Subsonica: a Torino percepita «una pesante intrusione militarizzata motivata dallo sgombero di Askatasuna» | Rolling Stone Italia
«Una città difficile da capire e da amare»

Subsonica: a Torino percepita «una pesante intrusione militarizzata motivata dallo sgombero di Askatasuna»

Una cosa è l’ordine pubblico, un’altra la desertificazione sociale. L’anima complicata della città. «Chi tenta di applicare qui regole che altrove sembrano offrire facili risultati, resta con niente in mano»

Subsonica: a Torino percepita «una pesante intrusione militarizzata motivata dallo sgombero di Askatasuna»

Subsonica

Foto: Ivan Cazzola

«Ogni città ha una sua magia impenetrabile, che si rivela attraverso l’arcano di apparenti contraddizioni». Inizia così il post dei Subsonica sulla «complicata anima di Torino» dopo lo sgombero avvenuto il 18 dicembre del centro sociale occupato Askatasuna.

«Torino nel suo umore profondo, sta reagendo infastidita a quella che viene percepita, ogni giorno di più, come una pesante intrusione militarizzata motivata dallo sgombero di Askatasuna», scrivono in Subsonica. «Ma è anche la stessa Torino che non ha sopportato l’incomprensibile azione vandalica contro il quotidiano La Stampa, considerato un simbolo. Pur non sempre amandolo. Questa città non tollera vedere sfregiati i suoi simboli, ma allo stesso tempo non li ostenta e sembra non curarsene più di tanto. Non è mai una città allineata: non è stata fascista: Mussolini la chiamava “la porca città”. Non è stata biologicamente democristiana, comunista, craxiana, leghista, berlusconiana ma nemmeno moderata, perché sempre attraversata da tensioni profonde».

«Reagisce alla montatura mediatica sull’Immam Shanin, con il tono di chi rifiuta le sciatte e triviali dinamiche che regolano oggi il dibattito d’opinione in Italia. Si mobilità quando si sente violata, ma non si lascia semplificare da uno slogan. È un luogo difficile da capire e anche da amare. Ma tutti coloro che pensano di applicare qui, forzatamente, regole di funzionamento che altrove sembrano offrire facili risultati… restano con niente in mano. Senza mai capire perché».

Dopo lo sgombero di Askatasuna, Casacci aveva scritto un post su Facebook invitando a distinguere tra ordine pubblico e desertificazione sociale.

«Vanchiglia si è svegliata militarizzata, con strade bloccate, due scuole chiuse e una colonna di camionette che doppiavano per numero le sei persone presenti all’interno della palazzina di Askatasuna, attualmente nelle mani delle forze dell’ordine. Al momento sulla questione si stanno leggendo diverse cose, in alcuni casi anche note ufficiali, che sfidano l’esame di realtà».

«Ciò che è evidente, è che oggi abbiamo assistito ad una esibizione di forza repressiva sulla quale alcuni esponenti della destra nazionale e locale hanno già fieramente messo il cappello. Peccato che per farlo abbiano dovuto forzare i fatti a beneficio di narrativa. Non esiste una relazione diretta tra lo sgombero, la blindatura dei (al momento) due piani superiori dell’edificio, e una “ferma risposta” a recenti episodi violenti, tra cui l’irruzione nella sede della Stampa, su cui sono in corso indagini».

«È vero che nella stessa giornata sono state fatte perquisizioni presso abitazioni di attivisti e sedi di collettivi, ma la revoca del patto di collaborazione per restituire Askatasuna al quartiere in forma di spazio sociale, aggregativo e culturale imposta dalla Prefettura (che di fatto scavalca Consiglio comunale e Giunta), è un’azione differente, che si aggrappa a ordinanze e cavilli tesi a boicottare il progetto della trasformazione dello stabile in “Bene comune”. Quello che non passa inosservato è che per ordine del Ministero, in questi giorni, è stato rimosso un Questore. Quello che su diverse questioni legate a cittadini stranieri, si era mostrato molto dialogante. Evidentemente troppo. E non passa nemmeno inosservato che a pochi giorni dalla liberazione dell’Imam Shanin, contro la cui espulsione la società civile torinese aveva preso una posizione molto netta, arriva in città questa prova muscolare spacciata per azione securitaria, ma che nel tentativo di rimuovere uno spazio di contatto tra luoghi e momenti di dissenso e cittadinanza, diventa uno strumento per alimentare rigidità e tensioni».

«Quello che auspico, anche a nome di una comunità musicale che contro la chiusura dello spazio di Aska si è espressa in modo molto netto, è che la Città non si lasci forzare la mano da chi non vede grosse differenze tra ordine pubblico e desertificazione sociale. Senza per questo mai rinunciare a giudicare gli atti dimostrativi di violenza: sbagliati, inopportuni, puntualmente controproducenti rispetto alle cause che vorrebbero sostenere, unicamente utili a soddisfare l’ansia individuale di protagonismo, in chi li compie. Tutte cose per le quali esistono già strumenti a sufficienza».

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