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Gli Slayer e Danny Trejo stanno girando un video in una prigione a L.A.

«Heavy metal e il crimine a volte vanno a braccetto», dice il chitarrista Gary Holt riguardo il nuovo video delle leggende thrash-metal
Gli Slayer e Danny Trejo durante le riprese del video. Fonte: Facebook

Gli Slayer e Danny Trejo durante le riprese del video. Fonte: Facebook

Gli Slayer hanno già fatto cose del genere: schitarrate thrash in pieno giorno, di fronte a una folla di teste rasate e piene di tatuaggi che iniziano a spingere verso il palco, mentre la sicurezza prova (fallendo) a spingerli indietro. Ma questa volta, le mura hanno il filo spinato e il fumo riempie l’aria. E il pubblico, completamente vestito in arancione, esplode quando il cantante Tom Araya urla «Arrogance, violence, world in disarray/Dealing with insanity every fuckin’ day!»

Le guardie sono presto sopraffatte e scappano, lasciando liberi i prigionieri di pestare forte e fare casino attorno alla band mentre suona di nuovo una canzone inedita, Repentless – la title track del nuovo album degli Slayer, in uscita l’11 settembre – nel cortile del carcere assieme a una crew che filma la scena. È il secondo giorno di riprese per il video musicale al Sybil Brand Institute di Los Angeles, un istituto una volta tutto femminile dove i membri della famiglia Manson erano rinchiusi, non più attivo come prigione dal 1997 a causa dei danni di un terremoto. L’edificio adesso è usato spesso quando ai registi serve la location di una prigione.

Il prossimo video di Repentless sarà una collisione elaborata di heavy metal e violenza, diretta dal appassionato di horror BJ McDonnell. «Probabilmente, non sono mai stato così eccitato per un nostro video», dice il chitarrista Kerry King, mettendo in mostra la sua lunga barba intrecciata e portando una maglietta “Slayer Nation” nera.



Se le riprese di oggi sono focalizzate principalmente sulla performance degli Slayer nel bel mezzo di una rivolta, il giorno precedente è stato tutto dedicato a un massacro. Con un cast che include Danny Trejo (di Machete), Derek Mears (Jason di Venerdì 13) e Tony Moran (Michael Myers in Halloween), sono stati utilizzati parecchi litri di sangue e diverse parti di corpi, mentre i prigionieri e le guardie se le davano.

«Quello che abbiamo filmato è una storia che diventa violenta», dice il batterista Paul Bostaph. «Non c’è modo di renderla adatta a tutti i pubblici. Deve essere fatta il più vicino possibile alla realtà».

Seduto vicino a una fila di finestre nel centro visitatori, ormai vuoto, della prigione c’è Araya, con una barba grigia come Matusalemme, vestito tutto di nero e con i capelli sciolti sulle spalle. «Raccontiamo una storia che abbiamo sempre voluto raccontare riguardo la società e di come gli essere umani si trattano l’un l’altro», dice. «Può diventare un po’ violenta. Stupida. Ma è ok. È la natura umana».

Durante la varie riprese della giornata, gli Slayer sono in piedi davanti a una fila di amplificatori Marshall e un camera crane passa sopra la loro testa. Durante una ripresa, il regista fa il gesto delle corna con un’eccitazione genuina. «Abbiamo un palazzo che brucia, un filo spinato e gli Slayer. È il massimo», dice McDonnell. «Amiamo i film horror e l’abbiamo girato, facendolo davvero violento e fico».

Le prove del casino splatter del giorno prima si trovano ancora curiosando dentro le valigie del make-up e del dipartimento effetti speciali dentro gli uffici della prigione. Mentre si prepara a mostrare uno dei suoi attrezzi, Tony Gardener mette del sangue finto dentro una grossa siringa e dice, «Non puoi avere una rivolta in prigione senza un sacco di sangue. Con BJ un sacco di sangue vuole dire UN SACCO DI SANGUE. E anche con gli Slayer, vuol dire UN SACCO DI SANGUE».

Ieri ho accoltellato una guardia parecchie volte


«Abbiamo aperto le celle e tutti quelli che c’erano dentro hanno iniziato a menarsi l’un l’altro, sbattendosi contro le sbarre», dice Felissa Rose, produttrice del video musicale, un’esperta del mondo horror da quando è stata protagonista a 13 anni di Sleepaway Camp. «È stato terrificante».

Nonostante tutte le sue scene fossero state girate il giorno prima, Trejo è tornato sul set per avere l’occasione di conoscere i padrini del thrash-metal. «In prigione, ci sono solo due tipi diverse di persone: i predatori e le prede», dice Trejo, appoggiato alla porta di una prigione. «Visto che sono un fan degli Slayer, sono un predatore».

L’attore ed ex-detenuto ha accettato di apparire nel video in parte perché i suoi figli e sua figlia sono già fan degli Slayer. E i suoi ricordi del giorno precedente sono ancora vividi. «Ieri ho accoltellato una guardia parecchie volte. O meglio, sono stato accusato di aver accoltellato una guardia parecchie volte», dice con calma. «E anche di aver infilato le dita dentro gli occhi di un detenuto e di averglieli cavati. Ma non hanno prove di niente. Circa 300 persone hanno visto il fatto ma non ci sono testimoni».

Per il chitarrista Gary Holt, questo è stato il primo video come membro degli Slayer, ma ha portato con sè tutti gli anni di esperienza dalla sua precedente band Exodus. Holt dice che di solito si annoia a fingere di suonare la stessa canzone mille volte davanti alla telecamera. Non oggi.



Durante le varie riprese nel mezzo di un’ondata di calore californiano, Holt era al fianco dei suoi compagni di band Slayer, con la chitarra alzata dello stesso colore del sangue, mentre la lotta tra le guardie e i prigionieri spingeva verso di lui. «È stato bellissimo», dice Holt. «Ho dovuto tenere a terra un poliziotto per parecchio tempo, che è stato divertente. Mi capita di essere contro la legge». Ride. «Mi diceva, “Sono uno stuntman, spingi forte”. Quindi l’ultima volta, l’ho preso e sbattuto a terra, e il tizio è quasi due metri, quindi è stato molto divertente».

Per gli Slayer, la location non ha voluto dire solo massacri e criminali in rivolta, dato che hanno sempre avuto parecchi carcerati tra i loro fan. «Per me gli Slayer sono musica da strada – che vuol dire prigionieri, persone con precedenti, ma anche poliziotti, dall’altra parte», dice King. «È molto reale».

«Tra i fan degli Slayer, sono sicuro che ce ne siano parecchi con dei problemi giudiziari», dice Holt con rabbia. «L’heavy metal e il crimine a volte vanno a braccetto… Non possiamo mica essere tutti dei coristi».

La location ricorda anche ad Araya qualcosa, una notte passata dietro alle sbarre per una serata alcolica vent’anni fa. «Non mi ricordo molto. Ero ubriachissimo», racconta. «È stato l’inizio della mia sobrietà. Mi ricordo che mi sono svegliato dentro chiedendomi come avessi fatto a finire lì».

«Alcuni di noi sono fortunati e non hanno mai provato questa esperienza. E poi ci sono quelli più sfortunati che passano la maggior parte del tempo in quella cazzo di prigione. Non per quello che sono ma perché ci sono state delle circostanze che li hanno fatti finire lì. Ognuno di noi ha la sua storia».

La storia dietro Repentless è la cosa più vicina di tutte agli Slayer. Il pezzo rabbioso, così veloce ha finora aperto tutti i loro concerti nel 2015. Il testo è stato scritto in tributo al loro chitarrista Jeff Hanneman, che ha fondato la band assieme ad Araya e King nel 1981. Ed è scomparso nel 2013.

«Kerry ha scritto questa come un’ode a Jeff. È una delle mie canzoni preferite dell’album», dice Holt, che conosceva bene Hanneman e ora ricopre la sua posizione nella band. «È aggressiva, veloce e furiosa. Mi piace sempre suonare le cose veloci».

C’è solo un modo di suonare questa musica, ed è dal cuore


King ha dato il titolo al pezzo durante una prova, senza realizzare che avesse appena inventato una nuova parola che univa “relentless” e “repent.” Sembrava cogliere qualcosa del modo di vivere di Hanneman.

Il chitarrista ha anche capito che la traccia, forse, possa offrire il comfort brutale richiesto dai fan «e, magari, dare agli Slayer una sorta di chiusura del cerchio e spingerli ad andare oltre, pensando alle parole scritte per Jeff e a come Jeff viveva, che è in pratica come gli Slayer vivono. Ma devo dire che Jeff era un po’ più hardcore».

Al Sybil Brand, gli Slayer hanno una traccia pre-registrata come base, ma i membri della band si muovono come se stessero suonando davvero. King fa head banging al ritmo di una mitragliatrice, mentre Holt fa roteare la testa come una frusta. Il ruggito di Araya si fa sentire sopra la musica e Bostaph picchia il ritmo con i suoi guanti, come ogni altra serata on the road.

Presto i prigionieri si prendono la scena, e un poliziotto finisce a terra, proprio come ha fatto per tutta la giornata. La canzone finisce a partono gli applausi del cast e della crew per una piccola pausa all’ombra. «C’è solo un modo di suonare questa musica, ed è dal cuore», dice Bostaph. «Se non sto suonando davvero una canzone, lo vedi dalla mia faccia che non la sto sentendo».

«Fare head banging sotto il solo per 11 riprese non è così facile», dice King sorridendo. «Ma penso che sarà fottutamente figo».

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