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Michael Jackson aveva 19 differenti identità per farsi prescrivere i farmaci

Un nuovo documentario 'TMZ Investigates: Who Really Killed Michael Jackson' indaga il rapporto di Jackson con dottori, farmaci e dipendenze

Michael Jackson aveva 19 differenti identità per farsi prescrivere i farmaci

Michael Jackson nel 2009

Foto: Carl De Souza/ AFP via Getty Images

Un nuovo documentario, prodotto da TMZ, ha svelato nuovi dettagli della vita privata di Michael Jackson, e in particolare sulla sua dipendenza da farmaci che l’han portato alla morte.

TMZ Investigates: Who Really Killed Michael Jackson, in uscita su Fox il prossimo 6 settembre, cerca di far luce sull’ultimo periodo di vita del cantante con una serie di interviste esclusive. Nel 2009 Jackson è stato trovato privo di vita nella sua casa di Los Angeles, a soli cinquant’anni, stroncato da un arresto cardiaco causato da un anestetico, il Propofol, un medicinale somministrato quotidianamente all’artista dal suo medico, Conrad Murray. Per la morte dell’artista, Murray è stato processato per omicidio colposo involontario, venendo condannato a quattro anni di prigione.

«Ne faceva uso da decenni, diversi dottori glielo avevano prescritto in ogni parte del mondo, e a volte gli facevano anche delle iniezioni del farmaco», racconta Murry nel documentario di TMZ parlando della dipendenza di Jackson al Propofol. Ed Winter, assistente medico legata per la contea di Los Angeles dichiara che Jackson era solito assumere il Propofol in bottiglie della dimensione di un Gatorade. «Era l’unico modo per farlo dormire, specialmente mentre si preparava per un tour», racconta Murray.

Secondo quanto riportato dal New York Post, nel documentario si parla anche di altre dipendenze, come quella legata all’oppiaceo Demerol, a cui Jackson aveva un accesso quasi illimitato grazie a Arnold Klein, celebre dermatologo di Hollywood. Per ottenere questi farmaci, Jackson aveva a disposizione diciannove false identità a cui erano collegate differenti prescrizioni. Era lo stesso Klein a tenere nota delle singole prescrizioni in una sua agenda segreta.

Harry Glassman, il chirurgo plastico di Jackson, racconta invece: «Michael è responsabilità, di gran lunga, per il proprio decesso, ma sicuramente ha avuto molto aiuto dalla comunità medica».

Nell’anno della sua morte, Kenny Ortega, il regista che stava preparando con Jackson il tour di This Is It, aveva scritto una mail mostrando preoccupazioni per lo stato di salute dell’artista. «Ci sono forti segnali di paranoia, ansia e comportamento ossessivo. Penso che la migliore cosa che possiamo fare ora è trovargli il prima possibile uno dei migliori psichiatri sulla piazza. Non c’è nessuno che si sta prendendo responsabilità di questo o che si sta prendendo cura di lui quotidianamente». «Oggi l’ho nutrito, lo avvolto in una coperta e chiamato il dottore», scriveva ancora Ortega.

Anche nel giorno prima della sua morte, avvenuta il 25 giugno, Jackson aveva provato senza sosta per il tour. «Michael Jackson era un drogato e un maestro della manipolazione», racconta Murray, «Mi ha manipolato. Non ho mai alimentato le sue dipendenze». Murray afferma inoltre di non essere stato a conoscenza, ai tempi, di queste dipendenze.

Anche Orlando Martinez, il detective della polizia di Los Angeles a cui è stato affidato il caso della morte di Jackson, appare all’interno del documentario. «Tutti questi medici hanno consentito a Michael di dettare i propri termini, avere i farmaci che voleva, quando li voleva, dove voleva», ha spiegato Martinez. «Tutti loro sono il motivo per cui è morto». Aggiungendo: «Sapevamo che c’erano molti altri dottori che agivano come i Dr. Murray, da anni, ma dal lato criminale abbiamo deciso di concentrarci solo su quell’ultima notte. Questo ha fatto sì che le relazioni con altri dottori siano state escluse. Sono però molte le persone da incolpare per la sua morte».

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