Lodo: «Con Lo Stato Sociale abbiamo l’ultima chance prima di diventare gli Zero Assoluto» | Rolling Stone Italia
News Musica

Lodo: «Con Lo Stato Sociale è l’ultima chance prima di diventare gli Zero Assoluto»

La conduzione del concertone del Primo Maggio, le sue idee sui talent e la tv spazzatura. Lodo Guenzi, il cantante del collettivo bolognese, è un fiume in piena.

Credit: Federica Lazza

Credit: Federica Lazza

«Per fortuna che mi hai chiamato perché mi stavo annoiando». Lodo Guenzi è uno della “comune” chiamata Lo Stato Sociale. La band ha fatto il botto con il Sanremo firmato da Baglioni e adesso è richiestissima. Va detto che, prima del successo nazional-popolare, questi ragazzi di Bologna di musica ne hanno macinata parecchia. Alle spalle hanno una carriera decennale, anche se Guenzi precisa che «prima dell’album di debutto Turisti della democrazia era solo un bellissimo cazzeggio». Fatto sta che il biondino riccioluto con la faccia da impunito conduce il concertone del Primo Maggio con Ambra Angiolini. Dopo questa avventura lo aspetta il tour del gruppo e tanto teatro: l’anno prossimo sarà attore in Il giardino dei ciliegi. 30 anni di felicità in comodato d’uso. E curerà la regia dello spettacolo di Dente e Guido Catalano. Tutto fa pensare che questo non sia che l’inizio.

Hai detto che, in passato, proprio al Primo Maggio vi hanno censurato. Come avete reagito?
Molto bene. Ci fa sempre piacere quando succede così.

Ah sì, è perché?
Hai presente quell’antico motto per cui si racconta che le rivoluzioni dei padri sono destinate a fallire, ma l’apice di richiesta di quegli sconvolgimenti diventa il vertice basso delle rivoluzioni dei loro figli?

Spiegati meglio.
In pratica negli anni ’70 volevano la libertà sessuale e oggi, la libertà sessuale, è il minimo di quello che chiedono i ragazzi.

Ok, ma con la censura che c’entra?
Noi la prima volta che abbiamo fatto il Primo Maggio non potevamo cantar Mi sono rotto il cazzo per una questione di fascia oraria. E l’anno dopo ce l’hanno fatta fare. La prima volta non potevamo baciarci tra uomini, mentre l’anno successivo era assolutamente una cosa sdoganata. Diciamo che è un processo di crescita che si fa assieme. Noi proviamo a mettere un po’ di polverina negli ingranaggi e poi, piano piano, si sposta la percezione. Secondo me sono tutte cose abbastanza sensate: che in una tv nazionale non si possano vedere due uomini che si baciano, in prima serata, nel 2015, era forse una cosa un po’ eccessiva no? Anche per un Paese con dentro il Vaticano. Non è mai stata una lotta eh! Ci siamo sempre capiti bene.

Non pensate che alcuni fan, visto il grande successo che state avendo, vi vedano allineati al sistema?
Non credo che la risposta a qualsiasi cosa sia nell’eremitaggio. Non mi appassiona, non sono una persona così e non andrò in campagna a coltivare piante e allevare animali per non allinearmi al sistema. Penso che, nel sistema, ci viviamo tutti quanti: è il mondo che, in qualche maniera, ci siamo anche scelti. E proprio dentro il margine di questo sistema ci sono da conquistare degli spazi di libertà per spostare sempre un po’ più in là quello che si può fare. Non sono neanche così presuntuoso da pensare che ci sia una fascia elitaria con cui parlare perché loro capiscono, mentre l’uomo della strada non comprenderebbe le nostre idee. Quindi Lo Stato Sociale, dal primo giorno, deve arrivare a più persone possibili. La strada è ancora lunga perché siamo in sette miliardi su questa Terra, ma vogliamo arrivarci con le nostre idee, liberi di sentirci dire “Non mi piacete per niente”. Però vogliamo parlare, da sempre, a tutti. È una delle cose ideologicamente pure da portare avanti.

Quindi niente “nicchia indie” nella quale, spesso, vi vogliono ingabbiare.
È chiaro che portiamo una nostra identità, ma se veramente dignitosa e interessante deve parlare con il pensionato e con il bambino delle elementari. Sennò è proprio l’identità a essere debole, la scelta comunicativa.

Voi tra l’altro, forse proprio per questo motivo, non vi siete mai spostati da Bologna.
Perché è il posto più bello e umano del mondo. Le distanze tra le persone sono giuste e nessuno si fa troppo il “viaggio” (se la tira, ndr). C’è semplicità e ci sono dei conflitti all’interno di una società in cui si comunica molto. Nelle altre città dove ho passato un po’ di tempo, gli ambienti di quelli che fanno le cose per la cultura, sono abbastanza isolati rispetto alla vita normale delle persone. A Bologna questa cosa non c’è. E se io smetto di poter parlare con lo studente che si fa su il panino in Piazza Verdi, smetto di raccontare qualcosa di interessante della mia e della sua vita.

L’arte del cazzeggio che per voi è tanto importante, la vedremo anche sul palco del Primo Maggio?
Per forza, me la porto dietro come una scimmia sulla spalla. Una delle poche cose che mette serenità nella vita è il momento nel quale scopri che, solo se non hai niente da dire, sei autorizzato ad aver paura della leggerezza.

E cos’è la leggerezza?
È la migliore arma per dire qualsiasi cosa, ma solo se hai qualcosa da dire. Se non ce l’hai devi essere un po’ tronfio, serio, devi mostrare un atteggiamento.

Come hai reagito alla proposta di condurre il Concertone del Primo Maggio?
Sono stato preso bene. E ho celebrato il fatto che questo sarà il capitolo della mia vita che rimarrà inciso negli annali come quello più pieno di lavoro di sempre.

E quando hai saputo che avresti condiviso il palco con Ambra?
Sono stato lusingato di realizzare il sogno di tanti ragazzi che, come me, sono nati negli anni ’80.

Quindi guardavi anche tu Non è la Rai?
In realtà non lo guardavo. Sono del 1986 e quindi sono un po’ giovane. Però per il nostro discografico è stato il primo grande riferimento culturale, probabilmente.

Be’ c’è da dire che lei di tv ne ha fatta parecchia…
E infatti sono curiosissimo. Meno male che c’è lei che fa questa cosa da una vita ed è sicuramente bravissima. Io sto facendo un esperimento di flessibilità. Provo tanti mestieri e vedo come va, perché il mercato del lavoro ce lo chiede.

Tra i cantanti del Primo Maggio con chi vi piacerebbe collaborare?
Sicuramente ci sono gli Zen Circus, che sono degli amici. In realtà con Andrea abbiamo scritto un pezzo, qualche mese fa, ma per uso privato.

Sarebbe a dire?
Era una dedica che dovevo fare a una persona. Sono andato due giorni da lui a Livorno e abbiamo fatto questa canzone che, forse, non verrà mai pubblicata.

Zen Circus a parte?
C’è Canova, Gazzelle, Willie Peyote. Artisti con i quali abbiamo già duettato. È abbastanza familiare come situazione. Non ho fatto la selezione artistica, ma sono contento di essere capitato, per coincidenza massima, in un anno così.

E poi ci sono le nuove leve, come Sfera Ebbasta, Ultimo, Galeffi. Che ne pensi?
Sta succedendo tanta roba nella musica italiana in questo momento. Credo grazie a una generazione di mezzo capace di spostare, costantemente, l’obiettivo un po’ più in là. Abbiamo cominciato a lanciare una serie di sfide come riempire i palasport. Questo approccio di narrazione verso il Paese reale, di allargare il pubblico e andare a parlare con tutti quanti, la condivide anche la generazione dei vari Gazzelle e Galeffi. Che poi Galeffi canta benissimo, è proprio bravo bravo a cantare. Forse il migliore tra tutti noi.

Tutti “pro”. Nessuno “contro”?
Siamo in una zona un po’ rischiosa. Nel senso che questo è l’ultimo momento in cui si può andare a prendere il Paese rivendicando un’identità. Se si molla il colpo si sta cercando semplicemente di sostituire un vuoto di mercato, con un nuovo pieno di mercato.

E che risultato avremmo?
Fare la nuova musica pop esattamente com’era la vecchia musica pop. E non parlo di qualità della canzone, ma di modello produttivo, di rapporto con il pubblico, di autopromozione, di prezzi popolari. Ma anche di identità ideologica: la voglia raccontare la propria società, invece che la propria storia d’amore. Il pubblico è arrivato, gli stiamo raccontando delle cose ed è l’ultima fase in cui possiamo tentare di essere noi prima di diventare i nuovi Zero Assoluto.

Quindi tutti al Primo Maggio.
Che è un luogo che racconta una forma di appartenenza.

Dopo questa esperienza tv, quando vedremo un programma targato Lo Stato Sociale?
Presto.

Davvero? C’è un progetto in questo senso?
Certo, secondo solo a quello di conquistare il mondo.

A parte gli scherzi…
Diciamo che siamo delle teste vulcaniche e, ogni tanto, qualcuno ci ascolta…

Be’, allora devi dirmi cosa guardi in tv.
La cosiddetta televisione spazzatura del pomeriggio, perché mi piace tantissimo l’agone drammatico e l’invenzione linguistica. Mi ricordo che una volta, una concorrente di Amici di Maria De Filippi, disse a un’altra: «Tu non puoi stare qui a raggirare la frittata!». E l’immagine di questa povera e ingenua frittata schiava della truffa, mi accompagna da anni.

Solo questo?
Guardo anche le tv regionali dove si litiga di calcio, X Factor perché è fatto molto bene, Federico Buffa e un sacco di basket NBA.

E cosa non ti piace?
Non mi soffermo sulle cose che non amo, perché a un certo punto arriva la morte. Uso la tv come fosse la radio, di sottofondo. Diciamo che ci sono programmi di storia della Rai che hanno un ritmo e un incidere veramente lentissimo. E mi si rallenta un po’ il sangue. Non amo alcuni film anni ’80 e ’90 per la stessa ragione: sembra non succeda nulla.

Hai parlato di X Factor. Adesso i ragazzi dei talent – in generale – sembra non riescano a durare più di una stagione, mentre gli indie tengono botta.
È una questione di dove si innesca la relazione con il pubblico. Nel talent il pubblico instaura una relazione tra divano e format tv e i concorrenti si posizionano all’interno di questa relazione. Questo vuol dire che la band rockettara del 2017 è sovrapponibile a quella del 2018 e così via, all’infinito. La musica in quei contesti non è tutto. È chiaro che artisti come Mengoni ed Emma durano perché sono stati i primi a fare quella roba lì. E rappresentano un mondo oltre alla musica. Sono personaggi che hanno qualcosa da dire indipendentemente dalla trasmissione.

Quindi ai concorrenti dei talent di oggi cosa manca?
Lo spazio di raccontare cosa hanno da dire della vita e cosa rappresentano. Chi ascolta gli indipendenti si lega direttamente all’artista. Non c’è un programma dove si passa che, l’anno dopo, vedrà passare una persona sovrapponibile a te. I talent devono lasciare le persone libere di dire ciò che pensano della vita e del mondo. Cosa che funziona anche nel pop.

Cioè?
Noi sappiamo che posizioni prendono le star internazionali, sappiamo chi odia e chi non odia Trump. E questo è un modo di identificazione forte.

Capito. Hai dichiarato, però, che faresti il giudice a X Factor. Non avresti paura di essere schiacciato dal meccanismo e non riuscire a fare le belle cose che dici?
Certo che avrei paura. Ho paura di un sacco di cose, anche di prendere l’aereo, ma se non ci provo, poi come faccio? Bisogna essere consapevoli del fallimento. Sai quanta paura avevo ad andare con Una vita in vacanza in un contesto come Sanremo?