Lars Ulrich: i miei 15 album metal (e hard rock) preferiti | Rolling Stone Italia
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Lars Ulrich: i miei 15 album metal (e hard rock) preferiti

Il batterista dei Metallica ha elencato i dischi che ama di più, dagli AC/DC ai System of a Down

Lars Ulrich: i miei 15 album metal (e hard rock) preferiti

Fotodi Jeff Yeager/Metallica/Getty Images

Quando Rolling Stone ha deciso di elencare i 100 album metal più belli della storia, Lars Ulrich dei Metallica è stato uno dei primi che abbiamo contattato. Non solo ha scritto 5 degli album in classifica – incluso il n.2, Master of Puppets -, Ulrich è una delle voci più importanti del genere, e continua a esserlo anche oggi, dopo quasi quarant’anni. Ha dimostrato più volte i suoi gusti impeccabili, per non parlare delle cover dei Diamond Head, Black Sabbath, Motörhead e di tutti quegli artisti che alla fine sono finiti nella nostra lista. Insomma, i gusti musicali di Ulrich e compagni hanno definito quelli di tutta una generazione.

La classifica che ha preparato per Rolling Stone contiene artisti molto diversi, dal metal degli Iron Maiden fino all’hard rock Guns N’ Roses. «Ho cercato di individuare il disco definitivo di tutti gli artisti che ho messo in lista», spiega. «E per molte di queste band si tratta di momenti di cambiamento, di crescita. Ho cercato di combinare i dischi più importanti per gli artisti e quelli più importanti per me».

Non perdiamoci ulteriormente in chiacchiere: ecco i 15 album metal e hard rock preferiti da Lars Ulrich. In ordine rigorosamente alfabetico.

“Let There Be Rock” AC/DC (1977)

Questo è il disco più heavy degli AC/DC, il disco più denso degli AC/DC, il disco più energico degli AC/DC. Quattro o cinque brani dell’album sono una presenza fissa nei loro live. Non voglio neanche immaginare quante volte abbiano suonato quella roba. Ovviamente questo è uscito prima dell’incontro con Mutt Lange, prima della trasformazione della band in una macchina sforna-hit-hard-rock-radiofoniche. Qui c’è il perfetto bilanciamento tra le chitarre: all’inizio suonano separate – una il riff e l’altra gli accordi -, poi si uniscono per le ritmiche più serrate. È qui che entra Bon Scott con quei suoi testi da cartone animato sulle donne e su tutte quelle cose da cattivi ragazzi.

Ascoltandolo sembra di stare in studio con loro: senti i rumori degli amplificatori, le voci dei fonici e tutta quella roba lì. È rozzo, blues, il massimo dell’hard rock. E poi c’è il mio pezzo preferito del gruppo, Overdose. Credo che non l’abbiano mai suonata dal vivo: non avrò mai il coraggio di chiedere ad Angus di farla, ma forse potrei provare con Axl Rose.

“Dirt” Alice in Chains (1992)

Ho conosciuto gli Alice in Chains durante le registrazioni del Black Album, a Los Angeles. Li incontravamo in un sacco di bar e club, erano dei tipi incredibili – giovani, tranquilli, divertenti, un po’ fuori di testa. Avevano questo look insolito per il genere, con le camice di flanella e tutto il resto: la loro musica, invece, era fottutamente heavy e piena di stile.

Poi, due anni dopo, è uscito Dirt, un disco davvero oscuro, profondo. All’epoca la droga non faceva parte delle nostre abitudini, ci limitavamo a bere un casino, tutto in situazioni amichevoli, feste o cose del genere. Non sapevamo niente della drug-culture: loro si. Quando li ho conosciuti meglio ho iniziato a capire il vero significato dei testi, è lì che il disco mi ha colpito definitivamente.

Rooster, Rain When I Die, Dam That River, sono tutti pezzi incredibili. È un disco folle. Nel ’92 lo ascoltavo fino allo sfinimento.

“Sabotage” Black Sabbath (1975)

So che per molti fan dei Sabbath la gara è tra Paranoid e Master of Reality. Per me, invece, l’accoppiata Hole in the Sky e Symptom of the Universe è davvero il massimo. Il Lato A di questo album è pazzesco, il massimo dei Sabbath. Poi arriva Symptom of the Universe, tutto il metal è stato influenzato dal suono di quel pezzo, almeno fino alla fine degli anni ’90.

Il primo disco dei Black Sabbath che ho ascoltato, però, è stato Sabbath Bloody Sabbath, nel 1973. Era davvero spaventoso, folle. Sabotage, invece, è un po’ più leggero e uptempo, forse è per questo che è diventato il mio preferito.

“On Your Feet or On Your Knees” Blue Öyster Cult (1975)

Uno dei live album migliori di sempre. Molti dei brani in scaletta vengono da Secret Treaties, poi ci sono tutte le hit del primo periodo (Cities on Flame) e anche delle chicche (The Red and the Black) e una ballad meravigliosa (Last Days of May).

Tutti i membri della band sapevano cantare. Il batterista ha fatto Cities on Flame, mentre in ME 262 hanno suonato tutti e cinque la chitarra, credo ci sia anche una foto. I Blue Öyster Cult, poi, avevano anche quell’attitude tipicamente newyorkese: Patti Smith usciva con il tastierista, erano intellettuali dello stesso giro di Lou Reed e dei Velvet Underground. È per questo che la loro musica è più fine, più riflessiva.

“Made in Japan” Deep Purple (1972)

I Deep Purple avevano davvero dei pezzi pazzeschi: Highway Star, Smoke on the Water, Speed King. Ma non credo esista nessuno che suona i brani così diversamente dal vivo. Made In Japan è stato il primo album dei Deep Purple che ho comprato, e l’ho imparato a memoria. Poi ho ascoltato le versioni in studio e ho capito la grandezza di quel gruppo. Pensavo: “Wow. Space Truckin dura tre minuti, come hanno fatto a suonarla per mezz’ora su Made in Japan?”

Per capire la risposta basta guardare i video delle esibizioni: i loro concerti erano un assolo dopo l’altro. Blackmore finiva il suo e alzava la mano destra, allora partiva il batterista. Era tutto libero, ma non come facevano le band hippie. C’è qualcosa in quei tre concerti, qualcosa di feroce. Il solo di Child in Time piace anche ai jazzisti, gente che vive per Ornette Coleman e Miles Davis.

Poi, nello stesso concerto, c’è Highway Star e tutti i suoi riff semplici e aggressivi, pura energia. I membri della band si odiavano, sul palco non facevano altro che pestarsi i piedi: ma è da queste frizioni che è venuto fuori un capolavoro.

“Lightning to the Nations” Diamond Head (1980)

Se qualcuno dovesse chiedermi di nominare un disco fondamentale per il suono dei Metallica… beh eccolo. Ne avrò parlato decine di migliaia di volte.

Ho passato l’estate dell’81 con il cantante e il chitarrista della band. Abitavo nel loro soggiorno, dormivo sul divano e passavo il tempo con loro. Quando sono tornato in California volevo anche io una band. I Diamond Head erano fanatici dei Led Zeppelin: per loro le canzoni erano viaggi, esplorazioni a base di riff violentissimi.

I Metallica, con il passare degli anni, hanno suonato praticamente tutti i brani di questo album. Am I Evil, It’s Electric, Helpless, The Prince, Sucking My Love, abbiamo jammato su tutto il disco, per noi è davvero importante. Se non ricordo male abbiamo suonato le loro canzoni addirittura durante il nostro primo concerto, eravamo una cover band ma non lo dicevamo a nessuno. Si, i Metallica all’inizio erano una specie di cover band dei Diamond Head.

“Appetite for Destruction” Guns N’ Roses (1987)

Cosa posso dire di Appetite che non sia già stato detto? È uno dei migliori dischi rock della storia, un album senza genere, ha cambiato una generazione e una quantità infinita di band ha provato a imitarlo. È uno di quegli album che ha fatto da colonna sonora alla vita di un sacco di gente.

Per me pensare ad Appetite significa volare nel 1987. Mi ricordo la prima volta che l’ho ascoltato: ero in aereo verso New York, un tipo dell’etichetta mi ha passato la cassetta. Ho ascoltato Welcome to the Jungle e mi è piaciuta, ma non così tanto come immaginate. È stata It’s So Easy a conquistarmi. Non avevo mai sentito niente del genere: lo stile, la rabbia, questa cosa che avevano solo loro. Dopo quattro o cinque canzoni mi sono ritrovato lì, sull’aereo, con la bocca spalancata: “Cosa cazzo ho appena ascoltato?”.

“The Number of the Beast” Iron Maiden (1982)

Per me questo è il picco della carriera degli Iron Maiden. Le canzoni migliori con la produzione migliore (Martin Birch, al lavoro su parecchi dei dischi dei Deep Purple). The Number of the Beast è il miglior singolo della loro carriera, poi Run to the Hills, Hallowed Be Thy Name, brani epici sul livello di Beyond the Realms of Death dei Judas Priest o Child in Time. Alcuni dei brani dei Metallica – Fade to Black, One – sono chiaramente ispirati a questo disco.

Questo è l’ultimo album con Clive Burr alla batteria – riposi in pace, è stato davvero importante per me – e il primo con Bruce Dickinson alla voce. Ho sempre detto chiaramente che i Maiden sono stati una grande influenza per i Metallica. Erano semplicemente i più fichi. Avevano le copertine migliori, i tour books migliori, le magliette migliori e tutto il resto. Sembravano sempre un passo avanti a tutti, e avevano un rapporto fantastico con i fan. Avevano questo immaginario così particolare, non c’era nessuno come loro.

“Unleashed in the East” Judas Priest (1979)

Questo album è uscito poco prima dell’ingresso dei Judas Priest nel mercato radiofonico americano. Prima di iniziare a scrivere canzoni più brevi – dei veri e propri singoli – in uno stile diverso da quello che degli inizi. E qui, in questo live album, c’è il meglio di quel primo periodo.

C’è la leggendaria Victim of Changes, e ci sono le doppie chitarre come non le faceva nessuno. I Judas Priest non facevano sovraincisioni, non armonizzavano le parti: raddoppiavano le chitarre per avere un suono gigantesco, immersivo, potente. Ascoltate The Green Manalish: un trionfo heavy metal. Questo disco è uscito nel ’79, ma suonavano così almeno da 4 anni, erano avanti a tutti. Secondo me è il meglio dei Judas Priest.

“Melissa” Mercyful Fate (1983)

Anche i Mercyful Fate sono stati una band importante per il sound dei Metallica. Anzi, per il sound di quasi tutti i musicisti della scena hard rock. Questo è il loro primo album: è stato davvero importante per tutti, figuriamoci per noi che li conoscevamo di persona. Condividevamo la sala prove, facevamo concerti insieme. I loro brani erano lunghi, complessi, ricchi di armonie e avventure musicali. Satan’s Fall durerà più di 10 minuti, qualcosa del genere.

I loro concerti erano assurdi. Il frontman recitava le preghiere al contrario prima di ogni canzone, avevano tutta questa roba rituale, King Diamond era fissato. È un tipo fantastico. Volevamo bene a tutta la band e amavamo la loro musica: siamo stati compagni d’arme per molti anni.

“Overkill” Motörhead (1979)

Ho iniziato ad ascoltare i Motörhead nella primavera del ’79. Ero in Danimarca, a Copenhagen, ho ascoltato per la prima volta la loro musica in un negozio di dischi. Mi ricordo l’inizio di Overkill e la doppia cassa, non avevo mai sentito niente del genere. Mi ha sconvolto. Nessuno cantava come Lemmy, la loro musica era uno strano matrimonio tra il metal e il punk, aveva un’energia nuova e tutto era fottutamente over the top. Ascoltare in ordine Overkill, Stay Clean, I Won’t Pay Your Price, No Class e Damage Case – che ho anche suonato con i Metallica – è un’esperienza folle.

I Motörhead erano la band giusta per tutti, non importa se ascoltavi prog, rock, pop, che cazzo ne so, lo ska. Erano i migliori. E per me il loro disco migliore è Overkill.

“The Battle of Los Angeles” Rage Against the Machine (1999)

Tutti i dischi dei Rage Against the Machine sono fondamentali per me. Nei primi due ci sono la rabbia e l’istinto della giovinezza, ma è in Battle of Los Angeles che il loro songwriting è arrivato al massimo della potenza. Suona così fottutamente autentico, nessun filtro.

Fino a quel momento tutti i dischi hard rock erano molto prodotti, anche i nostri. Poi è arrivato questo, sembrava davvero di stare in una stanza con questa band pronta a conquistare il mondo. I brani sono fantastici, e poi ci sono le urla di Zack de la Rocha, sembra davvero che stia cantando a un metro dalla tua faccia.

“Toxicity” System of a Down (2001)

Il primo album dei System of a Down ha fatto drizzare le orecchie a quasi tutti: il sound era nuovo e alla produzione c’era Rick Rubin. Era evidente che quella musica aveva influenze diverse, e non sapevo che loro fossero armeni, sentivo solo cose nuove. Poi è uscito Toxicity e insomma, basta ascoltare Chop Suey! per capire quanto questo album sia fantastico.

Ho ascoltato prima i singoli usciti su MTV – Aerials, la title track -, poi ho comprato l’album e dopo il primo pezzo ho capito. Questo è un disco politico, folle, scritto divinamente e prodotto con cura. È stato una grande ispirazione, mi piace che i brani siano tutti così brevi. È davvero uno degli album più belli di sempre.

“Strangers in the Night” UFO (1979)

Come con molte band degli anni ’70, ho ascoltato per la prima volta gli UFO con questo live album. Poi sono arrivato alle versioni in studio: le etichette incoraggiavano band come i Judas Priest e gli UFO, volevano che pubblicassero dischi live quasi subito, era un modo per restare sempre sulla cresta dell’onda.

Strangers in the Night è la versione degli UFO di questo tipo di album: si inizia con Natural Thing, poi una serie di hit come Only You Can Rock Me e Doctor Doctor. Per molti chitarristi metal, Kirk Hammett incluso, Michael Schenker è un eroe importante tanto quanto Jimmy Page, con l’unica differenza che non ha mai ricevuto lo stesso tipo di attenzione. Per i musicisti, però, Schenker è uno dei grandi. Ascoltare questo album ti fa davvero sentire in mezzo al pubblico.

“The Space Age Playboys” Warrior Soul (1994)

I Warrior Soul hanno iniziato con la Geffen Records, avevano il nostro stesso management. Abbiamo anche suonato insieme qualche concerto. Poi l’etichetta li ha scaricati e hanno pubblicato questo disco da indipendenti. Mettetelo su e ascoltate Rocket Engines: un inizio frenetico, punk, heavy. Kory Clarke, il cantante, canta con una forza incredibile, parola dopo parola, un testo memorabile dopo l’altro, e non ti accorgi di quanto rapidamente finisca il disco, anche se dura più di un’ora.

Nei primi album erano politicizzati: cantavano di Charlie Manson, degli oppressi. Qui, invece, c’è una strana fusione tra il punk e il glam di New York. Se non l’avete mai ascoltato non perdete tempo, fatelo il prima possibile.