa. Di ieri.