I Radiohead hanno rilasciato un’intervista esclusiva al Times in vista del tour di ritorno, raccontando anche il proprio punto di vista sulle controversie affrontate da gruppo negli ultimi anni.
Nel 2017 la band è stata investita da uno tsunami mediatico quando ha suonato a Tel Aviv, in Israele, nonostante le proteste che spingevano Yorke e soci ad annullare il concerto da parte del Boycott, Divestment, Sanctions movement (BDS), nonché le critiche di Roger Waters, Thurston Moore, Young Fathers e altri.
“Ero in hotel”, dice Yorke, “quando un tizio, chiaramente importante e con molti contatti, si è avvicinato per ringraziarmi. Mi ha fatto davvero orrore che il concerto fosse stato boicottato. Quindi capisco, più o meno. All’epoca pensavo che lo show avesse senso, ma non appena sono arrivato e quel tizio è salito sul palco? Fatemi uscire, cazzo”. Yorke si era già espresso sulla reazione al concerto della band a Tel Aviv: “Suonare in un Paese non è la stessa cosa che appoggiarne il governo. Non appoggiamo Netanyahu più di quanto appoggiamo Trump”.
L’anno scorso poi Yorke era stato contestato su Gaza da uno spettatore durante un concerto da solista a Melbourne, ripreso in un video diventato virale: “Come puoi restare in silenzio?”, gli aveva urlato qualcuno dal pubblico. Il cantante aveva risposto: “Vieni qui sul palco a dirmelo… Vuoi rovinare la serata a tutti?”, e aveva lasciato la scena, tornando solo un breve bis.
E a maggio aveva pubblicato una lunga dichiarazione su Instagram: “Un tizio che mi urla addosso dal buio non mi è sembrato proprio il momento migliore per discutere della catastrofe umanitaria in corso a Gaza. Dopo mi sono ritrovato sotto shock nel vedere come il mio presunto silenzio venisse interpretato come complicità”.
Jonny Greenwood, nel frattempo, è stato criticato per aver inciso dischi con il musicista israeliano Dudu Tassa, e all’inizio di quest’anno due concerti nel Regno Unito con Tassa sono stati cancellati dopo che i manifestanti ne avevano chiesto il boicottaggio. Greenwood, sposato con un’artista israeliana, ha suonato anche con Tassa a Tel Aviv l’anno scorso.
Quando i Radiohead hanno annunciato i loro primi concerti in oltre sette anni a settembre, il BDS ha sostenuto che il “silenzio complice” della band e il sostegno agli artisti israeliani durante il “genocidio contro i palestinesi a Gaza” avrebbero dovuto portare al boicottaggio dei concerti. E nell’intervista al Times, i membri della band hanno condiviso le loro riflessioni sulla questione, con Yorke che ha ammesso: “Tutto questo mi tiene sveglio la notte”.
“Mi dicono cosa ho fatto della mia vita, cosa dovrei fare dopo, e che quello che penso non ha senso”, ha spiegato. “La gente vuole prendere ciò che ho fatto, che significa così tanto per milioni di persone, e togliermi tutto. Ma non è compito loro portarmelo via, e io non mi considero una cattiva persona”.
“Di recente, mi è capitato di sentirmi gridare ‘Free Palestine!’ per strada. Ho parlato con un tizio. Diceva: ‘Hai un programma, un dovere e devi prendere le distanze da Jonny’. Ma io ho risposto: ‘Io e te, in piedi per strada a Londra, a urlarci addosso? Be’, i veri criminali, che dovrebbero comparire davanti alla Corte Penale Internazionale, ridono di noi che litighiamo così e sui social media, mentre loro continuano impunemente a uccidere persone’. È un’espressione di impotenza. È un test di purezza, una caccia alle streghe di basso livello alla Arthur Miller. Rispetto profondamente lo sgomento, ma è molto strano essere la vittima”.
Greenwood ha descritto la reazione negativa come “l’incarnazione della sinistra”, aggiungendo: “La sinistra cerca i traditori, la destra i convertiti, ed è deprimente che siamo noi i più vicini a loro.” Rivelando di stare attualmente lavorando a un disco con musicisti israeliani e mediorientali, ha aggiunto: “Ed è assurdo che mi faccia paura ammetterlo. Eppure mi sembra un gesto progressista: fischiare a un concerto non mi sembra né coraggioso né progressista”.
“Guardate, sono stato a proteste antigovernative in Israele e non ci si può muovere per tutti quegli adesivi con la scritta ‘Fanculo Ben-Gvir'”, ha continuato Greenwood, riferendosi al controverso ministro israeliano della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. “Trascorro molto tempo lì con la famiglia e non posso semplicemente dire: ‘Non faccio musica con voi stronzi a causa del governo’. Non ha senso per me. Non ho alcuna lealtà – né rispetto, ovviamente – per il loro governo, ma ne ho entrambi per gli artisti nati lì”.
A Yorke è stato chiesto se avrebbe suonato di nuovo in Israele con i Radiohead. “Assolutamente no”, ha risposto. “Non vorrei essere a otto chilometri dal regime di Netanyahu, ma Jonny ha radici lì. Quindi capisco”.
“Anche io sarei cortesemente in disaccordo con Thom”, ha risposto Greenwood. “Direi che è più probabile che il governo usi un boicottaggio e dica: ‘Tutti ci odiano, dovremmo fare esattamente quello che vogliamo’. Il che è molto più pericoloso.”
“È una follia”, ha aggiunto. “L’unica cosa di cui mi vergogno è di aver trascinato Thom e gli altri in questo pasticcio, ma non mi vergogno di lavorare con musicisti arabi ed ebrei. Non posso scusarmi per questo”.
Il chitarrista Ed O’Brien, nel frattempo, ha detto la sua sulla questione, affermando che, nel 2017, oltre a Tel Aviv: “Avremmo dovuto suonare anche a Ramallah, in Cisgiordania”.
“Non giudicherò nessuno”, ha detto riferendosi alle posizioni dei suoi compagni di band. “Ma la cruda verità è che, anche se un tempo eravamo tutti molto uniti, non ci siamo più parlati molto, e va bene così”.
Il batterista Philip Selway ha aggiunto: “Quello che i BDS ci chiedono è impossibile. Vogliono che prendiamo le distanze da Jonny, ma questo significherebbe la fine della band e Jonny ha dei principi molto saldi. È strano essere ostracizzati da artisti con cui c’è sintonia”.
Il loro ultimo concerto è stato a Philadelphia il 1° agosto 2018: “Immagino che le cose siano andate un po’ per il verso sbagliato, quindi abbiamo dovuto fermarci”, dice sempre Yorke. “C’erano molti elementi. Gli spettacoli erano fantastici, ma era come dire, fermiamoci ora prima di precipitare da questo dirupo.”
“E comunque avevo bisogno di fermarmi”, continua Yorke. “Perché non mi ero davvero concesso il tempo di elaborare il lutto” (nel dicembre 2016 Rachel Owen, la prima moglie di Yorke da cui si era da poco separato amichevolmente, è morta di cancro all’età di 48 anni).
E c’è stato spazio anche per qualche anticipazione. Per l’imminente tour, Yorke ha fatto circolare una lista di 65 brani che i Radiohead avrebbero potuto suonare. “E che stiamo tutti imparando freneticamente”, afferma Jonny Greenwood. “Poi Thom si presenta e dice: non facciamone solo metà”. Yorke, O’Brien e Selway sono il comitato per la scaletta, che decide cosa verrà suonato ore prima di un concerto. A differenza del tour degli Oasis di quest’estate, i Radiohead non suoneranno esattamente gli stessi brani ogni sera. “Abbiamo troppe canzoni”, dice Yorke con un’alzata di spalle. O’Brien la mette in un altro modo: “Siamo dei bastardi contraddittori”.
Ci saranno mai nuove canzoni dei Radiohead? “Non lo so”, dice Jonny Greenwood. “Non abbiamo ancora pensato al tour”. Yorke sorride di nuovo: “Sono semplicemente sbalordito che siamo arrivati fin qui”.












