Pusha T: «Notorious B.I.G. era il più grande di tutti» | Rolling Stone Italia
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Pusha T: «Notorious B.I.G. era il più grande di tutti»

Oggi Biggie Smalls avrebbe compiuto 46 anni, ecco il tributo di Pusha T: «Non mollava mai, scavava in profondità»

Pusha T: «Notorious B.I.G. era il più grande di tutti»

«Era un maestro con le parole e il suo flow scorreva senza sforzo» dice Pusha T. Nella foto, Biggie Smalls a New York nel 1995. Photo by Adger Cowans/Getty Images

American rapper Biggie Smalls (also known as the Notorious B.I.G., born Christopher Wallace, 1972 - 1997) holds a bottle of St. Ides malt liquor, New York, New York, 1995. (Photo by Adger Cowans/Getty Images)

Credo che The Notorious B.I.G. sia il più grande rapper mai esistito. Nel 1994, quando è uscito Ready to Die, avevo sedici anni e vivevo con mia madre in Virginia. A scuola ne parlavano tutti. Con i miei amici passavamo ore in macchina ad ascoltarlo, ripetendo le sue rime e cercando di capire come avesse fatto a passare da un argomento all’altro in quel modo così unico. La maggior parte dei rapper scrive una punch line efficace e si ferma, e tu pensi: «Ok, l’ho capita». Big invece andava avanti, non mollava mai e scavava in profondità. Era un vero maestro con le parole. Inoltre aveva un flow incredibile. Rappava senza alcuno sforzo. Io mi considero un buon autore di pezzi rap, ma le mie sequenze di rime sono comunque delle sequenze di rime normali. Biggie invece scriveva delle strofe complicate piene di sfumature, di giochi di parole e di battute e non sembrava mai che stesse rappando. Stava parlando.

Quando è uscito Ready to Die, c’era ancora un po’ di competizione in giro. Si litigava su chi fosse il migliore tra Nas e i Wu-Tang ma, nell’estate del 1994, Biggie si è lasciato tutti alle spalle. «Nessuno è meglio di Biggie», dicevamo tutti. Ha chiuso la questione. L’album doppio Life After Death non ha fatto altro che consolidare la sua posizione. Esiste un album doppio migliore di quello? Non mi risulta. Fino a quando qualcuno non ne farà uno, non c’è niente da aggiungere: Big è il numero uno. La mia strofa preferita è una presa dal suo featuring in Young G’s di Puff Daddy:
 “A tutte le mie puttane, le mie murder mami / Io sarò a fumare piante intere di erba in Belize quando mi troveranno / Voi invece sarete ancora lì a far schiattare i negri con le vostre punanny / Come Connie e Cyrus su a Cypress / Vi fotteranno di brutto sul pavimento con il virus”.

Ha uno storytelling favoloso, è rap senza soluzione di continuità, le doppiette di strofe scorrono con un flow perfetto. È il massimo. Nessuno ha mai rappato in modo così colorato e ricco. La sua personalità era fatta di pura fiducia in se stesso. Biggie Smalls pesava quasi 130 chili e aveva pure un occhio mezzo chiuso, ma c’era forse una donna che non lo voleva? Devi essere un mago per ottenere un effetto del genere. Gli uomini invece imparavano a memoria le strofe in cui raccontava di quando era povero. Non molti rapper avrebbero il coraggio di dire che si cucivano da soli un coccodrillo finto sulla maglietta per farla sembrare di marca, come ha fatto lui in Sky’s the Limit. Oppure il remix di One More Chance – l’inno da club per eccellenza – quando a metà del pezzo lui dice di se stesso: “Sono nero e brutto come sempre”. Aveva un’arroganza e una sincerità davvero inarrivabili. La sua morte mi ha veramente ferito. Il suo omicidio è un’offesa nei confronti di un’intera cultura. Riuscite a immaginare che rime avrebbe tirato fuori nel 2017? Fa ancora male, non credo di averla superata.

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