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L’attualizzazione del reggae, ovvero Damian Marley e Alborosie insieme

Cambiare un genere intero, senza allontanarsi da se stessi. La lezione dei due sull'appropriazione culturale e simili
Damian Marley al Carroponte - Foto Andrea Caristo

Damian Marley al Carroponte - Foto Andrea Caristo

Qualche mese fa, ero capitato in auto con un conoscente per un lunghissimo viaggio. Appena salgo in macchina mi avvisa: «Io ascolto solo reggae».

Fast forward fino al 5 settembre. Ci sono Damian Marley e Alborosie che invadono il Carroponte. In tempi infausti di appropriazione culturale, vedere i due sullo stesso palco è una boccata d’ossigeno. Perché le bandiere a sventolare sul palco, l’estetica roots e i colori rastafariani sono stati presi in prestito da chiunque abbia pensato di inserire una chitarrina in levare o un soundsystem di vaga ispirazione giamaicana nei suoi dischi. E tornare a respirare un po’ di aria pura, dall’odore che conosciamo tutti, fa solo bene.

È la stessa che cerca chi è al doppio concerto (è inutile parlare di apertura di Alborosie, ormai diventato una certezza in Italia e uno dei punti di riferimento nel mondo) dei due alfieri reggae.

C’è un popolo intero, che è fedele a un genere e che lo vive fino in fondo. Che non ha ceduto a nessun tipo di compromesso, che non è saltato su nessun carro di facilissimo ascolto. Che alle versioni edulcorate del reggae diventato pop preferisce andare fino alle radici e restare vero. Che combatte le stesse lotte. Che ancora si commuove, quando arriva puntuale Get Up Stand Up. La parte più bella del live è togliere gli occhi dal palco e guardare la gente. Tra cui, forse, il mio amico dell’inizio.

Se Alborosie ormai è un figlio di Jah a pieno titolo, Jr. Gong ha il sangue Marley nelle vene. È un onore? Sì. È un peso? Sicuro. Il suo live non è un tributo al padre, non ci sono facili cover. Ne spara solo un paio, reinterpreta Exodus e poi vira su tutto quello che ha fatto negli ultimi anni. Da Jamrock in poi, Damian ha attualizzato il reggae, l’ha contaminato ma ha mantenuto la sua anima. Make It Bun Dem che apre il concerto è il punto di contatto da cui partire. Sembra che Jr. Gong abbia detto, seduto al tavolo con Skrillex: «Mi piace questo pezzo. Ma lascialo fare a me, non andare oltre». Quando ha firmato Distant Relatives con Nas, il discorso è stato lo stesso. Sediamoci qui, lavoriamo assieme, ma restiamo veri. Non ci sono generi, è un discorso di cultura, di nuovo.

Alborosie e Damian, insieme, per una notte, hanno dimostrato come si può rileggere il reggae, come si può accompagnare un genere per mano, portandolo oltre le sue radici. Facendolo girare per il mondo. Ma restando vero.

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