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Quest’uomo salverà i Dj

Dagli 883 a Top Dj, il primo talent al mondo dedicato ai maghi della consolle. 25 anni di pop italiano raccontati da uno dei suoi creatori: Pierpaolo Peroni
Pierpaolo Peroni, romano, 55 anni, la mente dietro a Top Dj, in onda dal 7 aprile alle ore 22.45 su Sky Uno - Foto di Piotr Niepsuj

Pierpaolo Peroni, romano, 55 anni, la mente dietro a Top Dj, in onda dal 7 aprile alle ore 22.45 su Sky Uno - Foto di Piotr Niepsuj

«Prendi il fusto di birra, che ti porto in cabina di regia». Pierpaolo Peroni indica la latta da cinque litri di Asahi vicino ai rimasugli del take away jappo e congeda la tavolata: alle 20.30 si registra la quinta puntata di Top Dj, il talent – sì, un altro talent, e allora? – in onda su Sky Uno a partire dal 7 aprile.

Albertino, Stefano Fontana e Lele Sacchi, giudici del format, smorzano la tensione pre-puntata sparando cagate a caso. Pierpa ha appena tirato fuori un’ospitata a Hell’s Kitchen: «Dovevamo registrare all’una, Cracco non arrivava e continuavano a servirci da bere. Ci siamo fatti quattro bottiglie di Champagne in tre, alle sei di pomeriggio vagavamo per via Mecenate come fosse l’alba…

Però quando gli autori hanno visto il montato ci hanno fatto i complimenti». Qualche minuto dopo, nella saletta di controllo, sette metri quadrati arredati con una scrivania, uno schermo da regista e un microfono, Pierpa mi racconta di quando, nel 2010, gli è venuta l’idea del format: «Venivo dal Processo a X Factor, in giro facevano il talent di qualsiasi cosa, e il fenomeno dei dj che attaccavano le classifiche pop era all’apice. Pensavo che sarebbe stato molto più facile – per assurdo – lanciare un dj che un cantante. Mi sono messo a scrivere Top Dj con Francesco Lauber, già autore del Processo, e dopo tre anni siamo riusciti a farlo». Ogni tanto si interrompe per parlare con gli autori al microfono («Dite a Sacchi di spiegare ai concorrenti che cos’è un buco») o per farmi notare certi esaltanti particolari («Questo concorrente qui è una bomba, guarda l’inquadratura, le mani… le vedi? Non bara, non fa il playback»).

«Dite a Sacchi di spiegare ai concorrenti che cos’è un buco»

Così scopro che a Top Dj vincerà «quello che sa tenere la pista…». Pierpa si interrompe, fissa corrucciato un quadrante dello schermo e impugna il microfono: «Cosa succede a quella console?». Nessuno risponde. Lui sbuffa e fa per alzarsi, ma dietro ai piatti ecco spuntare una testa. «Ah, Damianito… È troppo basso e ogni volta bisogna mettergli la pedana». Pierpa ha l’aria di chi non si è mai divertito tanto, nonostante i 25 anni di matrimonio con Claudio Cecchetto. Una settimana dopo, nella saletta di controllo di Rolling Stone, lontano dai mixer, dai drop e dai fusti di Asahi, dipaniamo insieme tutto questo ben di Dio.

 

Tra i successi di Peroni, gli 883 (1992), Dj Francesco (2003) e i Finley (2006). È sposato con Cecilia Cipressi, in arte Syria, e tifa Lazio – Foto di Piotr Niepsuj

Come capisci se un dj sfonderà?
Quando lo metti davanti alla gente. Possono essere 100 o 100mila, ma se non li fai ballare tutti sei un cretino. Gli Swedish House Mafia fanno set in cui ballano anche le sedie. Ma il più bravo è ancora Fatboy Slim.

Lo fanno i dj, il nuovo pop?
Sì, ma c’è anche un altro discorso, quello del vinile, di un certo tipo di house, un certo tipo di elettronica… Se vai a una serata di Villalobos non conosci un disco, però balli come non hai mai ballato in vita tua. Quello è tutto un altro mondo, più artistico, come il jazz, ma quando è bella, la musica, non ci sono cazzi. A un evento EDM balli perché ti ritrovi in mezzo a 20mila persone, a un concerto di Vasco le 80mila persone che se la cantano ti danno alrettanta forza, invece con una scelta dance raffinata è solo la musica che ti prende.

Qual è la “djeopolitica” del 2015?
C’è il Nord Europa, che è tornato, come spesso accade: di solito quando un fenomeno piccolo diventa pop ci sono sempre di mezzo gli svedesi. Avicii, Swedish House Mafia, Axwell… Gli inglesi invece continuano a fare l’avanguardia. Purtroppo c’è poca Italia. Avevamo i Malavasi, i Change, l’italo disco degli anni ’80, i grandi succesi commerciali della Media Records nei ’90… Ogni volta che la dance tornava su, l’Italia arrivava e spaccava tutto. Quest’anno abbiamo perso il giro, non facciamo media. Se giocassimo in Europa Leage, usciremmo ai 16esimi.

L’America di Skrillex?
Senza i grandi festival europei, Skrillex non sarebbe diventato Skrillex. Oltreoceano è successa un’altra roba, l’anno scorso: con Turn Down for What l’hip hop ha rilanciato la dance in America.

Gli States sono la sala da ballo e l’Europa la console…
È sempre stato così, perché la dance è una musica quadrata che non ha nulla a che vedere col rock e col soul. Solo quando ha un contatto con l’hip hop e aumentano i bpm diventa un prodotto loro. L’ultimo disco dei Daft Punk è molto americano, una volta che ci metti dentro il funk di Nile Rodgers, però l’hanno fatto degli europei. Mark Ronson ha fatto il disco più americano del mondo, ma è inglese.


Perché uno decide di fare il dj piuttosto che il musicista?
Perché un dj non bravo se la può cavare. Un musicista incapace suonerà per tutta la vita a casa sua.

E tu?
Io faccio il produttore e non so suonare neanche uno strumento. Sono uno di quelli che “se ce la faccio io ce la possono fare tutti”.

Falsa modestia a parte, di cosa ha bisogno un produttore?
Di un gusto musicale pazzesco. Fin da piccolo ho sempre saputo distinguere il bene dal male, e all’interno del male so quale male fa bene.

Il tuo numero di telefono inizia con 883…
Mi è costato 10 euro.

Dove hai conosciuto la tua prima “creatura”?
Nell’89 Pezzali e Repetto avevano partecipato a 1-2-3 Jovanotti, si facevano chiamare I Pop. Rappavano, erano un incrocio fra Run DMC, Beastie Boys e Public Enemy. Un anno dopo arriva questa cassetta degli 883 con Non me la menare. Guardo i nomi e vedo un Massimo Pezzali che mi ricordavo e non sapevo perché…

Cosa c’era in quella cassetta?
Una rivoluzione. Nel 1992 in radio c’erano la fine di Tozzi, la fine di Baglioni, la fine di Bennato. C’erano gli stessi cantautori di 20 anni prima – gli stessi di oggi, a pensarci bene – in una fase di stanca. Arrivarono prima Lorenzo, poi Max con Non me la menare e Hanno uccisio l’Uomo Ragno… E da lì è risuccesso tutto.

È stato Lorenzo a farti emigrare?
Mettevamo entrambi i dischi a Roma in due locali diversi, finiti i set ci beccavamo all’alba dal cornettaro di corso Francia, quello dell’edicola di Fiorello. Lorenzo poi venne a Milano nell’87 e nell’88 mi chiamò per farmi fare un colloquio con Cecchetto.

Sul fenomeno Jovanotti avresti scommesso già allora?
Sì. I dj set romani erano molto ortodossi ai tempi, si facevano le stesse scalette, si mettevano gli stessi dischi, lui invece ci parlava sopra, faceva lo scratch, robe fuori dal mondo, illegali…

Sai scratchare, tu?
Ma sei pazzo? A fare zagozago sono buoni tutti, a fare lo scratch ci vogliono anni.

Cos’è lo zagozago?
È quando scratchi prima di far partire il disco. Far suonare il disco con lo scratch è un’altra cosa, guardati i video di Dj Tayone…


A Roma che vita facevi?
Mamma sarta, papà tipografo, avevo un negozio di dischi e lavoravo in radio.

A 16 anni, invece, i dischi
li rubavo alla Standa

Il tuo primo vinile?
Un 45 giri dei Rokes, Cercate di abbracciare tutto il mondo come noi, aveva una copertina che se la grattavi sentivi il profumo. Me lo comprò mio padre a Porta Portese. A 16 anni, invece, i dischi li rubavo. Entravo alla Standa con dei vinili sottobraccio, mi facevo vedere da tutti tipo “hey, questi sono miei…”. Entravo con tre vinili e uscivo con dieci. Alla quarta volta mi hanno beccato.

Hai curato per anni le scalette di Deejay Television: ti dobbiamo qualche tormentone?
Una delle prime cose intelligenti che ho fatto fu scegliere Sweet Child of Mine dei Guns come video della settimana.

Con chi lavoravi?
Fiorello, Linus, Jerry Scotti, [omissis]… Tutti.

Che cos’era Cecchetto in quegli anni?
Quello che è adesso: un fottutissimo genio. Sai le pubblicità degli occhiali a raggi x che vedevi sui giornaletti come L’Intrepido? Lui ha quelli per vedere attraverso gli anni.

Qual è l’algoritmo “Cecchetto”?
Se decide di fare una cosa non si ferma finché non l’ha fatta 100 volte meglio di come si era immaginato di farla. E se ne fotte del giudizio della gente.

Gli 883 li avevano rifiutati tutte le case discografiche

Un esempio?
Gli 883 li avevano rifiutati tutte le case discografiche.

La tua versione su Mauro Repetto?
Quella vera: uno che molla tutto per andare a rimorchiare una e che, per rimorchiarla, decide di finanziare un film con lei come protagonista e si sputtana un miliardo in sei mesi a Los Angeles senza neanche conoscerla, uno così è un cazzo di genio. Se vuoi essere cattivo e dire che negli 883 faceva tutto Max – e te la faccio passare per buona – sappi che se non ci fosse stato Mauro non avremmo mai conosciuto gli 883, perché lui era quello che diceva chiamiamo qua, brighiamo di là, era il matto senza il quale tu puoi essere anche un genio, ma rimani a casa da solo.

Perché sei diventato un produttore?
Un giorno ero a casa e ascoltavo All My Love dei Led Zeppelin e mi dico: questa qua, campionata, è una base pazzesca… Vado in studio e faccio la base con quel sample. poi becco ’sto ragazzino di Pioltello, bravissimo a rappare, che si fa chiamare Space One. Facciamo un disco – ce lo stampa la Flying Records – e lo lascio sulla scrivania di Cecchetto con un biglietto: “Scusa se ho fatto ’sta cazzata, giuro che non lo faccio più”. Il giorno dopo scopro che è in rotazione e dopo una settimana finisce al quarto posto nella classifica dei 45 giri.

Oggi come intercetti gli emergenti?
Adesso devi aspettare che si facciano da soli. Uno che arriva da te con 300 pezzi chitarra e voce è un fesso. Scusa, sono stato troppo duro. È un… inguaribile romantico. Se vuoi fare questo lavoro qui, devi avere quell’urgenza che ti porta a venire da me con già 200 video pubblicati. Lascio che facciano il primo giro da soli, tanto adesso a 15 anni hanno già il manager…


Quali sono le tappe obbligate del primo giro?
Se non riesci a farti una base da solo, vuol dire che non hai abbastanza fuoco. Poi devi almeno avere un amico che sa usare un programma di grafica e un altro che ti riprende col telefonino. Senti qua (mi fa ascoltare il singolo di Thobias Jesso Jr. sull’iPhone)… Sembra John Lennon, mi viene da piangere. È uscito tre giorni fa, me l’hanno suggerito su Spotify. Questo qui suona il 25 maggio al Biko a Milano, capisci? Vuol dire che c’è un giro precedente, che la cosa è così a strati che prenderla dall’inizio è impossibile.

C’è un nuovo Pierpa Peroni?
No, perché non c’è più bisogno di un Pierpa Peroni. Guarda lui (indica la gigantografia della cover di Fedez appesa al muro), fa tutto da solo. E io mi fido più del pensiero di uno come lui che del mio. Eccoli, guarda che fighi…

Da sinistra: Stefano Fontana aka Stylophonic, Albertino e Lele Sacchi, i giudici di Top Dj, in onda dal 7 aprile su Sky Uno alle 22.45 – Foto di Piotr Niepsuj

Entrano Lele Sacchi, Albertino e Stefano Fontana. Scelgono gli outfit per lo shooting. Con loro c’è anche il direttore di Rolling Stone, che li stuzzica a dovere. Mi allontano per il sopralluogo sul set, ma lascio acceso il registratore.

Sacchi: Coppola, una volta sei venuto a una serata e mi hai detto: “Questa non è musica per eterosessuali”.
Coppola: Hai messo quei pezzi che stai 12 minuti così e non succede mai un cazzo…
Sacchi: Sei uno di quelli che vogliono il drop.
Coppola: Assolutamente sì, se sono sbronzo e in mezzo a mille persone sudate.
Albertino: Avete letto che Pharrell deve pagare 7 milioni alla famiglia di Marvin Gaye? Ha perso la causa…
Peroni: Come Al Bano contro Michael Jackson. Al processo, l’avvocato americano aveva cominciato la sua arringa dicendo: Mr. Bano… Pensava che Al fosse il nome (Risate).
Coppola: Alba, pensa se ci fossi stato tu. Ti avrebbero chiamato Mr. Bertino… (Risate).
Peroni: Ma Al Bano non voleva soldi, desiderava solo fare un concerto con Michael. E l’avvocato americano disse: «Ok non c’è problema»…
Coppola: E l’hanno fatto?
Peroni: Col cazzo che l’hanno fatto (Risate).
Coppola: Alba, metti che Albano ti offre 40mila euro per aprire un suo concerto… Secondo me in un attimo sei lì, a fare Al… Bertino (Risate).
Peroni: Alba, qual è la cosa peggiore che hai fatto? Il compleanno della figlia di [omissis]?
Albertino: Quella è una cosa privata, non vale.
Sacchi: Io ho aperto il Carnevale di Militello in Val di Catania, dove è nato Pippo Baudo.
Coppola: La sagra ci sta.
Fontana: La sagra è inattaccabile.
Albertino: Una volta [omissis] fece una serata a Corleone… Lui non era un dj, più che altro faceva l’animazione…
Peroni: Ah, certo, [omissis] era il capo del toccare-senza-toccare. Non le trovavi, le sue impronte digitali, sul mixer (Risate).

Albertino: …Insomma, quella sera [omissis] prende il microfono e dice: “Dai ragazzi, chi è che vuole venire in console? Tu! Come ti chiami?”. E si accorge che le facce di tutti sono pietrificate. Stava parlando al figlio di Riina…
Peroni: …Un altro grande classico è quando vai nelle discoteche che riaprono, e ti raccontano che qualche mese prima ci avevano ammazzato due persone…
Sacchi: C’è una presa per attaccare il ferro da stiro? Ho la camicia sgualcita…
Coppola: Eccolo, quello che il drop non lo vuole neanche sulla camicia.
Albertino: A me non serve, ho portato il chiodo. Se vieni nella redazione di Rolling Stone senza chiodo chi cazzo sei?

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di Aprile.
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