Superorganism, 8 sotto un tetto | Rolling Stone Italia
News Musica

Superorganism, 8 sotto un tetto

Dal bordo di una piscina a Barcellona, la pop band più millennial, connessa, divertente e matta del momento ci racconta come si lavora bene a distanza. Anche adesso che vivono tutti (o quasi) dentro la stessa casa

Superorganism, 8 sotto un tetto

I Superorganism

Non hanno amici famosi, i Superorganism. Strano, perché quando poco più di un anno fa è apparsa in rete Something for Your M.I.N.D., tutti erano convinti che fossero come minimo un progetto parallelo di Damon Albarn, o di qualche altra popstar annoiata in cerca di anonimato. Dietro a quel singolo così riuscito, invece, non c’era proprio nulla. Nessuna band, nemmeno i Superorganism. Solo una chat di fissati di cultura pop nata nel 2015 dopo un concerto degli Eversons, gruppetto indie dove suonavano Emily, Harry, Tucan e Robert Strange (nomi di fantasia, per fortuna), ora tutti trapiantati nel nuovo progetto.

All’epoca erano in Giappone per qualche data, e nascosta nel silenziosissimo pubblico nipponico hanno trovato una 16enne del Maine, sul posto per combattere la noia da vacanza estiva. Tre estati dopo, Orono Noguchi è sul palco del Primavera Sound, e appesa all’asta del microfono promette di spaccarci sul serio il culo. Tre estati dopo, i Superorganism sono diventati l’amichevole gruppo indie di quartiere a cui nessun festival riesce a dire di no, e l’omonimo album uno degli esordi più riusciti del 2018. Suonano un pop indefinibile e liquido, né digitale né analogico, dove suoni d’ambiente – registrati un po’ nel Maine, un po’ a Londra, un po’ chissà dove – convivono con sintetizzatori plasticose, chitarrine surf e giocattoli trasformati in strumenti musicali.

Così vanno le cose se scrivi a distanze continentali, accumulando idee su una chat che pensavi di usare solo per scambiarti il meme del momento. «Ora abitiamo insieme, sette su otto. Ma continuiamo a lavorare online, ci mandiamo i le dalle nostre stanze e su quella chat ora facciamo anche la lista della spesa», mi dice Emily, accaldato (è un uomo) a bordo piscina sul tetto di un albergo di Barcellona. «Qualcuno gira un videoclip al piano di sotto, qualcun altro registra le voci o si occupa del missaggio. È la versione contorta di una casa di produzione», aggiunge Harry sfoggiando una notevole maglietta dove E.T.e Michael Jackson si tengono per mano.

Internet è il musicistaombra dei Superorganism, e tutta la band sembra arrivare direttamente dall’era dei pionieri del web, quando non esistevano social media, il grassone di Megaupload ci regalava la totalità dello scibile pop e tutti eravamo un po’ più gentili.

È vero che non siete mai stati in sala prove?
Harry: L’abbiamo fatto in progetti passati, ma ora non ci andiamo più. Assembliamo la musica su Internet, scrivendo in stanze separate, non ci capita mai di improvvisare in sala. In una città come Londra è molto più facile così.
Emily: Non so come facciano le band a sopravvivere in un posto così. Pagare una sala prove non è più alla portata di tutti, e non è che ti puoi mettere a suonare la batteria nel salotto. Non ci sono molte alternative, in realtà.

La mettete molto sul pratico…

Harry: Amiamo la musica rock, ma la verità è che lavorando al computer e con i software hai molte possibilità in più. E poi scrivere in cameretta ti rende più libero: in sala prove ti senti sempre obbligato a sorprendere, a proporre idee strane. Da solo, invece, provo cose che all’inizio sembrano ridicole, e poi magari funzionano. Poi se fa schifo clicco “delete”, et voilà.
Emily: In realtà ammiriamo molto chi lavora in questo modo, artisti lontani che si “finiscono le frasi” in Rete. Prima dell’intervista ascoltavo il nuovo disco di Kanye, e il suo modo di lavorare è incredibile. Diciamo che è una scelta pratica che è diventata creativa.


Davvero vi ispirate a Kanye West? Non l’avrei mai detto.
Harry: Sì, certo! Ci piace prendere spunto da tutto, come un ristorante fusion. Il problema si presenta quando uno di noi vuole fare Charli XCX e un altro i Creedence Clearwater Revival. È così che vengono fuori questi ibridi un po’ strani.

Qualcuno ha detto che sembrate la parodia di una band.

Harry: Ma no, non vogliamo essere ironici. Forse c’è del sarcasmo in alcuni testi, ma è tutto qui. Capisco chi la pensa così, ma non ci ha preso molto. Ci piace l’assurdo più che l’ironico, noi siamo aggressivamente imbranati.

Vi sentite un po’ degli outsider del pop?
Emily: Sì, assolutamente. Io passo la maggior parte del mio tempo a spiare quel mondo, ma in realtà mi sento alienato da quello che vedo. In generale siamo tutti consumatori seriali di cultura pop, ma è come se la fraintendessimo completamente. Prima di tutte queste inter- viste non pensavo che fossimo tipi strani. Ma ce lo ripetono di continuo, quindi sarà vero!

Non avete paura di cambiare, ora che lavorate con una grande label come Domino?
Harry: In realtà sì. Noi non vogliamo stare in nessuna categoria, ed è per questo che all’inizio facevamo tutto in casa, senza nessun produttore o regista per i video. Scrivevamo i pezzi e li pubblicavamo online senza troppe preoccupazioni. Adesso invece c’è un team che ci aiuta e l’organizzazione è più sensata.
Emily: Noi continuiamo a scrivere perché ci divertiamo, solo che adesso al posto delle stanze della nostra casa ci sono quelle dell’albergo, o i lettini del tour bus.

A proposito di tour, non fa un po’ caldo per suonare sempre con quegli impermeabili?
Harry: In realtà c’è dietro una bella storia. Orono ci aveva mandato una foto che aveva scattato a suo padre dopo un festival, si allontanava nella pioggia e aveva un impermeabile. L’ha usata per un progetto scolastico, poi in uno dei nostri video e alla ne anche sul palco.
Emily: Noi ci sentiamo punk della creatività, vogliamo mettere insieme cose diverse senza preoccuparci troppo. Nel disco ci sono moltissimi sample della nostra casa, oggetti strani, e per il tour abbiamo fatto la stessa cosa.

Quindi non è un modo per nascondere Damon Albarn?


Emily: No, non abbiamo amici famosi! Ma leggere quei rumor è stato fantastico, tutti pensavano che fossimo musicisti incredibili. E diciamoci la verità, chi smentirebbe una voce del genere?

Altre notizie su:  Superorganism