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‘Led Zeppelin IV’, la scala verso il paradiso

L'8 novembre del 1971 esce uno dei dischi più importanti della storia del rock. E dire che Jimmy Page di Stairway diceva: «È una canzone naïf, credo sia stata ispirata dal fumo marocchino»

Foto: Camera Press/ Graham Wiltshire/ Contrasto

Il quarto album dei Led Zeppelin è conosciuto come Led Zeppelin IV, Senza titolo, Quattro simboli o Zoso, ma il suo vero titolo sono i quattro simboli impronunciabili scelti da ognuno dei membri per rappresentare se stesso. L’idea è di Page, una rappresaglia nei confronti dei giornalisti, molti dei quali di Rolling Stone, che hanno snobbato la band: «Con tutto quello che avevamo fatto, la stampa continuava a dire che eravamo solo una moda. Ecco perché il quarto album non ha titolo». Page si rifiuta anche di concedere interviste per 18 mesi. Uno dei dischi più venduti di tutti i tempi (23 milioni di copie negli Stati Uniti secondo gli ultimi conteggi) è animato quindi dal risentimento di una band vincente che si sente ancora svantaggiata.

La copertina è senza foto o informazioni, una mossa che sembra un «suicidio professionale» come dice un discografico a Page, ma che in realtà finisce per creare intorno al disco e alla band un alone di mistero che dura ancora oggi. La maggior parte delle registrazioni viene fatta nell’inverno 1970-1971 a Headley Grange, l’antica casa di campagna umida e poco riscaldata che John Paul Jones ha definito «orribile». Page, che ha prodotto meticolosamente tutti i dischi della band («Io sono il suono dei Led Zeppelin», ha dichiarato) fa in modo che la casa stessa diventi parte della creazione: piazza la batteria di John Bonham su una scalinata di pietra con i microfoni appesi al soffitto e utilizza l’acustica naturale della casa per creare l’attacco potente di grancassa e piatti all’inizio di When the Levee Breaks. Black Dog, dedicata a un cane randagio che gira per Headley Grange, si basa su un riff che Jones ha creato dopo aver ascoltato l’album psichedelico di Muddy Waters Electric Mud. Il ritmo veloce del pezzo è scaglionato, inquieto, sembra quasi che Page e Bonham vadano fuori tempo e, quando la musica si ferma, Plant grida un invito a una “donna che ci sa fare”. «È un pezzo sfacciato, del tipo “facciamolo in bagno”», ha detto Plant. La struttura con gli stop e le ripartenze è ispirata alla hit dei Fleetwood Mac, Oh Well, un altro esempio di quanto la band ascolti e prenda in prestito cose molto diverse.



Nello stesso stile, Rock and Roll e Misty Mountain Hop (con il piano elettrico del versatile Jones) sono pezzi rock ancora oggi in heavy rotation in radio. La seconda, che Plant ha definito «hippy-dippy», parla di un giro in un parco pieno di gente con “i fiori nei capelli” dove gli viene offerto da fumare, un’immagine idillica da era dell’Acquario ripetuta anche nell’acustica e lamentosa Going to California, ispirata all’amore per la West Coast e alla devozione nei confronti della cantante folk Joni Mitchell. Un altro racconto di viaggio, in cui Plant lascia una “donna scortese” per cercare una ragazza “con l’amore negli occhi”. In mezzo a questi due estremi, c’è il pezzo che fonde luce e ombra, Stairway to Heaven, probabilmente il pezzo più famoso nella storia del rock.

Inizialmente però il pubblico è scettico: «La prima volta che l’abbiamo fatta dal vivo, ho visto chiaramente il pubblico pensare: “Perché non fanno Whole Lotta Love?”. Alla gente piace sempre quello che conosce. Poi è arrivato il momento in cui Stairway è diventato quello che conoscono». Anche Plant ha scherzato ricordando di aver visto «il pubblico fare un pisolino» durante Stairway. A Headley Grange tutti pensano che il primo take sia perfetto tranne Page (che quando non è sballato fino all’incoscienza è un attentissimo supervisore), che intuisce che si può ancora migliorare. «Bonham era furioso», ha raccontato l’assistente fonico Richard Digby Smith e «ha cominciato a suonare come un pazzo». Il secondo take è quello giusto, Page aveva ragione. Stairway è una divagazione epica lunga 8 minuti che comincia con la chitarra acustica di Page e Jones che suona il recorder, uno strumento a fiato e poi sale in crescendo fino a diventare un ruggito elettrico. È il pezzo che secondo Page «cristallizza l’essenza stessa della band».



Plant, il meno nostalgico del gruppo, l’ha sminuita definendola «una piccola canzone, carina, naïf, gradevole e piena di buone intenzioni». Secondo quanto ha raccontato Page, Plant ha scritto il testo di getto, creando un percorso dalla prima strofa cinica e disillusa al finale misterioso, ma ottimista, di riflessione e rinascita: «Credo sia stata ispirata dal fumo marocchino», ha scherzato Plant. La band è così fiera di questo pezzo che stampa il testo sull’interno di copertina del disco (una novità per loro). Page trova il carattere in una vecchia rivista di arti figurative inglese, The Studio, del XIX secolo. Le radio chiedono alla band una versione ridotta del pezzo, ma loro si rifiutano di scendere a compromessi. I dj cedono e suonano Stairway to Heaven per intero, soprattutto quando hanno bisogno di fare una pausa per andare in bagno. All’inizio della loro carriera l’essenza della band sembrava essere la pura brutalità: «Una cosa animale, dannatamente potente», per dirla con Plant. Poi, in modo quasi fortuito, nel corso del decennio successivo ogni membro della band ha sviluppato le proprie qualità. Plant aggiunge testi più introspettivi alle sue grida di abbandono, Page emerge come uno dei produttori più fantasiosi del rock e comincia a sparare riff epici come se fosse una catena di montaggio, Jones suona praticamente ogni strumento tranne il kazoo, fortificando ed espandendo gli arrangiamenti. E Bonham, fino alla sua morte nel 1980 avvenuta per troppo alcol e una vita di eccessi, suona con una forza tale da far impallidire un martello pneumatico.

Tutta questa sapienza, abilità tecnica e voglia di rischiare sono evidenti nel quarto album dei Led Zeppelin. Page continua giustamente a tenere il muso alle riviste musicali e ancora oggi dice che persino il loro disco più famoso è stato stroncato dai critici quando è uscito. L’album domina immediatamente le playlist delle radio. Di questi tempi i cd non hanno la copertina apribile che serve ad aiutare a pulire l’erba per le canne, ma la musica in questo disco ha assunto da tempo dimensioni epiche. In una scena del film Fast Times at Ridgemont High (Fuori di testa) del 1982, sceneggiato dal fan degli Zeppelin Cameron Crowe, lo squallido bagarino Mike Damone spiega a un giovane e ingenuo amico qual è il segreto per infilarsi nelle mutande di una ragazza: «Quando arriva il momento, appena puoi metti su il primo lato di Led Zeppelin IV». rob tannenbaum

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