Liberato, dietro il mistero c’è molto di più | Rolling Stone Italia
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Liberato, dietro il mistero c’è molto di più

Dopo la psicosi, i complotti sull'identità e le supercazzole, quanto andato in scena al Club To Club ha portato sul palco un artista che potrebbe stravolgere la scena italiana

Liberato, dietro il mistero c’è molto di più

Liberato durante l'esibizione a Club To Club 2017, foto di Glauco Canalis

Sarebbe quantomeno curioso immaginare il gigantesco punto di domanda stampato sulla faccia di Richie Hawtin mentre leggeva i nomi che avrebbero aperto il suo ‘CLOSE’, lo show live andato in scena sabato a Club To Club in cui, per la prima volta davanti al pubblico italiano, il guru della Detroit techno si circondava di drum machine e synth analogici, invece che dei consueti controller e cdj. Infatti, tra i super-cool Jungle, e il nuovo golden boy dell’elettronica Made In UK, Mura Masa, un nome in particolare avrà certamente stuzzicato la curiosità di Plastikman; c’era un ‘anonimo’ fra gli artisti in cartello per quella che, almeno sulla carta, doveva essere la sua serata.

Niente paura per i puristi già pronti ad arricciare il naso: la storia sulle spalle di Hawtin – e i 4/4 con cui ha sverniciato le pareti del Lingotto – valgono comunque il titolo di MVP, ma quei quaranta minuti circa, in cui l’‘anonimo’ è stato incoronato con un plebiscito il vero headliner del festival, pesano e non poco. Quanto andato in scena sul palco di Torino non è solo la sublimazione di un’operazione di marketing perfetta nella sua semplicità, ma si è trattato di un concerto a tutti gli effetti, capace di cementificare e razionalizzare la psicosi collettiva che nell’ultima annata aveva seppellito di congetture, al limite del morboso, la figura di Liberato.

Il rischio, soprattutto per i ragazzi dietro l’organizzazione di Club To Club, era altissimo: il mezzo ‘passo falso’ dell’unica altra esibizione targata Liberato – con i vari Izi, Calcutta, Shablo e Priestess sul palco del Mi Ami – a molti non era andato giù. Che tutto il progetto Liberato non fosse nulla più che una colossale presa in giro? Erano già in parecchi a sentire l’amaro in bocca per l’eventuale inganno, e la sensazione di aver assistito a una gigantesca supercazzola c’era, eccome. Se anche a Torino fosse successa la stessa cosa, tutto ciò che c’era di interessante nel progetto Liberato probabilmente non avrebbe retto alla modestia dimostrata nell’unica occasione al di fuori dello studio di registrazione, o meglio, al di là della macchina da presa di Francesco Lettieri.



E invece Liberato ha spiazzato tutti, paradossalmente, con un’esibizione in carne ed ossa. Un’intro accompagna sul palco tre musicisti incappucciati, con il volto nascosto dalla tenebre squarciate soltanto dai visual realizzati dal collettivo Quiet Ensemble. Cominciano a echeggiare le percussioni su un tappeto di sintetizzatori industrial mentre, sullo sfondo, avanzano gli accordi dancehall e i sample vocali di Nove Maggio: “uagliò t’appost?” – dice al microfono una voce – è iniziato lo show di Liberato.

Partono quindi Gaiola Portafortuna, l’inedito house garage Perché me stai appennen’? già anticipato via Facebook – prima del gran finale affidato a Tu t’e scurdat’ ’e me. Il risultato è un live solido, ancora troppo breve ma studiato nel minimo dettaglio, un’esibizione che rende finalmente concreto il progetto Liberato, al di là di ogni possibile – quanto noiosa – elucubrazione circa la reale identità del cantante. La direzione è finalmente chiara e, almeno in potenza, davvero in grado di tracciare un solco importante nella scena musicale italiana.

Lo spettacolo sul palco, infatti, è da giudicare al di là delle migliaia di schermi dei telefonini, avidi di consegnare ai social la tanto attesa rivelazione, grazie soprattutto a un formato live che prende a mani basse dagli artisti che nelle ultime stagioni hanno fatto il bello e il cattivo tempo nell’elettronica internazionale, almeno quella più catchy – Moderat e SBTRKT su tutti. Tutto questo mescolato alle melodie del dialetto napoletano che, privo delle consonanti dure dell’italiano, grazie alla sua musicalità si candida come lingua ufficiale della nostra scena pop elettronica.

Già, perché se già qualche anno fa si acclamava la nascita di una scena italiana, il tempo ne ha dimostrato tutta la fragilità, consegnando pochi superstiti in mezzo ai tanti emuli che facevano di Ableton Live – e dell’hype da social network, appunto – la loro unica arma. Parlando poi, dopo l’esibizione, con alcuni dei ragazzi che stanno dietro al progetto Liberato, le sensazioni del concerto vengono confermate: quella di Club To Club era la prova del nove per un’idea partita fin dall’inizio con un’immagine che sembrava uscita da Highsnobiety, con una bambina lontana anni luce dall’ennesimo “ragazzo con la chitarra”, molto più vicina a Drake che a Guccini.

Non spetta a noi prevedere il futuro, nè ipotizzare quali siano i prossimi passi, ma se questo è il risultato, almeno finora, ben venga l’hype e, soprattutto, l’anonimato. Un trucco che funziona fin dalla notte dei tempi: il mistero dell’invisibile che scava fino all’osso la curiosità del pubblico, che si parli della nascita delle religioni o anche solo dei Daft Punk, gli esempi sono tantissimi e Liberato è solo l’ultimo. D’altronde, siamo sicuri che non resteremmo delusi nel scoprire che dietro Superman c’è lo sfigatello Clark Kent?

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