Radiohead, i diari di ‘OK Computer’ (parte II) | Rolling Stone Italia
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Radiohead, i diari di ‘OK Computer’ (parte II) | parte I

Il secondo capitolo del nostro viaggio attraverso i quaderni su cui Thom Yorke vent'anni fa scriveva le ossessioni e le paranoie che diedero vita a ‘OK Computer’

Radiohead, i diari di ‘OK Computer’ (parte II)

I Radiohead, Foto di Danny Clinch

Jonny Greenwood è ancora dispiaciuto per i fan di Alanis Morissette. Alanis adorava il secondo album dei Radiohead, The Bends del 1995, («Ho amato ogni linea di basso, ogni nota di tastiera e ogni nota cantata splendidamente da Thom», dice oggi) e aveva invitato i Radiohead ad aprire i concerti del tour di Jagged Little Pill. Il risultato è stato che i Radiohead si sono trovati di fronte un pubblico indifferente che non vedeva l’ora che se ne andassero per cantare Ironic: «Il mio ricordo di quel tour è: io che suono interminabili assoli di organo davanti a un pubblico di ragazzine disperate».

I Radiohead però usano l’opportunità di suonare in grandi spazi per provare Ok Computer, affrontando canzoni complesse e piene di disperazione come Karma Police, Let Down o Paranoid Android durante il loro set al pomeriggio, in piena luce del giorno. «Ci siamo abituati a suonare per gente a cui non fregava niente di noi», dice Thom Yorke, «era divertente: era come se fossero tutti seduti a mangiare, e noi cercavamo di fargli andare il cibo di traverso». Tutto questo succede nel quarto anno di un periodo brutale iniziato nel 1992, quando i Radiohead piazzano a sorpresa la più improbabile delle hit, Creep, un inno all’auto-commiserazione che rischia di farli diventare uno dei tanti fenomeni passeggeri degli anni ’90, tipo i Marcy Playground o gli Spacehog.

Thom Yorke Radiohead Rolling Stone

Trovate l’intervista completa a Thom Yorke sul numero di Rolling Stone in edicola

I Radiohead inoltre conoscono bene la storia di altre grandi band inglesi come gli Stone Roses, che non hanno mai voluto fare lo sforzo necessario per conquistare l’America. Quindi decidono di chiudersi in un bus della American Eagle per girare ogni angolo degli Stati Uniti e promuovere The Bends. Solo nel 1995 hanno fatto 177 concerti, terminando una sequenza album-tour-album da suicidio che li ha tenuti mpegnati dal 1993 al 1998, con un solo mese di pausa. Per i membri della band quelli sono gli anni di gloria: «Alcuni dei miei ricordi preferiti sono a bordo di quell’autobus che corre attraverso l’America», dice il chitarrista Ed O’Brien, «giocavamo a carte o guardavamo film. Mi ricordo di aver attraversato le Montagne Rocciose ascoltando Glen Campbell».

Ok-Computer

Due pagine del quaderno di di appunti di Thom Yorke all’epoca di ‘Ok Computer’

Durante uno di questi viaggi, nel 1996, i Radiohead ascoltano una versione audio del classico di fantascienza del 1979 di Douglas Adams, Guida galattica per autostoppisti. A un certo punto il computer dell’astronave comunica di non essere in grado di respingere l’attacco imminente dei missili. “Ok, computer”, dice il presidente galattico Zaphod Beeblebrox, “assumo il controllo manuale”. Thom Yorke segna questa frase sul suo quaderno. Nel libro quello è il momento in cui gli uomini si liberano dal dominio delle macchine. Anche se sono state interpretate come un riferimento alle conseguenze disumane dello sviluppo tecnologico, Thom insiste nel dire che le canzoni di Ok Computer sono nate in realtà grazie a quei viaggi senza fine. La sensazione di distacco creata da «una vita in orbita» gli ha reso possibile anticipare la dipendenza da smartphone del futuro. «La mia paranoia era riferita soprattutto alle relazioni interpersonali, ma ho usato una terminologia tecnologica per esprimerla. Tutto quello che scrivevo era un tentativo di entrare in comunicazione con gli altri, anche se ero sempre in transito. Quella vita mi provocava un senso di solitudine, come se fossi sempre scollegato».

Alcuni testi, ammette, erano anche una rivendicazione nerd: «Da giovane ero un nerd e non me ne vergognavo. Poi mi sono ritrovato a far parte di una band che era diventata famosa perché beveva solo tè e non socializzava con nessuno». Secondo il batterista Phil Selway, la reputazione era meritata: «Si diceva che i Radiohead in tour fossero come un monastero su quattro ruote. Per la maggior parte era vero». Mentre i tour si confondevano l’uno con l’altro, Thom Yorke continuava a lottare con le sue paranoie. «Quando ero piccolo la mia famiglia ha fatto un brutto incidente d’auto. Mio padre me ne parlava sempre. Credo volesse instillarmi l’idea che se non hai sempre il controllo della situazione, può accadere qualsiasi cosa, in ogni momento. Le mie paranoie erano giustificate».

Il suo odio per le automobili era legato anche al suo disprezzo per la società moderna, in cui «le persone si alzano troppo presto per uscire da case in cui non vogliono vivere, ed escono per andare a fare un lavoro che non amano a bordo del mezzo di trasporto più pericoloso sulla faccia della Terra. Non sono mai riuscito ad accettarlo». Il suo percorso verso l’alienazione è stata un’evoluzione naturale: Thom è nato con l’occhio sinistro chiuso, e ha subito cinque operazioni prima dei sei anni per riuscire ad aprirlo.

A causa di un problema durante una di queste operazioni ha dovuto tenere l’occhio bendato per un anno e ha subito un danno permanente alla palpebra. Il lavoro di suo padre, fornitore di prodotti per l’ingegneria chimica, portava la famiglia a spostarsi continuamente, e in ogni città nuova quel ragazzino strano con un occhio chiuso era un facile bersaglio dei bulli: «Dal giorno in cui sono nato sono stato pervaso da un senso di solitudine», ha raccontato nel 1995. «Probabilmente non sono l’unico. Ma non ho intenzione di andare in giro a chiedere alle persone se si sentono sole come me».

Parte III

(L’intervista completa sul numero di Rolling Stone in edicola)

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