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Phoenix e Giorgio Poi: una combo micidiale

Ieri sera al Fabrique i parigini hanno tenuto un ritmo mostruoso, rendendo indimenticabile la data italiana del Tour di "Ti Amo". Menzione speciale per l'enfant prodige di Bomba Dischi.

Foto: Francesco Prandoni

Foto: Francesco Prandoni

C’è questa specie di maledizione fastidiosissima che grava sul Fabrique di Milano. L’avete mai notato? Ogni santa volta, per quanto ci siano i presupposti per una bella serata, le cose non vanno mai del tutto come dovrebbero. Gesaffelstein quattro anni fa era così sbronzo da non azzeccare manco un cambio, i Major Lazer hanno lanciato a sfregio sul pubblico palate di EDM fumante, se ai Massive Attack ti allontanavi di 5 metri dal palco non sentivi più i bassi (il Bristol sound senza bassi?), al live di Sampha la gente parlava troppo forte, Guè Pequeno ha perso la voce al secondo brano e Liam Gallagher non era proprio in formissima per quanto OK è sempre Liam Gallagher.

Quasi me ne vergogno: quando quel posto ha aperto non mi sono mai divertito una sola volta lì dentro. Intendo proprio quelle serate indimenticabili, birrette e nuvole di endorfine, quando la band è in forma, il pubblico pure e alla fine si crea quella complicità che giova a tutti.

Ecco, ieri sera è stata quella sera. Il merito va anche a Giorgio Poi, che con il suo power trio basso, batteria e lui alla Fender Jaguar e voce ha avuto l’onore di aprire i Phoenix—o come ha scritto scherzosamente lui sul suo Facebook. “chiudono il mio concerto i Phoenix”. E può sembrare una cazzata, ma non si trova tutti i giorni gente che sappia trattare il palco come una sala prove e non una passerella. Giorgio e i suoi suonano spigliati nonostante l’incarico importante, si divertono e non steccano un solo passaggio. Qualcuno fra il pubblico li sente dal vivo per la prima volta, qualcuno non conosce nemmeno un pezzo, qualcuno invece è venuto apposta per loro.
Suonano praticamente tutto Fa Niente, fatta eccezione de Il Tuo Vestito Bianco e di una cover. Inizialmente, Giorgio voleva cantare Time To Pretend degli MGMT (fonte: Bomba Dischi) ma poi si è scelto di reinterpretare Ancora Ancora Ancora di Mina. Diverso campionato, ma probabilmente più a tema della serata.

In fondo, è stata la musica leggera italiana a ispirare i Phoenix per Ti Amo. «Ero a una festa di compleanno in un ristorante della Napa Valley, in California» mi aveva raccontato l’estate scorsa Thomas, la voce dei quattro di Versailles. «Stavo mettendo la musica dal mio cellulare collegato allo stereo con un cavo jack, quando è partita una canzone di Battisti. A quel punto, un italiano è uscito in lacrime dalla cucina.» Da lì è nata una specie di ossessione attorno al mito romantico del Bel Paese. La Dolce Vita, il gelato, la musica leggera, Battisti, Mina e fare la coda in Piazza San Pietro ad agosto. Merito anche dei fratelli Mazzalai, i due chitarristi dandy, che dopo la morte del padre sono partiti per un Grand Tour della penisola per ritrovare le radici della loro famiglia.

Va da sé quindi che la tappa italiana del disco italiano dei Phoenix è più speciale delle altre. Loro lo sanno, il pubblico lo sa e non passa nemmeno un minuto dall’inizio della prima J-Boy che stanno già tutti ballando. Un entusiasmo che i Thomas e banda finiscono inevitabilmente per amplificare azzeccando la combo Lasso-Entertainment-Lisztomania e beccandosi un conseguente Tsunami di applausi. Pure loro non ci credono. Bestie da palcoscenico navigate e tutto quello che vuoi, ma le ovazioni sono sempre ovazioni e il sorriso timido che si stampa in faccia a Thomas è uno spettacolo impagabile. La scaletta prosegue piena di missili selezionati principalmente da Wolfgang Amadeus Phoenix, tipo Rome e Armistice, ma anche dal penultimo Bankrupt! I Phoenix si guardano fra loro, sorridono quando Thomas spara due cazzate al microfono, magari in un italiano risicato. L’unico elemento statuario è dato da Thomas Hedlund, colosso svedese che colpisce la batteria come se stesse suonando tamburi da guerra.

Per l’encore i Phoenix sparano tutte le cartucce rimaste: Countdown, Telefono, Fior di latte, 1901 e Ti amo di più. Tutto questo solo dopo un commovente medley acustico con Emozioni di Battisti e prima dei saluti finali, in cui Thomas prende il largo fra la folla in crowdsurfing e ogni tanto si mette in piedi sostenuto dalle braccia del pubblico sotto. Sembra quasi un suricato. Usciti da lì ci aspetta una pioggia torrenziale, ma anche la soddisfazione di esserci lasciati alle spalle la maledizione del Fabrique.

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