L'elettronica italiana e i suoi confini computerizzati | Rolling Stone Italia
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L’elettronica italiana e i suoi confini computerizzati

Con i nuovi album di Godblesscomputers e Indian Wells continua il nostro viaggio tra il meglio del sampling made in Italy

Questo mese bussiamo alla porta di due produttori italiani che benedicono l’esistenza dei computer. Uno dei due addirittura ci si è costruito il moniker, Godblesscomputers. Ma per quanto Lorenzo Nadalin abbia scelto di ringraziare il Signore per averci regalato Alan Turing, il suo nuovo album Solchi sembra più in debito con la black music che con la Central Processing Unit. Non è un dramma, anzi. Il computer di Lorenzo qui è servito da collante per tenere insieme elementi neo soul (come la Dreamers che chiede la voce in prestito a Kune), dub (una su tutte, Just Slow Down), i Cypress Hill in El Destino.

Oltretutto, il titolo del disco rimanda a un mondo molto più analogico di quanto Lorenzo voglia dire. Dopodiché, con il background rimanente, ha piazzato qua e là qualcosa che all’estero apprezzano ma che qui tende a passare in sordina, nonostante sia una specialità nostrana: l’italo disco (Records). Più che 16 tracce, Solchi pare uno spaccato di 16 diversi mood che, per quanto siano a volte diametralmente opposti, conservano un’idea comune riconducibile alla firma dell’artista. Un fil rouge che risiede nei meticolosi dettagli, anziché nei brani. In ogni caso, si tratta di un lavoro più adulto, più “suonato” e autoriale dell’ultimo Plush and Safe.

Più introspettivo è quel gioiello che si cela dietro allo pseudonimo di Indian Wells. Parlando di computer, trovare il suo nome su Google non è facilissimo, essendo Pietro Iannuzzi fan del tennis a tal punto da aver chiamato il suo act come uno dei tornei più blasonati. Ma come sempre, le cose belle vanno cercate bene. Forse in termini di hype potrebbero vincere i Solchi di Godbless, ma in termini di computer il premio silicio va tutto a Indian. Pietro prende il tocco leggero di Four Tet, l’eccentricità di Actress e i trip di Burial per impartire alla macchina un’istruzione che gli sta a cuore: abbattere il concetto di spazio, di confini fisici. Essendo cresciuto in una zona piuttosto remota nel Sud, il produttore ha sempre “visto il concetto di confine prima di tutto come una limitazione”. Per cui, se passare ore davanti a uno schermo può servire non solo a futili attività, ma anche a farsi del bene, allora ben vengano i computer.