Le interviste impossibili di Cattelan: Di Battista | Rolling Stone Italia
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Le interviste impossibili di Cattelan: Di Battista

Ecco un'altra delle interviste che sono successe solo nella testa di Ale Cattelan, intervista in cui oltretutto Dibba nemmeno si presenta

Le interviste impossibili di Cattelan: Di Battista

Buongiorno, orfani della cronaca d’assalto. Il mese scorso non ho potuto rendervi partecipi delle mie peripezie, perché Rolling Stone (sì, proprio la rivista che tenete tra le mani) ha cercato di imbavagliarmi. Per togliermi la libertà d’inchiesta e le spinose conseguenze che ne sarebbero seguite, hanno architettato un piano diabolico: mettermi in copertina. “Eh… in questo numero niente Interviste impossibili… sai… sei già in copertina, non vorremmo sovraesporti, è una questione di opportunities…”, mi hanno detto. Be’, sapete che c’è? Io me ne sbatto della copertina di Rolling Stone! I miei lettori sono per me la priorità numero uno! Number one priority!

E infatti questo mese ho rinunciato a essere di nuovo in copertina, per tornare a sporcarmi le mani nel torbido della politica italiana.
Do appuntamento ad Alessandro Di Battista in corso Vittorio Emanuele a Milano, dove c’è il McDonald’s e la piazzetta in cui le crew di peruviani provano le loro dance routine.
Ho scelto di incontrare Di Battista per capire meglio il suo pensiero e quello del Movimento 5 Stelle, e anche perché, lo ammetto, mi fa sempre molto ridere presentarmi dicendo “piacere Alessandro”, e sentirmi rispondere “Alessandro anche io!”, “Ma dai… che simpatica coincidenza”. Il ghiaccio è così rotto all’istante.
Ma, in questo caso, l’unica cosa in grado di sciogliere il ghiaccio sembra essere la noia. Aspetto Di Battista per 10 minuti oltre l’orario fissato, che diventano 20, che diventa un’ora. Inizia allora a venirmi fame, e decido di approfittare del McDonald’s a due passi, per farmi un Happy Meal con le crocchette di pollo. Mi accomodo sulla panchina fuori dal negozio, quella su cui è seduta anche la statua del pagliaccio Ronald McDonald. O almeno, questo è quello che credevo.
“Fame, eh…?”.

Scusi, ma lei non è una statua?
“No, sono un pagliaccio in carne e ossa”.

Oddio, lei è il vero Ronald McDonald?! Sono un suo grande fan.
“No, nemmeno questo…”, mi risponde con una punta di delusione, che però non gli impedisce di porgermi una mano. “Pennywise, molto piacere. Forse mi ha visto recentemente al cinema”.


It… Le dice niente?

Ah, il film horror? No, da piccolo ero molto impressionabile… Mi scusi se non l’ho riconosciuta.
Non c’è problema, ci truccano tutti uguali, a noi pagliacci. Così va forse meglio?

E mi spalanca una bocca zeppa di mille denti affilatissimi.

La farà ridere sapere che inizialmente avrei dovuto essere proprio io il pagliaccio del ristorante.

Davvero?
Oh, sì… Era il periodo in cui muovevo i primi passi nel cinema, e ovviamente cominciai dalle pubblicità. Un po’ come Stefano Accorsi, se vogliamo… Le cose non andavano bene, mi scartarono anche per il ruolo che fu poi di Mastro Lindo. A quei tempi ero in forma, senta qua.

Mi chiede di strizzargli il muscolo del braccio. Quando lo faccio, il fiore che porta sulla maglia mi spruzza del sangue in faccia.

Ah ah ah, scusi… Vecchi trucchi da pagliaccio.

Molto divertente.
Ma torniamo a noi. Mi scartavano per qualunque ruolo, dopo il provino per McDonald’s mi incazzai terribilmente, diedi di matto. Il caso volle che a farmi il provino ci fosse un giovane Stephen King, anche lui agli inizi. Il resto è Storia…

Sembrerebbe che una stella con il suo nome la stesse aspettando in cielo…
A volte lo penso anch’io. Ma basta con i ricordi: lei, piuttosto, sta aspettando qualcuno?

Alessandro Di Battista.
Ah, grande. Ho votato per lui! Be’, ora devo salutarla. È stato un piacere!

E io ero nuovamente solo su quella fredda panchina. Di Battista non arrivò mai. Mi informarono qualche giorno dopo che in realtà anche Di Battista aveva passato tutto il giorno su una panchina di corso Vittorio Emanuele. Però a Torino. Tipico di lui.

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