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“Si muove”: com’è Samuel sul palco da solo

Un'intensità a cui ormai siamo abituati, forgiata da migliaia di concerti con i Subsonica. Che sembrano sempre più lontani
Samuel sul palco dell'Alcatraz di Milano. Foto: Elena Di Vincenzo/Pacific Press/LightRocket via Getty Images

Samuel sul palco dell'Alcatraz di Milano. Foto: Elena Di Vincenzo/Pacific Press/LightRocket via Getty Images

Per vent’anni i Subsonica hanno dato una grande certezza di base al loro pubblico. Che in nessuna occasione si sarebbero tirati indietro dal vivo. Che non avrebbero sputato sangue, che non avrebbero finito il concerto sudati, col fiato corto. D’altra parte, esistono più foto di Samuel che salta piuttosto che con i piedi sul palco. Per il tour de Il codice della bellezza, che arriva a Milano in un Alcatraz sudatissimo e sold-out, Mr. Romano non ha nessuna intenzione di mollare il colpo o di tirarsi indietro. Anche se le primavere, ormai, – e mi scuserà se lo sottolineo – sono 45.

Nel suo disco solista, – e mi scuserà di nuovo – questa cifra si sente. Si sente più nelle intenzioni che nel risultato. L’album è una riflessione matura sul suo ruolo, sul fatto di affermare se stesso come cantautore pop contemporaneo (urca). Insomma, un disco che parla principalmente del bisogno di trovare un posto nel mondo come Samuel, non come Samuel-dei-Subsonica. E, considerazione personale, potrebbe anche non succedere più di vedere un Samuel-dei-Subsonica, viste le strade molto diverse che tutti i membri della band hanno preso. E visto che sembrano essere tutti molto contenti del risultato finale.

Ecco, il discorso cambia tutto se si passa al palco. Il set è minimale, ma quasi abbondante per i produttori contemporanei, con batteria, synth e macchine varie e pianoforte, con qualche inserimento di chitarra, ukulele e altri strumenti. Ma la differenza la fa Samuel. È in una forma fisica incredibile, saltella, si muove, balla, praticamente per tutta l’ora e mezza di live. Fa anche quel giochino con il microfono che passa da una mano all’altra, per cui era stato un po’ preso in giro sul palco dell’Ariston. Fa impressione vedere come quelle centinaia – ma forse migliaia – di date in 20 anni di live abbiano forgiato un’anima che non ha mai mezza incertezza, che chiacchieri tranquillamente con chiunque, che si prenda tutte le sue pause. Non c’è necessità di molto altro per passare da un brano all’altro della scaletta, che presenta praticamente tutto il disco. Si apre “facile” con Rabbia, si passa da un po’ di cover del passato (tra cui Ho difeso il mio amore, portata anche a Sanremo), da un po’ di pezzi in featuring riproposti (Costa poco, scritta da Stylophonic). In mezzo c’è spazio per un saluto a Chris Cornell.

Ci sono poche citazioni ai tempi che furono. C’è un riferimento al Bob Marley di War, che spesso ha proposto live anche con i Subsonica. E c’è Momenti di noia, ma in versione House of Pain, un po’ più ruvido e acido dell’originale. Il bis del bis è affidato a La statua della mia libertà, tormentone estivo impacchettato, molto Jovanottesco, che “si muove” e fa muovere per l’ultima volta i piedi ai presenti. Tanti saluti a tutti, fiumana di gente in uscita. E Samuel che torna dietro le quinte con il sorriso.

Nota a margine: non ringrazieremo mai abbastanza Mudimbi per le punch-line efficaci, il senso dello show e la faccia tosta che mette in mostra ogni volta che lo incrociamo, in questo caso prima dell’inizio del concerto di Samuel. Ha firmato da poco un contratto importante e se lo merita tutto.

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