L’accusa del figlio di Martin Duffy: ucciso anche dall’indifferenza dei Primal Scream | Rolling Stone Italia
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L’accusa del figlio di Martin Duffy: ucciso anche dall’indifferenza dei Primal Scream

In una lettera inviata al medico legale, Louie Duffy descrive l’ultimo drammatico anno di vita del padre malato e al verde. «Nessun sostegno emotivo, né finanziario» da parte di Bobby Gillespie

L’accusa del figlio di Martin Duffy: ucciso anche dall’indifferenza dei Primal Scream

Martin Duffy dal vivo coi Primal Scream nel 2019

Foto: Roberto Ricciuti/Redferns

In una lettera inviata al medico legale che si è occupato della morte di Martin Duffy dei Primal Scream, il figlio diciannovenne del musicista, Louie, descrive le circostanze che secondo lui hanno contribuito «all’improvviso e rapido declino» del padre, scomparso a dicembre 2022 a 55 anni. C’entrano l’indifferenza dei compagni della band e naturalmente i soldi.

«Immediatamente dopo il funerale di papà sono partito per un viaggio all’estero di tre mesi», scrive Louie Duffy. «Era già programmato e mi ha dato modo di riflettere. Ora voglio fare sentire la voce di mio padre perché ci sono circostanze che hanno portato alla sua morte che io, la famiglia e gli amici più stretti di papà riteniamo abbiano contribuito al suo improvviso e rapido declino negli ultimi mesi di vita».

Il fatto che Martin Duffy sia stato per trent’anni un musicista professionista, prima coi Felt e poi soprattutto coi Primal Scream, «potrebbe far pensare che fosse un uomo ricco, ma non è affatto così. Papà è morto pieno di debiti e so quanto ne ha sofferto nell’ultimo anno di vita».

Pur essendo parte dei Primal Scream, ai tempi del tour dell’anniversario di Screamadelica, quando si cominciavano a vedere bei soldi, Duffy sarebbe stato declassato e quindi pagato come turnista, escluso dalla band dagli introiti derivanti non solo dalla scrittura delle canzoni, ma anche dal merchandise. «E quando scrivo “band” intendo Bobby Gillespie e Andrew Innes».

Il figlio descrive Martin Duffy come un binge drinker, un alcolista che beve molto per alcuni giorni e poi smette. Ciò non gli impediva di essere «professionale» con la band. Negli ultimi anni «non beveva prima dei concerti e non lasciava che questo influisse sulle sue performance. Era affidabile, per quanto ne so io non ha mai saltato un concerto».

Le cose sono peggiorate durante il lockdown. L’assenza di concerti ha costretto il musicista a indebitarsi proprio nel periodo in cui gli è stato diagnosticato un cancro alla prostata. «La band lo sapeva, ma non si è quasi mai fatta viva in quel periodo tanto difficile. Ricordo una telefonata di papà a Bobby Gillespie, gli disse che era costretto a prendere i sussidi per tirare avanti, visto che non aveva da parte dei risparmi, eppure la band non gli dato alcun sostegno né emotivo, né finanziario. E si capiva che questa cosa lo turbava parecchio».

Il primo grande concerto post lockdown è stato al Bigfoot Festival nel Warwickshire, giugno 2021. Il padre era reduce da un intervento, era costretto a portare un catetere, ma volle a tutti i costi esibirsi perché aveva un bisogno disperato di soldi e non voleva mettere nei guai gli altri, mollandoli improvvisamente. Per alleviare il dolore ha bevuto prima dello show e sul palco ha avuto un attacco di panico. Il gruppo gli ha suggerito di andare in rehab: pur essendo convinto che i problemi fossero dovuti all’operazione e non all’alcol, Duffy si è disintossicato ed è tornato a suonare.

Quando nella primavera del 2022 si è finalmente liberato dal cancro, ha letto che la band aveva venduto il catalogo alla BMG per cinque milioni di sterline. Lui ovviamente non aveva ricevuto nulla, né era stato consultato. «Papà aveva suonato in tutti i dischi dei Primal Scream e composto almeno due canzoni, eppure la band non gli aveva dato la chance di ricevere la sua parte e questo in un momento in cui sapevano che aveva un gran bisogno di soldi». È vero che non aveva scritto granché col gruppo, «ma se fosse stato coinvolto nella compravendita avrebbe svoltato. Avrebbe potuto azzerare i debiti fatti durante il lockdown e pagare una parte del mutuo». Quando ha chiesto consulenza, gli è stato detto dal suo manager, che è poi anche quello della band, che la cosa «non valeva il costo dell’avvocato».

Dopo questo episodio, scrive il figlio, «ho visto papà peggiorare. È caduto in depressione, ha ricominciato a fumare e a bere di più. Sapeva che non avrebbe mai avuto quel che gli spettava, che non sarebbe mai arrivato il giorno in cui non avrebbe dovuto preoccuparsi delle bollette. Tutti quanti, familiari e amici, hanno notato questo cambiamento e hanno cercato di sostenerlo, sentendosi però impotenti. Posso affermare senza alcun dubbio che l’indifferenza del gruppo nei suoi confronti ha avuto un impatto diretto sulla sua salute mentale».

Non solo: dopo un altro episodio di ubriachezza sul palco («dubito però che i fan abbiano notato qualche errore nel modo in cui suonava»), Gillespie, Innes e il manager hanno chiesto a Duffy di uscire dal gruppo. Dopo la morte, «Innes ha detto a mamma che gli era stata chiesto di lasciare il gruppo perché “nessuno vuol pagare per vedere un sessantenne che cade sul palco”. Oltre al fatto che aveva 55 anni, non è mai caduto sul palco».

Dopo il licenziamento, «nel giro di poche settimane ho visto papà invecchiare di dieci anni». Hanno continuato a pagarlo, ma non era più una questione di soldi: «Era stato un membro dei Primal Scream per buona parte della sua vita, aveva perso la sua identità».

Stressato dalle tasse arretrate, con la possibilità concreta di dover vendere la casa, Duffy non ha ricevuto alcun aiuto, né solidarietà dal gruppo. «Era arrabbiato perché, diceva, Bobby Gillespie gli doveva ancora dei soldi, non avendo mai pagato papà per il lavoro fatto sul album solista Utopian Ashes».

«Dopo aver dovuto abbandonare il tour, era sottinteso che un giorno sarebbe tornato. La band ha chiesto a papà di andare in riabilitazione, lui ha scelto di andare agli Alcolisti Anonimi». Poche settimane prima della sua morte, la band gli ha chiesto se beveva ancora «e lui ha detto la verità: frequentava gli Alcolisti Anonimi, beveva molto meno, ma di tanto in tanto beveva ancora. Quando ho chiamato Bobby Gillespie per dirgli della morte di papà, mi ha detto che con lui avevano usato un approccio del tipo tough love. L’ho visto di persona. In pratica, lui e Andrew Innes hanno telefonato a papà minacciando di non farlo suonare ai festival che avrebbero fatto in primavera. Gli dissero che non avrebbe riavuto il suo posto se non avesse smesso di bere del tutto. Bobby Gillespie disse a papà che “era finito”», un atteggiamento che secondo Louie ha solo peggiorato le cose.

È stato a quel punto che «papà ha mollato» e ha ripreso a bere tanto e tutti giorni. Fermarlo era diventato impossibile. «Era un’anima sensibile, la band era stata la sua vita per oltre trent’anni, non era più in grado di farcela. Mi disse che si sentiva privo di qualunque sostegno da parte della band, sembrava completamente devastato».

È stato Louie a trovare il padre disteso sul pavimento della cucina, con una ferita alla testa. «Era cosciente, sono riuscito a parlare con lui e a confortarlo. L’ho aiutato a sedersi sul divano e ho chiamato l’ambulanza, ma mi è stato detto che l’attesa sarebbe stata lunga perché c’erano molte altre chiamate prima. Sapevo che la ferita era grave, non voleva star fermo, continuava ad alzarsi e a cadere, facevo fatica a calmarlo, si comportava in modo strano, era confuso. Nell’arco di due, tre ore è peggiorato ulteriormente, e ha perso l’uso delle gambe. In quelle ore credo di aver richiamato l’ambulanza altre tre volte, ma ogni volta mi hanno detto che non potevano arrivare più velocemente e mi hanno suggerito di portare papà in ospedale da solo, ma non riusciva più a camminare, sapevo che sarebbe stato difficile senza una barella o una sedia a rotelle. Avevo paura di spostarlo senza l’aiuto di un medico».

Quando sono arrivati i paramedici, l’uomo è caduto di nuovo. «Ha alzato le braccia e le ultime parole che ha detto sono state “Aiutatemi ad alzarmi”. Ha lottato per vivere, so che non voleva morire». In ambulanza ha avuto un’altra crisi epilettica «e lì ho capito che non sarebbe più tornato. Sono grato di essergli stato accanto nelle sue ultime ore, di non averlo lasciato solo».

Ricoverato in ospedale, Martin Duffy è stato indotto in coma artificiale. I dottori spiegano al figlio che «la lesione cerebrale causata dalla caduta era catastrofica, papà non sarebbe sopravvissuto neanche se l’ambulanza fosse arrivata subito». È morto il 18 dicembre 2022. Alla cerimonia funebre è andato solo il batterista dei Primal Scream, Darren.

«Subito dopo la morte di papà, ho ricevuto un paio di telefonate da Bobby Gillespie e Andrew Innes e mi hanno inviato delle foto di papà su WhatsApp. Da allora non li ho più sentiti». Ha letto però i messaggi di Gillespie sui social. «Doveva morire affinché il suo contributo alla band venisse riconosciuto e venisse rispettato come meritava».

«Leggo su Instagram che Bobby Gillespie esorta la gente a sostenere gli scioperanti nella lotta per una paga equa. Non c’è nulla di sbagliato in questo, se non fosse che nel frattempo non riconosci a un tuo compagno nella band da oltre 30 anni una piccola parte dei profitti del tour per rendergli la vita più facile».