«Quasi impossibile parlare di Ornella».
Esordisce così Paolo Fresu nel suo ricordo di Ornella Vanoni, condiviso poco fa attraverso una nota stampa. I due artisti sono stati legati da un lungo sodalizio personale e professionale, iniziato, come ricorda proprio Fresu, negli anni Novanta, quando si incontrarono per la prima volta al Tangram di via Pezzotti, storico locale milanese frequentati da musicisti e artisti.
«Scrivi qualcosa, domando a me stesso in questa vuota mattina di novembre. E sono qui a buttare pensieri sparsi in un foglio Word pensando a quante volte abbiamo riso, pianto, cantato e suonato in questi trent’anni».
Continua: «Impossibile tratteggiare una vita ricca fatta di successi e di trionfi, di cadute, ascese e passioni.
Scrivi qualcosa, ma cosa? Forse il modo migliore è quello di trovare degli aggettivi. Degli screenshot contemporanei che siano capaci di tradurre l’immaginifico nell’immaginario collettivo del suo essere donna e artista che, sa sempre, appartiene a tutti noi. Ornella è l’emozione della vita. La sua e la nostra».
Una vita, e un’emozione, che Vanoni avrebbe voluto concludere con ancora a fianco l’amico, come un tempo. Nel 2023, a Che tempo che fa aveva dichiarato che, tra le disposizione per il suo funerale, c’era proprio la presenza di Fresu e della sua musica, che avrebbe voluto a colonna sonora del momento.
Allora «l’orologio annuncia che è l’ora di partire per Milano», scrive il musicista, che racconta della difficoltà di rendere giustizia alla “sua” Ornella attraverso poche parole. «Tremava come una foglia prima di salire sul palco che poi affrontava come una leonessa. Oppure le telefonate settimanali con la sua voce inconfondibile che iniziavano sempre con “come va?”, o quelle con mia madre o con mia moglie Sonia. E ancora il suo spogliare con lo sguardo le persone che non le piacevano così da metterle in difficoltà, il concerto dato a titolo solidale nel cortile nelle scuole Pavese dove mio figlio frequentava le elementari o il concerto nel prato della casa di Fabrizio de André alle sei del pomeriggio dove lei, scalza, disse, “non mi è mai capitato di cantare a merenda”».
Ed eccoci arrivati al racconto della richiesta, arrivata già nel 2020: «Nel maggio del 2020, davanti alla stessa scuola di mio figlio, mi chiese al telefono di suonare al suo funerale. In quella luminosa mattina si è saldata ancora di più la nostra amicizia fino a quando, poco tempo fa, mi ha chiesto di essere accompagnata per mano al conferimento della Laurea Honoris Causa. Ora sono su un Frecciarossa che sfreccia nella nebbia padana. Riapro il computer rendendomi conto che bisognerebbe scrivere ancora ma i pensieri sono troppo affollati. Forse bisognerebbe semplicemente volare tra le parole e nel ricordo della sua musica tra Brecht e Vinicius, Tenco, Fossati e Paoli».
Fresu conclude così la sua lettera: «Ornella ha volato tutta la sua vita. A volte bruciandosi le ali ma sempre rialzandosi e librandosi sempre più in alto. Esattamente come noi facciamo tutte le volte che ascoltiamo la sua voce meravigliosa e inconfondibile. L’ultima volta è accaduto a Bologna nel mese di marzo quando, in The Man I Love arrangiata da Celso Valli, sembrava Billie Holiday. Mentre entro in Centrale a Milano, la sua città, ripongo il computer nello zaino certo di non essere riuscito nel mio intento. So solo che il mondo ha perso una voce unica che risponde, come Raffaello, Miles e Vinicius, a un unico nome: Ornella».












