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Sting e Shaggy: amici per il reggae

Siamo andati in studio a trovare la coppia più affiatata (e strana) in circolazione, pronta per pubblicare il primo album.

Foto Salvador Ochoa

«Uè, Sumner», dice la star della dancehall Shaggy mentre esce dall’ascensore dei Sear Sound Studios di New York e saluta il bassista, con cui sta lavorando al nuovo album. Questo Sumner – che è anche un cantante e cantautore, e fa Gordon di primo nome – è più noto con il soprannome con cui ha fondato i Police quattro decenni fa: Sting. Lui e Shaggy sono a Manhattan – dove Sting vive e Shaggy spesso registra, anche se la sua base è a Kingston, Giamaica – per dare gli ultimi tocchi a 44/876, l’album dai toni caraibici che hanno registrato insieme durante gli ultimi mesi. «La cosa più importante per me, nella musica, è la sorpresa», dice Sting, la cui voce riconoscibile è un perfetto contraltare alle graffianti tonalità dancehall di Shaggy. «E tutti sono stati sorpresi di questa collaborazione. Siamo sorprendenti».

Shaggy prende una bottiglia di Ting – una soda al pompelmo giamaicana – dal frigo: «Ti ricordi quando ti ho parlato della Ting? Dobbiamo trovare qualcosa da mixare con questo». Sting prende la bottiglia e se la avvicina alla faccia, facendo morire dal ridere Shaggy con il link tra Sting e Ting. La Giamaica, non a sorpresa, ha un peso notevole sulla collaborazione. Per Sting, come per molti altri musicisti della sua generazione, il reggae e lo ska sono stati generi fondamentali. «Ho sempre sentito una certa attrazione per l’isola», dice. «Ha un effetto magico che non posso spiegarti».

Entrano nella stanza del mixing, seguiti da una squadra di collaboratori, in gran parte giamaicani, inclusi il cantautore Taranchyla, con la sua capigliatura impressionante, e lo storico produttore di Shaggy, Sting International (un nome che confonde non poco), che ha lavorato con lui alle sue hit degli anni ’90, da Mr. Boombastic a It Wasn’t Me e Oh Carolina. «Lo chiamo Sting Universal», scherza Sting International, guardando la star britannica.

Foto Salvador Ochoa

Il duo ha iniziato a collaborare durante le registrazioni di Shaggy al The Village di L.A., uno studio in cui si trovava con Martin Kierszenbaum, negli anni ’90 A&R dell’MC e ora manager di Sting. Kierszenbaum ha mandato a Sting alcuni brani in lavorazione di Shaggy, tra cui Don’t Make Me Wait, e la star britannica è stata subito colpita dalla canzone. Ha preso un volo dalla sua casa di Malibu e si è precipitato in studio, dove ha fatto una sorpresa a Shaggy aprendo la porta canticchiando il ritornello. «Ho detto semplicemente “Per quanto mi riguarda, questa mi sembra una vera hit”», dice Sting. «Ho cantato il ritornello ma poi volevo essere più presente, quindi ho cantato anche in un verso». Shaggy aveva già delle ottime sensazioni sulla canzone, ma l’endorsement di Sting è stato un surplus. «Mi sono detto: “Cazzo! Avevo ragione! Dio dice che è una hit!”», dice indicando Sting. Che risponde: «Tocco ferro!».

Appare una bottiglia di rum bianco giamaicano e Shaggy inizia a fare drink per tutti. Uno di loro attacca con Don’t Make Me Wait e la star della dancehall inizia a canticchiare, per poi dare le sue impressioni alla fine della traccia: «Suona proprio come se milioni di donne potessero rimanere incinte con questo pezzo, vero?». La coppia ha poi scritto insieme un Lp pieno di hit, tra cui Dreaming in the U.S.A., che ha un tiro da Police vs. Motown, un’esplosione di gioia musicale e una lettera d’amore di Sting verso l’America. «Ci sono le star della musica, Louis Armstrong, Sinatra, Elvis Presley, James Dean», dice. «Ma è una lettera d’amore che afferma: “Non distruggete questo sogno”, perché è condiviso con il mondo. E se il sogno americano sparisce, non c’è niente che lo possa sostituire».

Mentre ascoltiamo Morning is Coming – una jam reggae carica di fiati che Sting dice essere «l’incarnazione di questa partnership», Shaggy prende la parola e dice: «Questo è il disco di cui il mondo ha bisogno in questo momento».

E oltre che legati da un punto di vista musicale, i due sono diventati veri amici. «Contro ogni previsione», fa notare Sting, ridendo. E una settimana prima, Sting ha preso un volo per Kingston per suonare Don’t Make Me Wait in un concerto benefico che Shaggy ha tenuto per l’ospedale dei bambini di Kingston. I due hanno passato un giorno intero a girare un video nella capitale giamaicana. Un’esperienza che ha colpito parecchio Sting. «Questo tizio», dice, «è il Papa della Giamaica».

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