Rolling Stone Italia

Radiohead, i diari di ‘OK Computer’ (parte IV)

L'ultimo capitolo del nostro viaggio attraverso i quaderni su cui Thom Yorke vent'anni fa scriveva le ossessioni e le paranoie che diedero vita a ‘OK Computer’

Nel novembre del 1997, quando il tour arriva a Birmingham, Thom tocca il fondo: «Dopo il soundcheck sono scappato». Vaga per un po’ fuori dal palazzetto e finisce su un treno pieno di fan dei Radiohead che stanno andando al concerto. «Non sapevo dove andare e mi sono nascosto in mezzo ai nostri stessi fan. Quello è stato il massimo della fuga che sono riuscito a fare». I suoi compagni di band lo aiutano a non superare il limite: «Ho passato molto tempo a occuparmi di Thom», dice Ed O’Brien, «la mia preoccupazione era fare in modo che arrivasse alla fine dei concerti. Gli stavo accanto come un fratello».

Gli amici lo costringono a fare cose normali, come per esempio andare al pub, mentre Michael Stipe lo aiuta a entrare nel mondo delle celebrità organizzandogli cene a sorpresa con personaggi come gli U2. Alla fine Thom riesce a sviluppare un senso di prospettiva, anche grazie al periodo di pausa che la band decide di prendersi tra Ok Computer e Kid A, uscito nel 2000. «Va bene essere un po’ ansiosi», dice rivolgendosi ancora al giovane se stesso, «ma se decidi di fare una cosa meravigliosa come diventare un musicista, amico, allora devi imparare a lasciar correre. Scegli di prenderti del tempo per te stesso, e dimenticati del resto quando puoi. Quel monologo che fai continuamente con te stesso è debilitante, poco sano. Non stai diventando pazzo, devi fare un passo indietro, tornare ad amare quello che fai e ricordarti perché lo fai. Io ci ho messo molto tempo».

Trovate l’intervista completa a Thom Yorke sul numero di Rolling Stone in edicola

Qualche giorno prima della loro esibizione al Coachella, i Radiohead sono nel backstage del Greek Theatre di Berkeley e si preparano per una delle ultime date del tour. Thom sta aspettando i due figli adolescenti, Colin sta organizzando una visita a un museo di San Francisco e Jonny è seduto da solo in camerino mentre sfoglia Sempre più bandiere, il romanzo di Evelyn Waugh del 1943.

Vent’anni dopo Ok Computer i Radiohead sono ancora insieme, con la line-up originale intatta, anche se non sono mancati i problemi. Yorke ammette di aver reso la vita difficile alla band con la svolta di Kid A: «Non volevano partecipare», racconta, «quando lavori con il sintetizzatore manca la comunicazione, non sei più in una stanza a suonare con gli altri. Ho reso la vita impossibile a tutti».

La rivoluzione iniziata con Ok Computer ha trasformato i Radiohead in una delle band più innovative del 21° secolo. È stato un viaggio così lungo da spingere Jonny Greenwood a negare non solo il concetto di “rock” ma anche di “band” e il fatto stesso di essere un “chitarrista”. Per lui i Radiohead sono: «Un modo per creare canzoni usando qualsiasi tecnologia necessaria a dargli forma, che sia un violoncello o un computer. La band non è altro che un macchinario, io la vedo così». Al momento sono in tour per promuovere il loro nono album, A Moon Shaped Pool, uscito a sorpresa nel maggio 2016 praticamente senza promozione. «Non ce la sentivamo di parlarne», dice O’Brien scegliendo le parole con cura, «è stato un album difficile da realizzare e ci sentivamo fragili, avevamo bisogno di prendere confidenza». Fa una pausa: «Preferirei non parlarne, se non è un problema. È stato un periodo difficile e non è ancora arrivato il momento».

O’Brien sta educatamente facendo riferimento a una tragedia capitata a Thom Yorke che fa sembrare irrilevante tutto quello che gli è successo negli anni ’90. La sua ex moglie Rachel Owen, madre dei suoi due figli, è morta lo scorso dicembre dopo una lunga battaglia contro il cancro. Si erano separati da poco, dopo essere stati insieme per 23 anni. Nessuno al di fuori di un ristretto gruppo di amici sapeva della sua malattia. Il dolore di Yorke trapela in quasi tutte le canzoni di A Moon Shaped Pool. «È stato un periodo molto difficile, ed è stato un miracolo riuscire a portare a termine il disco», dice Yorke.

Contrariamente al solito, per l’ultimo disco i Radiohead sono entrati in studio con alcuni demo di Yorke pronti da realizzare: «Non abbiamo fatto prove, abbiamo cominciato direttamente a registrare e il suono è emerso man mano che suonavamo». Il tour di lancio di A Moon Shaped Pool, che in fondo è uno degli album più tristi dei Radiohead, è diventato però un’esperienza inaspettatamente felice: «Mi sto divertendo. Non è una cosa che dico spesso, ma è stato liberatorio», ammette Yorke.

Nonostante questo, la band non ha ancora fatto progetti per quello che succederà dopo la fine del tour. «Mi sarebbe piaciuto fare altri concerti», dice Colin Greenwood, «e mi sarebbe piaciuto passare più tempo in studio insieme. Ma questo è il nostro modo di lavorare, ormai, da molto tempo». Colin rimarrebbe sorpreso nel sapere che Yorke sta prendendo in considerazione l’idea di registrare dal vivo con la band, per la prima volta dal 1997: «Ho sempre combattuto l’idea di essere una band con una classica formazione basso, chitarra e batteria», dice Yorke, «ma se è quello che gli altri vogliono, io sono troppo vecchio per prendere posizione e dire: “Dobbiamo fare così”. Vorrei che tutti si sentissero liberi». Poi sorride e aggiunge: «Ma sai, non è facile».

(L’intervista completa sul numero di Rolling Stone in edicola)

Iscriviti