Il numero di canzoni create con l’apporto dell’intelligenza artificiale è in costante aumento. Secondo una recente ricerca realizzata da Deezer, la app francese di streaming francese rivale di Spotify ed Apple Music, ogni giorno 30 mila pezzi caricati e pubblicati sulla piattaforma sono realizzati con l’apporto parziale o totale dell’IA.
Si tratta del 28% del totale. A giugno, quando è stata realizzata un’indagine simile da Deezer, erano il 18%, a gennaio il 10%. A febbraio, per fare un altro raffronto, i pezzi erano 10 mila. Per individuarli, dall’inizio del 2025 la piattaforma utilizza un software ad hoc, per poi attribuire ai pezzi un’etichetta che li identifica come creati con l’IA, in modo che l’utente ne sia cosciente.
«Dopo l’aumento massiccio registratosi nel corso dell’anno, la musica generata dall’intelligenza artificiale costituisce ora una parte significativa dei brani trasmessi quotidianamente dai servizi di streaming musicale», afferma Alexis Lanternier, CEO di Deezer. «Noi vogliamo essere all’avanguardia nel ridurre al minimo gli impatti negativi sia per gli artisti, sia per i fan».
È una questione sia di trasparenza nei confronti degli utenti, sia di distribizione degli introiti. Per contrastare il fenomeno, afferma Deezer, dal mese si giugno le tracce identificate come create al 100% con l’IA vengono escluse dalle raccomandazioni fatte dagli algoritmi e dalle playlist compilate dagli editor. È un punto importante perché, almeno per ora, la musica creata con l’IA raramente viene scelta dagli utenti, a meno che non si tratti di fenomeni come quello dei Velvet Sundown che suscitano grande curiosità. Gli ascoltatori però la ritrovano inserita nelle playlist dagli algoritmi e dagli editor, tanto più se non si tratta di canzoni, ma di musica funzionale creata per accompagnare attività o stati d’animo. Col risultato che, senza rendersene conto, ascoltando quei pezzi in modo “passivo” gli utenti contribuiscono al travaso di ricavi dalle mani degli autori di musica a quelli di creatori con l’IA.
In passato, ha detto Glenn McDonald, ex data alchemist di Spotify, «gli ascoltatori falsi erano un problema più grande della musica falsa, ora forse è il contrario». Secondo uno studio della Confederazione internazionale delle società di autori e compositori, entro il 2028 l’intelligenza artificiale metterà a rischio quasi un quarto dei proventi di chi fa musica, vale a dire 4 miliardi di euro ogni anno.













