Satanismo 2.0: il black metal ai tempi di Internet | Rolling Stone Italia
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Satanismo 2.0: il black metal ai tempi di Internet

Come si comportano i black metallari e i satanisti all'epoca di Facebook?

Fonte: l'Internet

Fonte: l'Internet

Satana, nell’epoca di Facebook e della pan-comunicazione, è diventato vintage; è vittima di una secolarizzazione che lo ha reso un concetto spesso nebuloso, rispetto ai più concreti video di attentati, sgozzamenti, esplosioni, suicidi in diretta. Il satanismo musicale, nondimeno, sta provando a stare al passo coi tempi, anche perché obbligato da mere questioni economiche. Gli ex-paladini del black metal norvegese, scesi sul mondo a inizio anni ’90 a colpi di blast beat, invocazioni pagane, omicidi rituali e incendi di chiese, sono tornati nella fredda spelonca d’origine; con un computer e una connessione in più.

Il rapporto tra Internet—social network in particolare—e metallo nero è curioso. Il black metal è nato come espressione musicale del rifiuto del postcapitalismo globalista e della civiltà a trazione tecnologica, con Satana che spesso era inteso più come incarnazione di un malessere primordiale che come presenza tangibile di ascendenza biblica. Anti-globalizzazione o meno, nel mondo di oggi, si sa, non si può fare musica commerciabile senza passare per un comparto marketing via social media quantomeno decoroso. E così, anche tra gli ex-portavoce del luddismo sonoro, è scattata la corsa alla visibilità online, tra post ruffiani attira-likes, condivisioni di vecchi e nuovi video a raffica, campagne di web marketing in piena regola.

I Mayhem – iconoclasti black metal originali, autori del disco-standard del genere De Mysteriis Dom Sathanas, band-madre di quell’Euronymous capo dell’Inner Circle satanico e del Varg Vikernes piromane e assassino di Euronymous prima e teorico post-nazista poi – hanno raggiunto quota 480.000 likes su Facebook; i Darkthrone – unica band in grado di contendere ai Mayhem lo scettro di gruppo black metal “canone” – 275.000; gli Immortal – incarnazione prossima allo stereotipo di ogni stilema del genere: dal “corpse-painting” da demone mai abbandonato, a un’adesione totalizzante all’alveo lirico nordico-pagano e a una musicalità al contempo scarna ed epica – superano addirittura il milione, forse perché tanto oltranzismo, nell’epoca della ricerca dello shock a tutti i costi, viene preso per megalomania; i Dimmu Borgir – che hanno vinto la sfida economica coi rivali, diventando la prima, e forse unica, band black metal mainstream – staccano tutti con quasi un milione e mezzo di mi piace. Numeri di certo non da Shakira o Beyoncé, però neanche trascurabili per un fenomeno sociomusicale che si è sempre crogiolato nella propria marginalità.

Ma l’evoluzione della specie per stravolgimento non finisce qui. È possibile, ad esempio, comprare online un set di bicchieri da vino dei Satyricon (gruppo autore dell’inno gelido “Mother North”, considerata la “Stairway to Heaven” del genere) alla per nulla modica cifra di 80 euro, o una tazza da latte dei Bathory, precursori del black appropriatisi del nome di una delle più feroci assassine della storia, per 10. Il messaggio sembra questo: il metallo satanico ormai è roba da cena in famiglia, o addirittura da colazione coi figli.

Il potenziale sovversivo, nichilista, pure liberatorio della scena black metal è andato definitivamente perduto, al netto di qualche tentativo di revival bucolico magari anche pregno a livello musicale (Agalloch, Summoning, Wolves in the Throne Room), ma del tutto privo di una qualsivoglia rilevanza sociopolitica. I nuovi dischi delle vecchie band, dal canto loro, sono o testardamente cristallizzati nel tempo (è il caso degli Immortal, ormai degli AC/DC black metal) o ibridi amorfi che non accontentano né il pubblico settario e introverso di ieri, né quello fluido, iperattivo e ipertecnologizzato di oggi (vedi i Mayhem, che vivono di rendita sul culto di sé stessi; i Darkthrone e i Satyricon ammorbiditi e acefali; i Dimmu Borgir ormai “pop”). Si rincorre un passato di cui sono crollati i pilastri, finendo per fare il verso ai nemici di sempre: musica da classifica, brandizzazione delle band, hit da Youtube/Spotify; con una più o meno totale adesione al capitalismo puro del mercato 2.0, microframmentato e onnipresente. Non la Chiesa, non le cacce alle streghe, non la scienza, non Dio. È stato Internet a soggiogare, forse definitivamente, il Demonio.