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La tristezza e l’allegria di Mahler risorgono all’Auditorium di Roma

Daniel Harding ha diretto la "Seconda Sinfonia" dedicandola al suo Maestro Claudio Abbado, esattamente come Mahler l’aveva dedicata al wagneriano Hans Van Bulow

Daniel Harding, foto: Stina Gullander

Daniel Harding, foto: Stina Gullander

Che cosa ci passa per la testa quando muore qualcuno che ha contato qualcosa nella nostra formazione (culturale, personale, ecc…)? Il trentenne Gustav Mahler ricucì i temi della sua Seconda Sinfonia (ai quali lavorava separatamente da diversi anni) seguendo l’impressione destata in lui dal funerale di Hans Van Bulow, grande direttore d’orchestra wagneriano e anarchico. Scelse di chiudere la sinfonia con le parole del corale “Risorgere”, che ascoltò proprio durante quel “bellissimo” funerale.

Daniel Harding, il direttore d’orchestra inglese che ha riportato la composizione in questi giorni all’Auditorium di Roma (con l’orchestra e il coro di Santa Cecilia), avrà ugualmente ricordato attraverso Mahler il rapporto col suo maestro Claudio Abbado – scomparso due anni fa – al quale l’esecuzione era dedicata. Appena trentaduenne, nel 1977, Abbado diede a sua volta una storica interpretazione della Sinfonia lasciando letteralmente il pubblico a bocca aperta, idealmente rapito in un laico paradiso, prima dell’applauso, dopo il gran finale. Altri tempi. Sono sempre i migliori che se ne vanno.

Scritta alla fine dell’Ottocento, lunga 85 minuti per 5 tempi, con un’orchestra addirittura smisurata (10 corni, tre timpani, campane, un organo…), coro e due soliste, teatralissima, certo “giovanile” per impeto e pretesa, la Seconda è un’opera fortemente ancorata alla tonalità e al passato (il coro finale guarda alla Nona di Beethoven), ma doveva già irrompere come un oggetto futuro nella nuova tavola emotiva del pubblico di allora, tra psicanalisi, teatro moderno, dinamiche sonore fuoriscala.

Non c’erano Facebook, neppure Twitter. La meditazione sulla morte dei famosi non aveva ancora raggiunto i toni che abbiamo imparato a conoscere oggi: dal sublime alla malinconia, fino al grottesco e all’ossessivo. Ma la Seconda Sinfonia di questo parla. Mettendo a punto la macchina espressiva delle sue sinfonie, in cui il montaggio dei temi non cela mai tagli e salti ma anzi sbatte tutto sul grugno della buona borghesia fin de siecle, Mahler mescola i toni gravi e spaventosi della morte (addirittura terrificanti, per volume di suono) coi walzer e le melodie popolari della nostalgia dell’infanzia e la felicità perduta. Il triste e l’allegro, le convenzioni sociali, la pratiche retoriche del lutto, la personale disperazione di chi resta.

Harding dirige con una “crudeltà” che fa benissimo alla partitura. Spietato nelle parti tragiche e rumorose (al limite dell’esibizionismo), ugualmente spietato nelle parti allegre, come il celebre Scherzo in 3/8 del terzo movimento. Suggeriva Adorno (grande tifoso di Mahler) che la musica “allegra” della Seconda Sinfonia è il rumore del mondo che ci circonda, che ci tiene attaccati alla terra nel doppio senso di sopravvivere senza essere capaci di liberarsi e risorgere. Dopo l’ultima nota del coro è facile capire che quell’invito a risorgere è rivolto soprattutto a noi, che restiamo.

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