Mawazine Festival, Pharrell Williams conquista il Marocco. Con sorpresa | Rolling Stone Italia
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Pharrell Williams conquista il Mawazine Festival, in Marocco. Con sorpresa

Seconda giornata del festival africano. La diva siriana Assala incanta, Pharrell fa ballare a colpi di "Happy" (ma nella gara delle hit lo frega Jack White)

Pharrell Williams, 42 anni, "felice come una stanza senza soffitto" al Mawazine Festival, Rabat, Marocco, il 30 maggio. Foto Jacob ZawaQ

Pharrell Williams, 42 anni, "felice come una stanza senza soffitto" al Mawazine Festival, Rabat, Marocco, il 30 maggio. Foto Jacob ZawaQ

Dopo il primo giorno il Mawazine Festival, il secondo al mondo per numero di partecipanti, si consegna nelle mani di Pharrell Williams, nostro uomo copertina di settembre, che Rabat, in Marocco conferma il suo paradosso – è un produttore raffinatissimo, ma è amato in tutto il mondo una canzone che aveva scritto per la colonna sonora di un cartone animato per bambini (Happy per Cattivissimo Me 2). Ecco com’è andata la sua conquista del Marocco.

Pharrell Williams
In due parole: la rivincita dei N.E.R.D.

Pharrell Williams, il mago del pop, durante la sua conquista del Marocco. Foto © Sife El Amine

Pharrell Williams, il mago del pop, durante la sua conquista del Marocco. Foto © Sife El Amine


Il mondo di Pharrell è fatto di pennarelli ed evidenziatori, ritmi brillanti e ballerine che fanno breakdance vestite come delle cheerleader – tutte logate adidas, guarda un po’ il caso. «Voglio fare musica che fa muovere gli esseri umani», ci aveva detto Pharrell Williams nel pomeriggio, «e io sono rimasto al grado più semplice dell’umano. Ho 42 anni, non è un mistero, lo potete vedere su Internet, ma resto un bambino grande. Ho le calze di SpongeBob e vivo in un mondo in cui il burro di arachidi è ancora una prelibatezza».

Apre la serata con Come Get It Bae e si ferma a lungo, in silenzio, con la mano sul cuore mentre la gente applaude. Sembra la fine del concerto, ma non siamo nemmeno alla seconda canzone. Tutti applaudono Pharrell, tutti vogliono Happy, la hit miracolo che l’ha reso una celebrità anche qui dove non ha mai suonato in vita sua.

«Sono sempre stato il ragazzo di fianco a quello famoso», ci ha detto nel pomeriggio, e al ruolo di frontman sembra non essersi ancora abituato. Il concerto va avanti e lui sembra l’ospite gentile ed educato delle sue hit, con quella voce esile, che fatica a riempire lo spazio lasciato da arrangiamenti mantenuti all’essenziale – solo basso, batteria, chitarra e tastiere. C’è del groove serissimo, la sessione ritmica (che veste magliette adidas, guarda un po’ il caso) è un treno.

Si torna sulle vecchie hit dei N*E*R*D perché «non ho mai suonato qui, quindi dobbiamo raccontarvi un po’ di cose, chissà come reagirete». Pharrell si prende il suo tempo, ha l’aria di quello che non ha fretta, come se dicesse: “Tranquilli, tanto tra poco vi suono Get Lucky“.

Tra una predica e l’altra sul valore delle donne, Pharrell lascia lo spazio alle sue ballerine, le Dear Baes, «donne fiere che mi rendono fiero del loro talento. Vi faccio vedere cosa delle donne indipendenti possono fare». Le lascia a fare breakdance sul palco per un po’, poi torna e lascia lo spazio alle coriste, che cantano Hollaback Girl, «un inno per l’indipendenza delle donne» – e durante il pezzo, il re Mida delle hit si mette di lato, a fare il corista.

È la sezione degli ospiti immaginari, quella in cui Pharrell presenta le hit in cui, in un modo o nell’altro, c’è il suo zampino: Beautiful e Drop It Like It’s Hot di Snoop Dogg, Hollaback Girl di Gwen Stefani, Blurred Lines di Robin Thicke, Get Lucky e Lose Yourself to Dance dei Daft Punk. Che poi in fondo non è che una cavalcata trionfale verso la canzone per cui sono venuti in decine di migliaia: Happy.

Ma è in una delle pause della cavalcata che succede l’imprevisto: dopo che tutti hanno cantato Happy Birthday a una delle ballerine, parte uno spontaneo, enorme, po-poro-po-po-po-po. Sì, Seven Nation Army dei White Stripes. E la gara delle hit, per stasera, la vince Jack White.

Assala Nasri
In due parole: la diva

Assala Nasri. Foto ©YounessHamiddine

Assala Nasri. Foto ©YounessHamiddine

Coro, violini, violoncelli, percussioni e strumenti a corda vari. Il concerto di Assala Nasri è il gemello arabo della celebrazione trionfale di Pharrell. Arrivo tardi perché la gente, per strada, è tantissima. Tutti cantano con trasporto insieme ad Assala, che (semplificando brutalmente) è una sorta di Mina siriana, anche se ama manifestarsi nel corpo di Romina Power.

È la voce araba per eccellenza, la diva che ha imbarazzato Assad più volte, non senza essere punita (nel curriculum conta un periodo agli arresti domiciliari, per ordine del regime siriano, in Libano). È vestita con un caftano bianco brillante, è ingioiellata e luminosa come si conviene. Tiene legata all’asta una bandiera marocchina.

Ha una voce piena, drammatica, che scivola con virtuosismo tra il salmodiante e il ritornello pop. Assala è la padrona di casa: comanda l’orchestra muovendo un dito, si appoggia alle spalle dei “primi violini” dell’orchestra mentre fanno i loro assoli. La liturgia è da teatro dell’opera: l’orchestra è in abito da sera, sul finale la diva riceve un mazzo di fiori. Tutti vogliono i suoi romanticissimi acuti, lei sembra farsi pregare e poi allontana il microfono, carica la voce ed è subito Pavarotti and Friends.

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