«Se non puoi batterli unisciti a loro», recita il proverbio. Così Universal Music Group, la major leader a livello internazionale, ha chiuso la causa per violazione del copyright contro Udio, una delle piattaforme più discusse di musica generata da intelligenza artificiale, ma ha deciso di entrarci in affari avviando una partnership. E non su una questione marginale: le due aziende stanno ora lavorando a un servizio che promette di rivoluzionare il modo in cui ascoltiamo e “usiamo” la musica. Con il consenso degli artisti, pare che gli utenti potranno remixare brani famosi, fondere stili di più musicisti e persino utilizzare le vere voci dei cantanti per creare qualcosa di nuovo.
«Potrai ascoltare e interagire con i tuoi artisti preferiti nello stesso posto», ha spiegato Andrew Sanchez, Ceo di Udio, a Rolling Stone Usa. L’obiettivo è di realizzare una piattaforma che unisca nello stesso tempo Spotify, TikTok e un parco giochi creativo per superfan: «Connessione attraverso la creazione», l’hanno definita.

Foto: Udio.com
La data di lancio è fissata per il 2026, e il progetto sarà un «giardino recintato», come è stato definito: niente download, niente condivisioni fuori dal sito. L’idea infatti, ha chiarito Michael Nash, vicepresidente di Universal, è di evitare che i brani AI cannibalizzino le tracce reali su Spotify o altre piattaforme simili. Ma dietro l’entusiasmo per la “co-creazione” si nasconde la domanda più vecchia del mondo, e non c’entrano le galline e le uova: chi avrà il vero controllo, artisti o l’algoritmi? Universal promette controllo totale e guadagni per chi aderisce, ma Irving Azoff, storico manager e fondatore della Music Artists Coalition, sottolinea che restano molti nodi da sciogliere, tra i quali compensi, diritti e licenze multiple. In più Universal non ha ancora deciso quanto del proprio catalogo offrirà per “addestrare” il modello.
Nel frattempo, mentre Suno, rivale di Udio, macina 40 milioni di utenti al mese, Nash fa sapere che la vera rivoluzione non sarà nella quantità, ma nel legame che si andrà a creare: «La gente non vuole spazzatura generata dall’AI. Vuole mettere le mani sulle canzoni che ama». E così, mentre l’industria discografica prova a a scendere a patti con il (nuovo) “diavolo”, la frontiera si sposta un po’ più in là: il futuro non si scrive, ma si programma.








