'Pet Sounds' e la fine dell'innocenza dei Beach Boys | Rolling Stone Italia
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‘Pet Sounds’ e la fine dell’innocenza dei Beach Boys

Il 16 maggio 1966 usciva il capolavoro di Brian Wilson, un addio alle hit del passato e, contemporaneamente, l'inizio di un mondo nuovo, dove gli album sono più della somma delle loro parti

‘Pet Sounds’ e la fine dell’innocenza dei Beach Boys

©Capitol Photo Archives

1966. «Chi pensi che ascolterà questa merda?» strillò Mike Love, il cantante dei Beach Boys, al vero genio della sua band, Brian Wilson, mentre gli suonava le nuove canzoni a cui stava lavorando. «Forse un cane?».

Il disprezzo di Love in realtà fu una manna. «Ironicamente», ha detto Wilson, «la sua sparata ispirò il titolo dell’album». E quello dei cani che abbaiano – tra cui Banana, il cucciolo di Wilson – è solo uno dei molti suoni ambientali incisi in Pet Sounds. I Beatles sapevano bene di che razza di capolavoro fosse, e in Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, un altro capolavoro, è facile ritrovare diversi echi del disco di Wilson. Era la chiusura del cerchio, perché Pet Sounds nacque come tentativo di rifare Rubber Soul.

Con le sue orchestrazioni emozionanti, l’ambizione dei testi, il ritmo elegante e la coerenza tematica, Pet Sounds ha dato vita – e in un certo senso perfezionato – all’idea che un album potesse diventare più della somma delle sue parti. Quando Wilson canta “Wouldn’t it be nice if we were older?” nella meravigliosa opener, non immaginava solo un amore che superasse la fine delle scuole; stava suggerendo una nuova identità per il rock & roll e per tutta la musica.

Ha scritto l’album praticamente da solo, senza l’aiuto della band, “sfruttata” solo per completare gli arrangiamenti vocali. Pensava addirittura di pubblicarlo come progetto solista, e il primo singolo Caroline, No, fu lanciato a suo nome. Sfortunatamente, Capitol Records si rivelò innamorata del disco tanto quanto Mike Love, e valutò addirittura di non pubblicarlo. Non ancora vendicato dalla storia, Wilson si rifugiò in uno strato ancora più profondo di se stesso.

«Durante l’ultimo incontro a proposito di Pet Sounds», ha raccontato, «avevo con me uno stereo e otto cassette. Ci avevo registrato sopra alcune risposte, come “No comment”, “Potresti ripetere?”, “No” e “Sì”. Mi rifiutavo di proferire parola, e utilizzavo le mie cassette nel momento che ritenevo opportuno».

Dietro a quei suoni lussuosi c’è una malinconia, un cuore spezzato; e quei brani così personali scritti con l’aiuto di Tony Asher – che ha co-firmato i testi – sono una lettera d’addio alle hit soleggiate e piene di salsedine dei primi, innocenti Beach Boys.

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