La replica di Roger Waters alle autorità tedesche: «Io da sempre contro autoritarismo e oppressione» | Rolling Stone Italia
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La replica di Roger Waters alle autorità tedesche: «Io da sempre contro autoritarismo e oppressione»

Dopo i concerti di Berlino, in cui (come per ogni tappa del tour) aveva indossato la divisa del personaggio Pink, la polizia ha aperto un'indagine per "istigazione all’odio"

La replica di Roger Waters alle autorità tedesche: «Io da sempre contro autoritarismo e oppressione»

Roger Waters con la divisa di 'In the Flesh' nel tour di 'The Wall'

Foto: YouTube

“La mia recente esibizione a Berlino ha attirato attacchi in malafede da parte di chi vuole diffamarmi e mettermi a tacere perché non è d’accordo con le mie opinioni politiche e i miei principi”. Roger Waters ha pubblicato sui social un post contro le autorità tedesche che nei giorni hanno aperto un’indagine nei confronti del musicista per “istigazione all’odio” per aver indossato la divisa del personaggio Pink durante In the Flesh nei concerti a Berlino del 17 e 18 maggio scorsi (e altrove, beninteso, Milano compresa).

«Stiamo indagando su sospetti di istigazione all’odio», ha detto un portavoce della polizia, riporta tra i tanti AGI, «perché gli abiti indossati sul palco potrebbero glorificare o giustificare il regime nazionalsocialista e disturbare la quiete pubblica».

“Gli elementi della mia performance che sono stati messi in discussione sono chiaramente una dichiarazione contro il fascismo, l’ingiustizia e il fanatismo in tutte le sue forme. I tentativi di ritrarre quegli elementi come qualcos’altro sono falsi e politicamente motivati. La rappresentazione di uno sfrenato demagogo fascista è stata una caratteristica dei miei spettacoli sin da The Wall dei Pink Floyd nel 1980″, replica Waters.

Come avevamo già sottolineato e come spiega lui stesso nel post, è evidente che non c’è mia stata alcuna glorificazione del regime nazionalsocialista. In the Flesh è uno dei pezzi tratti da The Wall. Waters veste i panni della rockstar Pink che, disgustata dal pubblico (ma in fondo da se stesso) è in preda a un delirio nazistoide che si traduce nella rappresentazione scenica nella creazione di una sorta di regime rock fatto di divise che ricordano quelle delle SS, soldati in marcia, violenza, sopraffazione, omicidi. È il segno della deriva psichica del personaggio, ma anche una metafora del rapporto malato tra rockstar e pubblico, un tema che all’epoca era molto caro al musicista.

“Ho passato tutta la mia vita a lottare contro l’autoritarismo e l’oppressione ovunque lo vedessi. Quando ero bambino, dopo la guerra, a casa nostra veniva spesso pronunciato il nome di Anna Frank, lei divenne un ricordo permanente di ciò che accade quando il fascismo viene lasciato senza controllo. I miei genitori hanno combattuto i nazisti nella seconda guerra mondiale, con mio padre che ne ha pagato il prezzo più alto. Indipendentemente dalle conseguenze degli attacchi contro di me, continuerò a condannare l’ingiustizia e tutti coloro che la perpetrano”, conclude.

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