Paul Simon chiude il tour d’addio con un concerto memorabile a New York | Rolling Stone Italia
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Paul Simon chiude il tour d’addio con un concerto memorabile a New York

Il cantautore ha fatto tutto quello che ha potuto per suonare il suo ultimo show con gioia, senza pensare al ritiro. Poi, suonando 'Homeward Bound', ha trattenuto a stento le lacrime

Paul Simon chiude il tour d’addio con un concerto memorabile a New York

Appena dopo le prime due canzoni dell’ultimo concerto dell’Homeward Bound Farewell Tour, Paul Simon ha poggiato la chitarra e indossato un guanto da baseball. «Siamo a meno di due miglia da dove giocavo ai tempi del liceo», ha detto. «È buio là fuori, ma sapete cosa? Credo che giocherò ancora un po’». Poi ha lanciato la palla verso il pubblico, e ha chiesto che gli venisse tirata indietro. Ci sono voluti tre tentativi, ma alla fine un fan è riuscito a centrare in pieno il suo guantone con un soddisfacente schiocco. Il pubblico applaudiva, e Simon si è lasciato andare a un sorriso così grande che l’avranno visto a un migliaio di metri di distanza.

Un momento di gioia per quella che poteva essere a tutti gli effetti una brutta faccenda. In fondo, eravamo tutti lì a guardare uno dei più grandi cantautori di New York mentre suonava l’ultimo concerto del suo ultimo tour. Ma invece di lasciare che la serata diventasse una triste riflessione sul crudele passare del tempo, Simon – a poche settimane dal suo 77esimo compleanno – ha messo in piedi una festa, in un parco dove perfetti sconosciuti potevano ballare insieme Diamonds on the Soles of Her Shoes, armonizzare in coro il ritornello di The Boxer e saltare e gridare ogni parola di You Can Cal Me Al. Non c’è stato nemmeno un momento in cui Simon ha solo suggerito che quella era la fine, anche quando i suoi occhi si sono inumiditi alla fine di Homeward Bound.

Come ogni concerto del tour, in apertura c’è America, il classico di Simon & Garfunkel. È invecchiata bene, e ha funzionato con più o meno tutto: dal set di Bowie dopo l’11 settembre fino allo spot elettorale di Bernie Sanders. Adesso, nell’era Trump, sembra che il bambino sul bus interpreti i pensieri di molti americani. Neanche il nome del presidente è stato mai pronunciato sul palco, ma dopo American Tune e verso la fine della serata, Simon ha detto: «Strange times, huh? Don’t… Give… Up».

Dopo America, ecco 50 Ways to Leave Your Lover, The Boy in the Bubble e Dazzling Blue dal suo (sottovalutato) trionfo del 2012, So Beautiful or So What. L’inizio perfetto per una scaletta che ha alternato alla perfezione grandi classici e canzoni oscure, familiari solo ai fan più devoti. «Credo che conosciate bene la maggior parte delle canzoni che suonerò stasera», ha detto all’inizio. «Forse con alcune non sarà così, ma sappiate che tutti i brani più ritmati sono scritti per farvi alzare in piedi e ballare».

Paul Simon nel 1991, foto IPA

Hanno ballato, certamente, soprattutto con i primi accordi di Me and Julio Down By the Schoolyard; e tutti hanno cantato a proposito di Rosie, the Queen of Corona… a Corona. A un certo punto è spuntata Edie Brickell, sua moglie, che ha riproposto il suo famoso assolo con grande abilità. Poi, quando l’ensemble da camera yMusic è salito sul palco per accompagnare Simon in Rene and Georgette Magritte With Their Dog After the War – un brano oscuro e fantastico da Hearts and Bones, resuscitato grazie all’ultimo In the Blue Light – l’atmosfera è diventata più quieta. Nel 1983 Hearts and Bones fu un flop commerciale, ma il tempo è stato gentile.

«Ho uno strano rapporto con la prossima canzone», ha detto poi Simon. «L’ho scritta tanto tempo fa, e quando l’ho finita mi sono detto: Umh, mi è venuta meglio del solito. Poi l’ho data via, e non l’ho cantata per tanto tempo. L’ho provata in tour qualche volta, ma le versioni originali erano uniche, e non mi è più sembrata mia. Ma questo è il mio ultimo tour, e suonerò la mia bambina perduta».

Parlava di Bridge Over Troubled Water, e “l’ho data via” significa lasciarla cantare a Garfunkel. Nonostante l’immagine del suo vecchio compagno di voce sia apparsa qualche volta sul video di sfondo a Homeward Bound, questa è l’unica volta in cui Simon ne parlerà direttamente. Tenere testa all’originale è una sfida molto difficile, ma alla fine l’arrangiamento essenziale di Paul sarà uno dei momenti più alti di tutto il set, soprattutto quando un jet della Spirit Airlines è volato sopra il pubblico giusto in tempo per il verso “sail on, silver girl”.

Mentre le lancette dell’orologio annunciavano la fine della serata, la dimensione di quello che stava succedendo ha cominciato a farsi sentire, anche mentre Simon faceva del suo meglio per non darlo a vedere. Canzoni gioiose come Late in the Evening e Kodachrome sembravano come infuse da un’insolito senso di rammarico, e il pubblico si è ritrovato in un silenzio purissimo durante la devastante The Sound of Silence, l’ultima canzone del concerto. L’ha scritta 55 anni fa nel bagno della casa in cui è cresciuto, e nel 1965 è diventata la hit che ha cambiato la carriera di Simon & Garfunkel. E ora che l’ha cantata per l’ultima volta, la vicenda della sua vita ha chiuso il cerchio. Non c’è stato bisogno di spiegare niente di tutto questo. Lo sentivamo tutti.

Non sapremo mai cos’ha significato questo concerto per Paul Simon, ma spero che non sia il suo ritiro. Spero che continuerà a registrare nuova musica, magari a suonare in qualche show occasionale. Spero di avere di fronte ancora molti e molti anni di nuova musica di Paul Simon. Ma se non dovesse essere così, se davvero è finita, allora non poteva esserci conclusione migliore.

Alla fine di The Sound of Silence Paul Simon ha poggiato la chitarra, si è fermato a guardare il mare di persone di fronte ai suoi occhi e si è immerso nel loro amore per l’ultima volta. Poi ha alzato le braccia in trionfo, e si è avvicinato al microfono per dire otto parole: «Non avete idea di cosa significhi per me».

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