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Pronti per il Nameless? Con Ploom l’esperienza diventa ancora più unica

Abbiamo fatto due chiacchiere con il CEO del Nameless, Alberto Fumagalli, per farci raccontare i segreti che hanno consentito la trasformazione di un piccolo evento di provincia in un appuntamento internazionale imperdibile

Dal 2 al 4 giugno avrà luogo la decima edizione del Nameless Festival, uno degli eventi di musica elettronica più rilevanti e partecipati dell’intero panorama internazionale, che accoglierà un pubblico proveniente da tutto il mondo con novità, atmosfere, realtà e momenti unici.

Dal 2022 l’evento si è trasferito in una vastissima area di 400mila metri quadri situata tra i comuni di Annone Brianza, Molteno e Bosisio Parini, in provincia di Lecco. Gli enormi spazi a disposizione, immersi nella natura incontaminata, hanno permesso di ampliare ancora di più spazi e servizi, al fine di accogliere in totale sicurezza un pubblico sempre più numeroso.

Quest’anno Ploom e Rolling Stone Italia lavoreranno in sinergia per rendere l’esperienza del Nameless ancora più immersiva: sarà possibile seguire sui loro canali il racconto inedito di ciò che succederà durante l’evento di musica elettronica più atteso dell’estate. Il Festival, che ha da sempre legato la sua immagine alla naturale bellezza dell’area che lo ha ospitato, continuerà a dare un forte impulso al tema della sostenibilità ambientale per rendere la manifestazione completamente a impatto zero per il territorio.

Basta sbirciare la lineup per rendersi conto che, anche quest’anno, la carne al fuoco sarà tantissima: Astrality, Capozzi, Claudym, Dj Hype, Ensi & Nerone, Giorgia Angiuli, Goldie, Hedex, Icy Subzero, Jengi, Joshwa, Kid Yugi, La Sad, Malaa, Matroda, Miles,Ofenbach, Olly, Paul Kalkbrenner, Rosa Chemical, Rose Villain, Sonny Fodera, Tokischa, Will Sparks, Andrea Lai, Gyrofield, Mother Inc, The Caracal Project, The Upbeats, Trust In Jungle, Albertino, Arrdee, Automhate, Byor, Catz’n’dog, Chris Lake, Clara, Dance System, Diss Gacha, Edmmaro, Ernia, Gravedgr, Horse Meat Disco, Kayzo, Kaze, Luca Agnelli, Mara Sattei, Marauda, Merk & Kremont, Mora, Neima Ezza, Rovere, Salmo, Sillyelly, Skrillex, Tredici Pietro & Lil Busso, Uniiqu3, Vieze Asbak, Amedeo Picone, Lrnz, Mattei & Omich e Shorty, solo per dirne alcuni. L’edizione 2023 si prepara quindi a sbaragliare anche i record dello scorso anno, in cui si sono alternati 110 artisti e in cui sono state registrate 100.000 presenze nell’arco di quattro giorni, molte delle quali provenienti da U.S.A., Germania, Spagna, Svizzera, Austria, Canada, Slovacchia, Lussemburgo, Polonia, Gran Bretagna, Francia, Norvegia e Olanda.

Dal 2022 l’evento si è trasferito in una vastissima area di 400.000 mq situata tra i comuni di Annone Brianza, Molteno e Bosisio Parini, in provincia di Lecco. Gli enormi spazi a disposizione, immersi nella natura incontaminata, hanno permesso di ampliare ancora di più spazi e servizi, al fine di accogliere in totale sicurezza un pubblico sempre più numeroso.

Il Nameless è un sistema complesso: pochi eventi riescono ad acquisire uno spessore e una eco mediatica di questa portata. Grazie a Ploom abbiamo fatto due chiacchiere con il CEO del Nameless, Alberto Fumagalli, per comprendere i segreti che hanno consentito la trasformazione di un piccolo evento di provincia in un appuntamento internazionale imperdibile.

Nella tua biografia ciò che stupisce maggiormente è la carta d’identità. Hai iniziato a interessarti di musica ed eventi quando eri giovanissimo: avevi 15 anni.
Mi è sempre piaciuto il mondo della musica in generale: da piccolo organizzavo le feste di compleanno dei miei amici all’oratorio del mio paesino, Castello di Brianza, duemila anime in provincia di Lecco. Per intenderci, è uno di quei posti di villeggiatura caldeggiati dai milanesi che, nel fine settimana, vogliono allontanarsi dal caos. Mi sono fatto le ossa mettendo dischi e provando a fare il dj, con scarsissimi risultati.

Arrivare dalla provincia è stato un ostacolo o uno sprono?
È stato un grosso limite. Quando nasci in una grande città è più facile esplorare il mondo degli eventi e conoscere persone con visioni simili alla tua. La motivazione, però, è intrinseca alla persona, e non dipende tanto dal posto in cui nasci: per fortuna, quella non mi è mai mancata.

Quando hai iniziato a renderti conto che l’idea poteva funzionare?
Non sono mai partito con l’obiettivo di fare Nameless per richiamare 50mila persone. Ho seguito la gavetta, passo dopo passo, e penso di aver fatto tutti i lavori possibili, addirittura il mulettista per me stesso. La mia capacità, forse, è stata quella di non partire dal presupposto del definire a priori quale potesse essere il mio ruolo. Ho messo a profitto gli insegnamenti ottenuti negli anni grazie all’esperienza e al tempo che ho riversato in questa cosa.

La passione ha fatto la differenza?

La voglia di inseguire a ogni costo un risultato che era scritto solo nella mia testa ha fatto tutta la differenza del mondo: non avevo nessun business model da seguire, solo un’idea fortissima e un concept da difendere e diffondere. Piano piano, a fine da sbattere la testa contro il muro, si è rotto il muro e non la testa.

Siamo arrivati al decennale del Nameless: che effetto fa?
Il tempo è volato: faccio il lavoro più bello del mondo, ho ancora l’entusiasmo degli inizi, anzi, forse ne ho addirittura di più.

Perché i festival in Italia, con le dovute eccezioni, faticano a decollare?
Il mondo dei festival non coincide con il mondo dei concerti, ma in Italia questa distinzione, purtroppo, è molto sfumata, e questo è un limite. Pensaci: in Italia che festival ci sono? Ci siamo noi, c’è il Kappa, c’è il decibel e poi? Per carità, parliamo di un mercato importante che porta qualità al Paese, ma non possiamo accettare che l’Italia, con la sua rilevanza turistica, sia sprovvista di grandi manifestazioni realmente in grado di competere, a livello numerico e qualitativo, con gli eventi internazionali.

Dov’è l’errore?
Questi eventi, di solito, sono organizzati da persone che hanno la possibilità di mobilitare grandi capitali. Nameless, invece, è nato grazie a un gruppo di cinque, sei ragazzi che hanno passato anni a sognare e progettare il loro festival. Chi fa impresa privilegia lavorare su manifestazioni che danno un ritorno economico certo all’anno zero, e questo ti porta alle rassegne di concerti che ci sono in Italia: noi ci siamo assunti un rischio, siamo andati in perdita e abbiamo risalito la china.

Anche la selezione dei nomi non è mai scontata.
È più facile fare un headline show di Eminem piuttosto che un festival di tre giorni in cui devi vendere i biglietti per una lineup completa. Nel primo caso i rischi sono minori, ovviamente, ma cosa succede se il touring internazionale degli artisti non porta personalità rilevanti? Semplice: i festival non si fanno, cambiano genere o finiscono per snaturarsi. Costruire un’esperienza senza tradire il concept e venderla, magari senza un nome che vende centomila biglietti, è molto più difficile. Noi abbiamo scelto una strada diversa, invitando musicisti che, secondo noi, avrebbero potuto dare sostanza alla filosofia del Nameless. E alla fine abbiamo vinto.

Quindi il concept prima di tutto?
Assolutamente, anche prima dei profitti. Nameless ha un budget tale per cui potremmo anche pensare di fare delle offerte ad artisti che, magari, partecipano ad eventi enormi, ma il limite e il rischio è che domani mattina ci troviamo il festival pieno zeppo di gente che non ha neppure capito di trovarsi a un festival. Facciamo prima di tutto cultura, e non vogliamo smettere.

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