Rolling Stone Italia

Lettera d’amore ad Atene con Nick Cave

Una bomba d'acqua non ha fermato l'esercito di fan ammassato sotto il palco dell'Ejekt Festival, dove Nick Cave ha suonato un concerto memorabile

Atene, sabato 23 giugno ore 17:00, 31 gradi umidi.

“Babe i’m on fire, Babe i’m on fire”, il sole greco estivo sa offuscare i pensieri, così mi focalizzo su un pezzo di Nick Cave che mi sembra adatto. Sono all’Ejekt festival ad Atene, e proprio Cave tra qualche ora chiuderà la quattordicesima edizione dell’evento. Lentamente, ma inesorabilmente si riempie il grande spazio di Plateia Nerou allestito per l’occasione. Ci accolgono street food, fiumi di birra e una gran bella sensazione.

Sul palco aprono le danze Jack Heart & The Love Ghosts, un gruppo “di casa” qui ad Atene, rock romantico e di impatto. Poi è la volta dei Protomartyr. Tra i Wolf Alice e gli Editors si abbatte su di noi una vera bomba d’acqua. Ma il popolo del rock è ancora lì, in mezzo alla tempesta, non si muovono di un passo, non indietreggiano di un centimetro per non perdere il posto guadagnato in ore di attesa, sono lì e non si lamentano, anzi, sono uniti più che mai; in quel momento ripenso a quella scena di 300 quando Leonida incita i suoi Spartani a non cedere il passo e chiudersi a testuggine di fronte alle frecce nemiche.

Sono loro. È proprio vero che i greci non hanno un esercito ma sono un esercito. Che resistenza. Passa più di un’ora e la canzone di Cave nella testa adesso è un’altra: “Will leave me standing in the rain with a letter and a prayer”, mi accorgo che sono praticamente l’unica a scomporsi per il freddo. Si ricomincia, le ore di ritardo sono quasi due, quando finalmente arrivano gli Editors. Ci scaldiamo con Papillon. Bravi, sono bravi ma sanno di essere solo l’antipasto al piatto principale.

Nick Cave all’Ejekt Festival, foto via Facebook

A mezzanotte inoltrata, infatti, fanno il loro ingresso trionfale Nick Cave & The bad seeds. Eleganti come sempre. Suonano per quasi due ore filate, Cave riempie il palco da vero maestro, balliamo tutti, cantiamo tutto. Dall’enfasi del concerto, a Cave si rompe pure una scarpa e ne chiede una di ricambio alle prime file, specificando che porta il 10 (ma anche il 9 e mezzo se lo fa andare bene). Sulle note di Into my arms limonano praticamente tutti, si insomma, grandi “filakia” come si dice da queste parti. Sono quasi le due passate quando Cave saluta, fa un inchino e se ne va, ma il calore degli applausi e il pensiero delle ore precedenti al suo arrivo, lo convincono a tornare per un’ultima canzone, quella Rings of Saturn che ci accompagna dolcemente verso casa. La sensazione però è di non averne abbastanza.

Atene Domenica 24 giugno. È quasi mezzanotte e sto salendo le vecchie scale di un palazzo in centro. Ho saputo che Jim Sclavunos, storico batterista di origini greche di Nick Cave and The bad seeds suonerà in dj set qui. L’immagine che mi si apre appena raggiunto il tetto è quella romantica dell’Acropoli illuminata, quelle mura che sembrano d’oro con le luci artificiali, servivano a ricordare il primato politico, economico e culturale di Atene durante l’epoca di Pericle. Questa cultura ad Atene si respira ancora oggi, vive nelle strade e nelle case dei greci, ma è nella musica forse, che trova la sua massima espressione.

Nick Cave all’Ejekt Festival, foto via Facebook

Il volume è altissimo e intorno a noi è pieno di palazzi abitati. Una cosa del genere in Italia non potrebbe mai accadere, penso, ma ad Atene sembra tutto così naturale, ancora si fuma (tanto) nei bar e se bevi ouzu alle tre del pomeriggio sei semplicemente uno che sa godersi la vita e non un perdigiorno impenitente. Incontro Nikolas Kokolakis, il cantante dei dei Jack Heart che ho conosciuto il giorno prima all’Ejekt festival. Sclavunos questa sera è ispirato, alterna pezzi rock a quelli gotici, senza dimenticare qualche contaminazione della tradizionale musica greca che fa sorridere tutti, una sorta di pizzica salentina in salsa tzatziki, a quanto pare.

Non posso non chiedere a Nikolas cosa abbia provato a suonare sullo stesso palco di Cave, «Eh, è stata un’emozione fortissima», dice, «io e i ragazzi piangevamo tutti come bambini, non potevamo credere a quello che stavamo vivendo, a quella magia. Per la nostra musica Cave significa tanto, è un’ispirazione continua». Per capire meglio chi sia Nikolas dobbiamo cercare nelle orme della sua infanzia, cresciuto a Tinos, un piccolo villaggio di novemila anime. La sua una famiglia di pescatori con una serie di pellicani come animali domestici e la musica nel cuore.

Vedere insieme Nikolas e Sclavunos mi fa immaginare una sorta di passaggio di testimone tra passato e presente, con uno sguardo insieme al futuro, perché a vederli tra i due pare esserci una bella sintonia. «Sclavunos ha avuto un enorme impatto nel panorama del rock, e sono piuttosto sicuro che le sue origini greche lo abbiano aiutato perché c’è così tanta passione in quello che fa ed è anche grazie ad artisti come lui che oggi la scena musicale greca sta arrivando in molti modi e ad un numero sempre maggiore di persone, anche se c’è ancora molto lavoro da fare prima che l’industria della musica riesca a guardarci con gli occhi giusti». Inevitabilmente gli chiedo cosa significa essere oggi un giovane musicista in Grecia, un Paese che sta uscendo da un momento economico così delicato: «E’ molto difficile riuscire ad emergere per i nuovi gruppi, ma non penso sia solo una questione greca, in generale spero che le persone tornino a comprare musica e non solo a scaricarla ma soprattutto spero che continuino ad andare ai concerti come hanno fatto ieri sera, riempiendo quella piazza», negli occhi ora rivedo sua emozione, quella di un giovane musicista sul palco di un grande, e quasi diventa la mia.

Qui intanto ha ricominciato a piovere, e mentre saluto Nikolas cerco un introvabile taxi, ma invece di maledire il tempo, nella testa adesso risuonano le parole di “Do you love me?”. Atene, non nascondiamoci, credo veramente di sì, a questo punto.

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