Siamo stati al concerto di Dave Gahan e i Soulsavers | Rolling Stone Italia
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Siamo stati al concerto di Dave Gahan e i Soulsavers

Il frontman dei Depeche Mode sfoggia il suo lato crooner al meglio con la band di Rich Machin

Dave Gahan e i Soulsavers

Dave Gahan e i Soulsavers

Libero dai demoni e con la forza interiore di chi è sopravissuto a sé stesso, Dave Gahan con i Soulsavers è diventato il bluesman che è sempre stato.
E mette in scena la sua redenzione. Il palco del Fabrique di Milano è un teatro con tende rosse e luci basse, Dave è vestito di nero e accompagnato da una formazione ultraclassica: due chitarre Fender, una Gibson Les Paul e un’acustica, un Roland e tre coristi soul. «Sono un peccatore, sono un santo, non sono nessuno senza di te» canta ondeggiando verso il pubblico, magnetico e irraggiungibile.
È l’essenza della sua vita da ultima rockstar, è la sua voce da crooner spogliata dell’elettronica da stadio dei Depeche Mode e appoggiata su una musica ipnotica
e trascendente che si muove a ondate e cerca disperatamente di portare tutti in alto, fuori dal buio.

Dave Gahan è riuscito a rappresentare in modo perfetto il tema di Angels & Ghosts, il suo nuovo album registrato con i Soulsavers Rich Machin e Ian Glover (il secondo dopo The Light the Dead See del 2012). I fantasmi, ha detto, sono la memoria del passato, gli angeli sono tutto quello che ti può salvare e che lui continua a cercare. «Hai mai seguito Gesù? Vive da qualche parte nel centro di Los Angeles» canta Dave nel testo di The Last Time raccontando uno dei suoi incontri ravvicinati con la morte, il 28 maggio del 1996 quando il suo cuore si è fermato per due minuti per un’overdose di speedball in una stanza del Sunset Marquis di Hollywood (gli altri sono un infarto a New Orleans nel 1993, un tentativo di suicidio e un tumore operato al volo nel 2009 tra una data e l’atra del Tour of the Universe dei Depeche Mode). Tutto gira intorno a questo, alla storia incredibile di un uomo che è sopravvissuto per quattro volte a se stesso: «E vive preso in mezzo tra l’ego smisurato della rockstar e il sentirsi una nullità» come ha spiegato presentando All This or Nothing, primo singolo estratto da Angels&Ghosts.

Dave Gahan è pura intensità, è la verità di un uomo pieno di paure e dubbi che sul palco riesce a diventare sublime ed estremamente reale nello stesso momento. La sua energia è fisica e nessuno riesce a togliergli gli occhi di dosso. Vorresti aiutarlo a salvarsi solo per quello che ti sta dando in quel momento, e quando lo vedi trascinato via dagli accordi solenni del blues dei Soulsavers non puoi fare a meno di essere felice con lui. All This or Nothing, Don’t Cry, My Sun, Just Try sono il suo gospel, il momento più intenso in cui Dave invoca la gloria, l’amore e la speranza prima di abbracciare tutti sul coro finale di Take Me Back Home (da The Light the Dead See): «Home is where I wanna be». «Non sono mai stato religioso, ma penso a me stesso come parte di qualcosa di più grande» ha detto Dave «Non ho paura di mostrarmi per quello che sono, e metto in scena le diverse voci che ho dentro». Se ne va dopo un’ora e mezza, il minimo sindacale, perché più che un concerto questa è una rappresentazione. Torna sul palco solo per fare due pezzi dai suoi album solisti Paper Monsters e Hourglass (Kingdom e Dirty Sticky Floors) e per chiudere con una cover dei Depeche Mode. Che non poteva essere altro che Walking in my Shoes.

Oggi, all’indomani del concerto, Dave Gahan e Rich Machin hanno incontrato la stampa italiana per raccontare della loro collaborazione: «Ho voluto mettermi totalmente in gioco e rischiare tutto», ha spiegato Gahan, «e continuo a divertirmi a pubblicare dischi anche con i Depeche Mode, ma probabilmente se non avessi lavorato con i Soulsavers, non sarei riuscito ad andare avanti con i Depeche. Adoro lavorare con Rich, lui riesce a metterci tutti d’accordo: me, gli archi, i cori gospel, è davvero incredibile. Un’altra persona che devo ringraziare è Mark Lanegan (che a sua volta ha collaborato con i Soulsavers, ndr), lo ammiro tantissimo, artisticamente parlando, se non ci fossero stati lui, Jonnhy Cash e Nick Cave non saremmo qui ora con questo nuovo album».

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